Il Papa dalla fine del mondo e le sue sfide. Una lettura “geopolitica” del Conclave

Creato il 15 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Il 13 marzo 2013 il Conclave ha incoronato nuovo Papa della Chiesa Cattolica Jorge Mario Bergoglio. Settantaseienne argentino d’origini piemontesi, dal 1998 Arcivescovo di Buenos Aires, dal 2001 Cardinale, è il primo americano e il primo gesuita ad assurgere al Soglio pontificio. Esulando dal piano propriamente religioso, la sua elezione può essere letta in funzione di tre diversi ordini di problemi.

La sfida interna alla Chiesa

All’interno della Chiesa Cattolica convivono varie sensibilità e correnti di pensiero. La stampa è solita riassumerle in due etichette, rispettivamente di “conservatori” e “progressisti”. Tra gli ecclesiastici cosiddetti “conservatori” si annovera, in posizione preminente, l’ormai Papa emerito Joseph Ratzinger, che durante il suo pontificato ha posto quale problema centrale la lotta al relativismo morale, e si è impegnato a restaurare diversi aspetti tradizionali nel frattempo caduti in disuso. Al pari del predecessore Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, ha mostrato intransigenza su quei temi, come l’ordinazione di sacerdotesse, l’uso di contraccettivi sessuali, le unioni extra-matrimoniali o l’aborto, su cui invece i cosiddetti “progressisti” si rivelano più possibilisti. Tra i principali esponenti di quest’ultimo gruppo vi sono i cardinali Karl Lehmann e Godfried Danneels. Il tedesco Lehmann, che presiede la Conferenza Episcopale della Germania, cercò ad esempio di ammettere i divorziati al sacramento della comunione e fece partecipare la Chiesa al sistema dei consultori, in alcuni casi emettendo certificati per l’aborto in strutture pubbliche.

Va comunque sottolineato che le posizioni più estreme sono state estromesse dalla cerchia dirigente della Chiesa Cattolica, e ciò in virtù soprattutto del lungo pontificato di Giovanni Paolo II, al termine del quale quasi tutti i cardinali elettori erano stati nominati da lui. Giovanni Paolo II era un conservatore ma nel contempo sostenitore del “modernismo” del Concilio Vaticano II. Da un lato sono stati emarginati, o addirittura estromessi dalla Chiesa tramite scomunica, i “tradizionalisti”, ossia quanti rifiutano le innovazioni del suddetto Concilio. È il caso della Società di San Pio X, fondata dall’arcivescovo Marcel Lefebvre nel 1970. Sul lato opposto si situa Hans Küng, prete svizzero che fu uno dei periti del Concilio Vaticano II, ma che ha poi accusato Giovanni Paolo II d’averne tradito il vero spirito. Küng ha negato l’infallibilità papale ed espresso favore per l’eutanasia; ciò gli ha portato un’interdizione ad insegnare teologia da parte della Santa Sede.

Al di là delle questioni morali e di costume, anche il tema sociale è stato fortemente divisorio nella Chiesa. Le aperture alla modernità del Concilio Vaticano II diedero il via, in America Latina, ad un’interpretazione che ha preso il nome di “Teologia della liberazione”, e la cui tesi fondamentale è che il Vangelo sia uno strumento di liberazione dalla povertà e dall’ingiustizia che comincia già in questo mondo. La Teologia della liberazione è stata condannata a più riprese da Paolo VI, da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, con l’accusa di sottomettere il messaggio evangelico alla dottrina marxista. Uno dei suoi maggiori assertori, il francescano Leonardo Boff, fu costretto a lasciare la Chiesa dopo un processo da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (all’epoca presieduta da Joseph Ratzinger) e la condanna al “silenzio ossequioso”.

Un altro dei temi trattati dal Concilio Vaticano II era il ruolo dei vescovi, che fu rafforzato. Nel corso degli anni si è creata una tensione tra il potere locale della Chiesa, espresso dai vescovi, e quello centrale, rappresentato dal Papa e dalla Curia romana. La tensione si è apparentemente trasformata in scontro aperto, secondo quanto riferito dalla maggior parte delle fonti giornalistiche, in quanto la Curia è finita sotto accusa per la gestione dello Ior, la banca vaticana, e più in generale per la corruzione ecclesiastica.

