Il Palazzo della Mezzanotte e il primo Zafòn

Creato il 06 agosto 2014 da Lucia Savoia
Restare ingabbiati in un personaggio, identificare la propria produzione con una sola, grande opera è un rischio comune ad attori, registi, cantanti e, neanche a dirlo, scrittori.

Carlos Ruiz Zafòn

Carlos Ruiz Zafòn è tra questi; L’ombra del vento, quel meraviglioso affresco di una Barcellona gotica e misteriosa, è il romanzo che, grazie al solo passaparola dei lettori è diventato un caso editoriale di enormi proporzioni consacrando il suo autore ad un (meritato) successo di portata planetaria.
Effettivamente la storia di Daniel Sempere, quella sorta di romanzo di formazione che assume i contorni di un mistery condito da passioni tormentate è un vero e proprio gioiello narrativo. Trama ben definita e ritmo incalzante, l’opera di Zafòn ha fatto innamorare milioni di lettori che, spinti dall’entusiasmo per avventure rocambolesche e atmosfere cupe tratteggiate con ineccepibile ed elegante semplicità, hanno deciso di leggere le altre “fatiche” dell’autore spagnolo.
Complice il mercato editoriale (con un eccezionale fiuto per il denaro), le opere di Zafòn antecedenti al grande successo del 2002 sono state date alle stampe, seguite poi da Il gioco dell’angelo, secondo,  fortunato volume della tetralogia de Il Cimitero dei Libri Dimenticati. Lo scrittore barcellonese ha iniziato la sua carriera nel 2003 come autore di libri per ragazzi che, però, non erano stati tradotti al di fuori del suo paese d’origine. Una volta usciti e diventati anch’essi bestsellers, critica e pub“ennesimo capolavoro di blico si sono lanciati in una serie di giudizi più o meno condivisibili e senza dubbio discordanti; "ennesimo capolavoro di Zafòn”, “atmosfere precise e intrighi degni dei più grandi capolavori ottocenteschi” ma anche “deludente”, “trama inverosimile e ridicola”, “una lettura estiva, niente di più”. Ovunque però l’idea che serpeggia è una sola: questi romanzi non raggiungono la perfezione de L’ombra del vento.
È vero, ma non completamente. 

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Innanzitutto occorre tener conto di una serie di fattori, primo fra tutti il pubblico a cui, originariamente, queste storie erano rivolte. Nell’avvertenza al lettore che apre Il Palazzo della Mezzanotte l’autore afferma che si tratta di una narrazione concepita per un pubblico di ragazzi in grado però di soddisfare anche gli adulti. Dunque lo stile e la trama sono inevitabilmente più semplici, le vicende a volte inverosimili ma, non per questo, meno avvicenti o, soprattutto, meno zafòniane. Inoltre, volente o nolente, un autore matura nel corso della sua produzione. È successo a tanti scrittori più grandi e acclamati di Zafòn e, se queste opere appaiono più “difettose” sotto un certo profilo, dall’altro lasciano intravedere quella linea sfumata che condurrà lo spagnolo al suo grande capolavoro.

Il Palazzo della Mezzanotte in particolare ha in sé tanti elementi interessanti e, come sottolineato in quarta di copertina, è veramente “un gioco di scacchi tipicamente alla Zafòn.
 


Eppure non ha convinto il pubblico. Tanti si sono sbizzarriti con le critiche, ironizzando sul nome della confraternita segreta Chowbar Society (un nome da cioccolata calda? Io non ci ho pensato prima di spulciare i commenti) o sottolineando l’eccessiva presenza di spiriti e presenze semi-demoniache.
In realtà la storia di Ben e Sheere, gemelli separati poco dopo la nascita perché minacciati di morte da un assassino a loro fin troppo vicino è un bel mistery, forse un po’ immaturo ma senza dubbio coinvolgente.
Ambientata a Calcutta, la vicenda ruota attorno al tragico destino che sembra segnare la famiglia dei due gemelli; figli della bella e corteggiata Kylian e del grande ingegnere e scrittore indiano Chandra Chatterghee, morti in circostanze tragiche pochi giorni dopo la loro nascita, Ben e Sheere vengono tratti in salvo dal tenente Peake che, in un corsa disperata e tragica riuscirà ad affidarli alla nonna materna Aryami Bose. In giro c’è un assassino folle e assetato di sangue che, insieme a sicari mercenari, sembra esser deciso a sterminare la famiglia dell’ingegnere. 

Un'illustrazione del romanzo

Aryami sa che l’unico modo per mantenere i bambini al sicuro è quello di dividerli; l’uno non dovrà sapere dell’esistenza dell’altra, pena la perdita di ogni possibile salvezza. 

È così che Ben viene affidato alle cure di Thomas Carter direttore dell’orfanotrofio  St Patrick’s mentre Sheere è allevata con cura dalla nonna. L’orfanotrofio diventa la casa di Ben; qui cresce, studia e fonda, insieme a sei giovani intraprendenti, la Chowbar Society, una sorta di società segreta con fini di mutuo soccorso. La confraternita si riunisce ogni sera al Palazzo della Mezzanotte, un luogo tetro e avvolto da un’aura di affascinante mistero in cui i giovani son soliti raccontare storie di terrore e magia. 
È proprio ad uno di loro, Ian, che Zafòn affida il compito di narrare, in una sorta di lungo memoriale, le gesta e le avventure che lo videro protagonista insieme agli amici nel 1932.
I ragazzi diventano adulti tra il St Patrick’s e la Chowbar Society e attendono con fremito misto a malinconia l’arrivo dei sedici anni, momento in cui dovranno camminare con le loro gambe nel mondo che li aspetta. Proprio durante la festa dei loro ultimi giorni accade un fatto che segnerà le loro vite: Sheere, la bellissima sorella di Ben, giunge all’orfanotrofio accompagnata dalla nonna. Mentre Aryami è a colloquio con Carter, i membri della Chowbar decidono di fare un’ eccezione al regolamento e di accettare, anche solo per poco, Sheere come nuovo componente  della società. 

Da qui la spirale degli eventi prende il via, assumendo contorni sempre più angosciosi.
Storie del passato riaffiorano con prepotenza, bugie e tentativi vani di salvaguardia vengono smascherati e Jahawal, quell’assassino inumano dall’anima di fuoco, sembra essere in realtà molto più di quel che sembra…


Il museo indiano sede di preziose informazioni

Proprio il fuoco è l’elemento cardine della vicenda, presenza costante e simbolica che apre la narrazione avvolgendo un treno in corsa carico di innocenti e che torna, ciclicamente, nella follia di Jahawal e in sogni che sembrano realtà (o forse lo sono). Ma il fuoco è anche Calcutta, città oppressa dal caldo e dall’afa, divisa in “città nera” e “città bianca”, spettatrice e attrice di una vicenda coinvolgente oltre ogni previsione.
Zafòn ha il merito di aver creato una storia semplice ma composta da mille fili che s’intrecciano per poi essere ripresi e portati a compimento svelando ciò che c’è alla fine della matassa. Tanti hanno parlato di inverosimilità e di senso del “già detto” e certo, non mancano i richiami a grandi opere come La storia infinita ma il romanzo è davvero ben riuscito.
Se ci fosse la possibilità di acquistare un po’ del talento di ogni autore che leggiamo, senza dubbio la “merce” più richiesta a Zafòn  sarebbe la capacità di catturare l’attenzione del lettore attraverso uno stile asciutto e un ritmo senza eguali. 

Si resta fino alla fine col fiato sospeso, sperimentando quella sensazione così bella di non voler chiudere il libro finché non si è certi di possedere la chiave del mistero.
 


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