Palestina :::: Kaveh L . Afrasiabi :::: 10 dicembre, 2012 ::::
NEW YORK – Nella guerra tra Israele e i Palestinesi, durata una settimana, sono lentamente ma indubbiamente emersi dei segnali di un nuovo “equilibrio del terrore” , guardando al miglioramento della capacità di Hamas di colpire Israele con i razzi a lungo raggio di fabbricazione iraniana Fajr-5.
Oggi, rispetto alla precedente guerra del 2009, quando Hamas poteva contare solo su missili a corto raggio molto più imprecisi, che si erano abbattuti nella zona meridionale di Israele prima che venisse osservato il “cessate il fuoco”, si può vedere come la brigata missilistica di Hamas sia andata incontro ad un evoluzione in termini di disciplina e di complessità, con 15.000 soldati che operano attraverso una rete di gallerie.
Risulta quanto meno strano che Hamas abbia imposto le proprie condizioni per una tregua, nonostante le micidiali ondate di bombardamenti aerei israeliani che hanno avuto come conseguenza la morte ed il ferimento di centinaia di civili nella zona intensamente popolata di Gaza, descritta dal professor Noam Chomsky in una sua recente visita [1] come “la più grande prigione all’aria aperta del mondo”.
Gli abitanti di Gaza vivono in condizioni sempre più terribili e degradate come risultato diretto della punizione collettiva che Israele vuole infliggere alla popolazione governata da Hamas che ora, come condizione di resa, chiede la sospensione del blocco messo in atto da parte di Israele.
Questa richiesta non è nulla di irrazionale od offensivo ed è supportata dalla comunità internazionale che condanna la sofferenza dei civili all’interno della striscia di Gaza. Israele è totalmente contrario a qualsiasi richiesta avanzata da Hamas e perciò è molto più probabile che il primo ministro Benjamin Netanyahu decida di inviare i carri armati dentro Gaza per l’inutile ricerca degli arsenali missilistici di Hamas. In questo scenario, la guerra diventerebbe ancor più complicata e il finale potrebbe essere un vero e proprio “pantano” come era successo nel 2009 con l’operazione, durata quindici giorni, il cui obiettivo dichiarato era quello di “distruggere le infrastrutture di Hamas”.
Se l’abilità militare di Hamas ha sorpreso gli Israeliani, l’incremento della capacità missilistica costituisce una sorpresa ancor più grande che porta a conseguenze che non favoriscono Israele in termini di politica dell’equilibrio regionale.
Nonostante la presenza dello scudo di difesa missilistica denominato “cupola di ferro”, secondo i rapporti, a malapena il 60% dei missili lanciati viene intercettato; allo stato attuale Israele sta mostrando un volto vulnerabile senza precedenti, molto lontano da quello dell’ “invincibile” Israele ostentato dai propri politici.
Lo scopo di Israele sembra essere quello di dividere Gaza, mascherandolo come un semplice obiettivo di guerra e anche di distruggere la connessione con l’Egitto, visto che è proprio da lì che provengono i razzi. Questo ambizioso obiettivo darà luogo ad una guerra di logoramento.
Il fatto è che Israele non può controllare completamente il proprio spazio aereo e difendersi dai razzi di Hamas che ora minacciano gran parte del territorio israeliano, non essendo in grado di ripetere una nuova e costosa occupazione di Gaza. Tuttavia questo fatto non sarebbe qualcosa di totalmente negativo in una prospettiva di pace, dal momento che la precedente volontà di “dominio totale” da parte di Israele era un richiamo al precedente status quo, che impediva ad Israele di muoversi verso una pace completa.
L’ “equilibrio del terrore” che si è creato ora è profondamente asimmetrico a vantaggio di Israele e tuttavia dal momento che è annoverata in questo equilibrio anche la vulnerabilità geostrategica menzionata in precedenza, la nuova equazione contiene una potenziale variabile per arrivare a delle strategie di pace più concrete. I leader politici israeliani potrebbero trovarsi impreparati per questo nuovo sinistro scenario e i consiglieri militari dovrebbero far luce sul nuovo stato delle cose; in altre parole, la nuova variabile è la capacità di Hamas di colpire nel cuore di Israele e che diventerà sempre più precisa negli anni a venire.
Per ora sussiste comunque una mancanza di continuità tra la politica e le azioni militari israeliane e nel caso in cui i politici, di malavoglia oppure no, raggiungessero un accordo, si potrebbe evitare lo scoppio dell’ennesima guerra che potrebbe logorare l’economia (per esempio impoverendo il turismo israeliano).
Ora diamo spazio alla domanda più scottante: cosa potrebbe perdere o guadagnare Israele dalla sospensione del blocco richiesta da Hamas? La risposta è data dall’imposizione di specifiche scadenze. Nel tempo, una Gaza più prospera e meno devastata dalla dilagante povertà, malnutrizione e mancanza di acqua e da altre carenze potrebbe essere più disponibile a mantenere la pace per tenere al sicuro le sue care conquiste, piuttosto che una Gaza in cui dilagano fame e miseria senza possibilità di reagire.
Sfortunatamente, molti leader israeliani non riescono a capire l’interdipendenza profonda e le conseguenze politiche, convincendosi che per ottenere più sicurezza sia sufficiente utilizzare il pugno duro e mettere in ginocchio i Palestinesi.
La “strategia di forza” risulta fondamentalmente sospetta soprattutto alla luce del fatto che il nuovo “equilibrio del terrore” è molto di più di una conseguenza del passato.
Probabilmente ciò di cui ha bisogno Israele, più di qualsiasi altra cosa, è una ideologia post-sionista non imprigionata nell’arcana ideologia espansionista del XIX secolo, ma ben in sintonia con i requisiti di sopravvivenza nel contemporaneo contesto della globalizzazione e della regionalizzazione: ciò implicherebbe meno arroganza e fissazione per la superiorità militare [2] ma un’ammissione di vulnerabilità che possa, a sua volta, dar spazio all’impulso, fin ora assente, di comprendere ed aver compassione per la sofferenza dei palestinesi, percepiti come “diversi” e fino ad ora destinati unicamente all’oppressione.
Kaveh L. Afrasiabi Doctor of Philosophy, è autore di “After Khomeini: New Directions in Iran’s Foreign Policy” (Westview Press). È autore di “Reading In Iran Foreign Policy After September 11” (BookSurge Publishing , October 23, 2008) e di “Looking for rights at Harvard”. Il suo ultimo libro si intitola “UN Management Reform: Selected Articles and Interviews on United Nations” , CreateSpace (November 12, 2011).
Note:
[1] “Impressions of Gaza” – 4 novembre 2012
[2] “Israel ranked as the most militarized nation”, Asia Times Online, 15 novembre 2012
(Traduzione di Marco Nocera)