Zazà e Veleno sembrano essere costantemente sul punto di essere trascinati dall’infelicità che li circonda, fatta di eroina, detenzione, fallimento, o anche semplicemente rassegnazione a una vita non scelta, amarezza alleviata dalla costruzione di un sé parallelo e mitomane. Entrambi con il sogno di diventare stelle del calcio, entrambi incapaci di andare oltre il sogno e l’aspirazione o, almeno, di trovare una via di realizzazione alternativa. Ma Annalisa risveglia in loro la volontà disperata di salvarsi, di affermare con forza la Vita sulla sopravvivenza. È un essere misterioso, lei, sempre impegnata a combattere i propri demoni; sembra vivere altrove, al di sopra della quotidianità meschina, eppure è così coinvolta nel torbido, così esposta agli abusi.
Un trio di personaggi che oppongono alla povertà e alla precarietà esterne (non tanto materiali, quanto morali), una straordinaria complessità interiore, che esiste nonostante non riesca a tradursi in concreti progetti di vita, e che è comunque destinata a erompere per altre vie. Perché il Sud è non solo, ma anche, questo: potenzialità enormi, difficoltà nel tradurle in atto.
Sullo sfondo, i problemi ‘concreti’. Il mostro siderurgico di Taranto, che ha annichilito la natura e l’uomo, e che, come tutti i mostri, all’inizio aveva anche un lato affascinante, di progresso e onnipotenza, ma che poi ci ha spietatamente rivelato l’inganno: quello di aver barattato le nostre vite col guadagno immediato. La politica-spettacolo, con l’ascesa e caduta di Giancarlo Cito: programmi televisivi equivoci per influenzare le coscienze; illusione di partecipazione popolare; antipolitica, e toni aggressivi e diffamatori: ‘«erano gli anni di Cito, dunque erano gli anni Venti». Ma forse, anche l’Italia di oggi: da certi personaggi il nostro Paese non riesce proprio a emanciparsi.
Marina Lomunno
Mario Desiati, Il paese delle spose infelici, Mondadori, 221 pagg., 9 euro.