Oggi siamo abituati al lavoro della polizia scientifica, grazie anche alla rapida diffusione di svariate serie televisive incentrate sull’argomento (C.S.I., Criminal Minds, ecc). Ma quando è nata la scienza che si occupa di tutto ciò che riguarda il crimine e delle analisi dei reperti delle scene del crimine?
In Italia tra la fine dell’800 e il 900 si affaccia Cesare Lombroso che osa sfidare il senso comune proponendo una visione della realtà del delitto che investe vari aspetti. Oggi nessuno potrebbe sostenere la validità scientifica delle teorie lombrosiane, ma è doveroso mettere in evidenza lo sforzo e la novità del suo lavoro che, partendo dal dato bio-antropologico, ha aperto la strada ad un approccio multifattoriale che comprende anche gli aspetti sociali.
Il suo sforzo maniacale si concentrò nel trovare sistemi efficaci per scovare i criminali. Sostenne l’ardita tesi secondo cui i comportamenti criminali sarebbero determinati da predisposizioni di natura fisiologica, i quali spesso si rivelano anche esteriormente nella configurazione anatomica del cranio. Convinto che la costituzione fisica sia la più potente causa di criminalità, testimonia la sua tesi attaverso la classificazione dei delinquenti. Nasce la foto segnaletica. Arriva a sostenere che il “delinquente nato” ha generalmente la testa piccola, la fronte sfuggente, gli zigomi pronunciati, gli occhi mobilissimi ed errabondi, le sopracciglia folte e ravvicinate, il naso torto, il viso pallido o giallo, la barba rada. Misurazioni, impronte digitali, autopsia, per sostenere che i delinquenti nati fossero solo un terzo di coloro che infrangevano le norme e che ogni delitto aveva origine in una molteplicità di cause. Secondo questa concezione, alterazioni dello sviluppo cerebrale provocano la nascita di soggetti in cui riemergono caratteri psicofisici ancestrali e soprattutto la spinta alla violenza del selvaggio che ne fa il delinquente. Dunque esisteva un rapporto diretto tra i tratti somatici di un individuo e la sua indole; da ciò derivava che studiando attentamente il volto di una persona se ne poteva dedurre la pericolosità sociale.
Il criminale non è altri che un emarginato che non per colpa sua si trova costretto a commettere il reato; Teorie semplicistiche ma soprattutto idee pericolose che la scienza dell’epoca ha approvato, condannando uomini solo per il fatto di avere caratteristiche fisiche che rientravano nel modello teorizzato da Lombroso. Effettuò centinaia di autopsie sui corpi di criminali, prostitute e folli. Fondò poi il Museo di Antropologia Criminale di Torino, che raccoglie i materiali di tutte le sue ricerche, gli “oggetti dei criminali“, da cimeli a reperti biologici, da corpi di reato a disegni, da manoscritti a fotografie e strumenti scientifici, dai tatuaggi alle pipe, tutto serviva per leggere dentro al delinquente per capirne i moventi che spingevano gli individui alla criminalità, tralasciando totalmente il fattore che quegli uomini erano costretti a vivere in un periodo storico in cui la società italiana era attraversata da gravi “disordini” e la borghesia nazionale aveva bisogno di controllare ed esorcizzare tutte le forme di opposizioni, riconducendole alla “questione criminale”.
Le sue teorie si sono rivelate erronee ma hanno aperto la strada a nuove vie di riflessione. Si pensi a cosa potrebbe accadere se un qualsiasi governo, di qualsiasi epoca, si appropriasse del potere di rieducare le persone che presentano chiari segni, fisici, di pericolosità sociale: sarebbe uno strumento punitivo lasciato totalmente al libero arbitrio adatto a coprire e giustificare ogni nefandezza. Per di più era anche profondamente razzista, sosteneva che i neri avevano tratti somatici molto più primitivi dei bianchi e per questo motivo andavano considerati una razza inferiore e pericolosa. La pericolosità e la forza delle teorie razziali è appunto quella di determinare comunque, reazioni, risposte e sentimenti razzisti e si dimostra l’esito più paradossale di una continua e sistematica negazione dell’altro.
Per concludere i risultati