Come si situa in tali questioni aperte la figura di Jorge Mario Bergoglio, appena eletto Papa Francesco? Bergoglio non è sgradito ai “progressisti”: si dice che fu il più votato avversario di Ratzinger al Conclave precedente, e la sua elezione ha oggi suscitato il plauso anche di Hans Küng. Tuttavia, le sue posizioni sui temi morali e di costume sono in linea coi conservatori: l’allora Cardinale si è opposto con forza all’introduzione del matrimonio omosessuale in Argentina, ha definito “immorale” la condotta di vita degli omosessuali, non ha mostrato apperture sull’eutanasia e l’aborto. Il Cardinale Bergoglio ha inoltre mostrato una forte attenzione per i poveri, ampiamente raccontata in questi giorni dai media, ma nel contempo ha sempre anteposto a tutto la missione evangelizzatrice. In particolare, è stato un aspro nemico della Teologia della liberazione, cui si è contrapposto fin dagli anni ’60. Nel suo primo discorso da pontefice, Bergoglio non ha mai utilizzato la parola “Papa” (nemmeno per rivolgersi a Benedetto XVI), ma sempre e solo “Vescovo di Roma”, della diocesi “che presiede caritatevolmente a tutte le chiese”. Nei momenti e giorni successivi all’elezione ha voluto continuare a rimanere in mezzo ai cardinali, comportandosi come un loro pari. Ciò suggerisce la volontà di esaltare il ruolo dei vescovi, e di non puntare su un papato “autoritario”. La sua elezione sarebbe avvenuta grazie principalmente allo schieramento compatto raggiunto dai cardinali americani, del Nord come del Sud. Questo segno potenzialmente minaccioso per la Curia romana è comunque mitigato dalla sconfitta di quello che, secondo i retroscena finora filtrati, sarebbe stato il principale avversario di Bergoglio, ossia l’Arcivescovo Angelo Scola. Quest’ultimo era infatti il candidato più inviso al segretario di Stato Tarcisio Bertone. Forse gli stessi curiali romani hanno fatto convergere i propri voti su Bergoglio. Si vede dunque come, su tutti i temi che hanno diviso finora la Chiesa, Papa Francesco si ponga come un pontefice di compromesso tra le diverse fazioni ecclesiastiche.

La sfida latinoamericana degli evangelici

L’America Latina è l’unica regione mondiale in cui tutti i paesi hanno una maggioranza di cattolici. Ciò non si verifica né in Europa, divisa tra cattolici, riformati e ortodossi, né in Nordamerica (negli USA la maggioranza è riformata), né in Africa (solo alcuni paesi sud-occidentali hanno maggioranza cattolica), né ovviamente in Asia dove i cristiani sono una netta minoranza. La percentuale di cattolici in Sudamerica supera l’80%, e scende di poco in Centroamerica e nei Caraibi. Si tratta di una quota di popolazione largamente superiore anche a quella che si registra in Europa Occidentale o in Mitteleuropa. L’America Latina da sola ospita circa un terzo dei cattolici del mondo (aggiungendo quelli dell’America anglosassone s’arriva a quasi metà), contro il poco più di un quarto dell’Europa. È dunque chiaro perché le Americhe, e quella latina in particolare, abbiano acquisito una così grande rilevanza nella Chiesa Cattolica da esprimere un Papa.

Tuttavia, il Cattolicesimo in America Latina sta affrontando la sfida lanciata dalle Chiese riformate evangeliche del Nord. Forti delle risorse finanziarie raccolte negli USA, approfittando di un establishment cattolico che non sempre è vicino a quelle ampie fasce di popolazione che vivono nella povertà, gli evangelici stanno rapidamente guadagnando terreno in America Latina. Il fenomeno è particolarmente visibile in Brasile, paese delicatissimo perché è quello che ospita più cattolici al mondo (quasi 125 milioni). Oggi solo il 65% dei brasiliani si dichiara cattolico, e solo una parte minoritaria di essi è praticante. I riformati, d’altro canto, sono ascesi fino a costituire attualmente quasi un quarto della popolazione, mentre negli anni ’60 erano meno del 5%. Alcuni hanno addirittura previsto che i riformati diverranno la maggioranza nel paese di qui ad un decennio. Il fenomeno è di portata minore in altri paesi, ma non meno allarmante. Se i riformati costituivano percentuali infime nei decenni scorsi, oggi sono il 15% in Cile e Colombia, il 10% in Argentina, Bolivia, Ecuador, Uruguay e Venezuela. Un pontefice latinoamericano, che ha buona empatia con la popolazione e pone quale priorità la riconquista alla fede cattolica dei credenti, è probabilmente l’arma migliore che la Chiesa ha trovato per fermare l’emorragia di fedeli verso le chiese riformate.

La sfida politico-sociale delle sinistre

Quella degli evangelici non è però l’unica marea montante in America Latina, e più precisamente in Sudamerica. In un continente che fino a pochi decenni fa ospitava numerosi regimi militari ed in cui la politica e le ricchezze erano appannaggio d’una classe ristretta di persone, oggi i governi in carica sono per lo più di sinistra, o comunque attenti al sociale ed alla redistribuzione della ricchezza. Spesso tali governi, espressione di quella che è stata definita “l’ondata rosa”, sono anche portatori d’ideologie o sensibilità che urtano lo spirito cattolico, o che quanto meno rivaleggiano con le istituzioni ecclesiastiche per il controllo del cuore e delle menti degli abitanti del continente.

