Il panico delle forchette egoiste

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Piatti da condividere e tante forchette, divenute forconi per la disperazione e il senso di possesso del proprio piatto. La Sicilia come sciarada. Le forchette egoiste le vedi solo se hai una vaga idea del codice, come quella sezione della settimana enigmistica delle parole crittografate: due, tre lettere. Per poter cominciare hai bisogno di sapere a che numero corrispondono, sennò come fai?
Sono una rivolta, ma verso le poche, pochissime cose che funzionano (o cominciano a funzionare) e non verso quelle che non vanno. Le forchette si ribellano proprio perché qualcosa, lentamente, sta cambiando.
Sono in preda al vuoto di potere.
Eppure dicono “qua chi comanda lo dobbiamo sapere prima degli altri, l’abbiamo sempre saputo prima degli altri, lo abbiamo deciso noi per gli altri, ed ora che non lo sappiamo protestiamo perché lo vogliamo sapere”. Cos’è ‘sta confusione?
Le forchette egoiste sono creature concepite per sopravvivere alla crisi del piatto… è la famigerata crisi economica?
No, è quella politica.
Ma… la crisi viene dal debito pubblico che a sua volta “viene dagli stipendi e dai privilegi della casta”. Minchiate.
Ma… la crisi “viene dalle pensioni, dall’articolo 18 e dal welfare lussuoso che siamo concessi”. Minchiatone.
Viene solo dalla politica clientelare. Il debito pubblico c’è perché da sempre le risorse vengono spese per creare carrozzoni che creano clientele. Avrebbero potuto tenersi tutti i vitalizi e le pensioni oscene del mondo, se solo non avessero creato enti inesistenti e posti di non lavoro, utili solo a garantirsi un elettorato fedele nei secoli dei secoli.

- Che fai, voti davvero quello lì?
- Certo.
- Ma è un mafioso!
-Cu mia ha statu n’amicu.

Commesse, appalti, enti regionali, uffici pubblici, province, poltrone, poltroncine, seggioloni e seggioline, seggi, sedie a sdraio e sedie di tutti i tavoli delle cucine d’Italia.
Miste, shakerate, ermafrodite, fatte apposta, su misura, costituite in fretta e furia dieci minuti prima.
E gli chef pronti a fare sedere al tavolo e sistemare con quel posto Pippo, Enzo e Turuzzo, “me l’hanno chiesto per portare voti e guantiere di cannoli quando viene Natale”.
Elemosina agli affamati e regali ai potenti.
A questa cucina nazionale prova a chiudere i rubinetti (e non perché glieli vuoi chiudere, sia chiaro – che poi magari qualcuno si illude – ma solo perché è proprio finita l’acqua), prova a togliere la possibilità di usare i soldi per andare a comperare, senza raziocinio, per creare clientele, e vedrai che parte la rivolta.
Le forchette impazzite hanno mille ragioni e non ne hanno nessuna. La Sicilia è quella regione che parla con formule che possono significare questo come quello, che ti consentono di dire due cose opposte con la stessa identica frase, dichiararti dentro e chiamarti fuori, a seconda di come si mette il gioco.
In testa, che loro lo sappiano o meno (e lo sanno, lo sanno), ci sono quelli bravi a fare questo giochino. Gli altri non servono. Fanno solo confusione.
“Diteci chi comanda. Diteci subito a chi dobbiamo chiedere. Diteci dove dobbiamo andare. Perché altrimenti blocchiamo tutte le autostrade. E non si mangia, non si va proprio da nessuna parte. Perchè a noi piace puntare sapendo già chi vince”.
 


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