È noto come in passato, se moltissimi uomini di Chiesa si sono opposti alle ingiustizie sociali e alle dittature pagando anche con la vita il proprio impegno, una parte delle gerarchie ecclesiastiche tendeva invece ad essere più accondiscendente verso i regimi in carica, talora solo per meglio salvaguardare la Chiesa e i fedeli, talvolta per sincera adesione ai valori e agl’interessi di quegli stessi regimi. Lo stesso Papa Francesco è finito nel mirino della critica per il suo ruolo durante il regime militare in Argentina, che liquidò brutalmente decine di migliaia di oppositori. I critici accusano Bergoglio di non essersi opposto alla repressione o addirittura d’aver permesso che chierici considerati troppo politicizzati venissero imprigionati. I sostenitori invece smentiscono le accuse e affermano che Bergoglio avrebbe anzi contribuito a salvare numerose vite. Non è, in ogni caso, problema questo che interessi approfondire nell’economia del presente articolo. Basta registrare che la Chiesa latinoamericana è entrata pesantemente nella politica locale, e che oggi molti di coloro che governano nella regione sono gli stessi che alcuni decenni fa lottavano contro i governi militari.

Osserviamo più da vicino, a titolo d’esempio, il caso dell’Argentina, se non altro perché paese da cui proviene il nuovo pontefice. Il rapporto della Chiesa argentina con Peron fu inizialmente positivo, poiché il presidente cercò di incorporare il cattolicesimo nell’ideologia di Stato che doveva sorreggerne il potere. Ben presto però sorsero problemi legati alla volontà dei cattolici e del Vaticano di avere un ruolo autonomo in politica. Alti gerarchi della Chiesa, come l’arcivescovo Manuel Tato, furono tra gl’ispiratori del golpe del 1955, significativamente condotto con l’ausilio di aerei militari su cui era dipinto il motto Cristo vence. Negli anni della seconda dittatura e della Guerra sucia, alcuni chierici e attivisti cattolici parteciparono all’opposizione, anche armata, mentre altri, tra cui alti prelati, appoggiarono il governo. Ad esempio don Christian von Wernich è stato nel 2007 condannato perché, da cappellano della polizia di Buenos Aires, prese parte a 42 rapimenti, 32 torture e 7 omicidi. Sta scontando l’ergastolo ma non è stato sospeso dal sacerdozio.

Nestor Kirchner, il defunto presidente argentino e marito dell’attuale presidentessa Cristina Fernandez, in gioventù era un militante della sinistra peronista che lottava contro la dittatura. Era anche presente al massacro di Ezeiza, quando terroristi di destra spararono sull’enorme folla radunatasi all’aeroporto per accogliere il rientro di Peron in Argentina. Alcuni suoi amici e compagni politici furono uccisi e lo stesso Kirchner, assieme alla moglie, decise alfine di lasciare Buenos Aires per la più sicura provincia, cavandosela così con solo pochi giorni di prigione durante la dittatura. I rapporti di Nestor e Cristina Kirchner, nel frattempo divenuti presidenti, con l’allora vescovo di Buenos Aires sono sempre stati tesi, e non solo in relazione alla legalizzazione del matrimonio omosessuale e dell’inseminazione artificiale, ch’è l’occasione in cui i toni dello scontro si sono fatti più accesi. Pare che, nel tentativo di contrastare l’elezione di Cristina Fernandez alla Presidenza, Bergoglio avrebbe persino affermato che le donne sarebbero inadatte a svolgere incarichi politici (sebbene alcuni media argentini stiano ora smentendo che questa frase sia stata effettivamente pronunciata). Ciò spiega perché, come notato da tutti, il Governo argentino abbia impiegato un paio di ore prima di emettere un comunicato di congratulazioni per l’arcivescovo della sua capitale divenuto Papa, e perché molta stampa filo-governativa si sia mostrata fredda se non apertamente critica di fronte all’ascesa di Bergoglio al Soglio pontificio

La Chiesa cattolica si trova insomma di fronte, in America Latina, a correnti politiche che non ne riconoscono l’autorità morale quanto i predecessori, e che su diversi temi s’oppongono radicalmente alle sue preferenze. Queste correnti hanno ottenuto vasto consenso impegnandosi nel sociale ed a favore dei ceti medio-bassi. Un Papa autoctono riconosciuto per la sua solerzia nell’aiuto ai poveri, e che pur rigettando la Teologia della liberazione e tutto quanto in odore di socialismo è però anche critico del neoliberalismo, può essere la figura carismatica di cui la Chiesa cattolica ha bisogno per riconquistare l’America Latina pure sul piano politico.


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