Il paradosso della biblioteca di Babele

Creato il 10 maggio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Borges in 1976.

a Franca D’Agostini


di Giulio Napoleoni. La biblioteca di Babele è un famoso e straordinario racconto di Jorge Luis Borges. (1) Vi si narra di una biblioteca talmente vasta da costituire un universo.Borges descrive con un’apparente precisione la struttura architettonica, modulare, di questo universo. Dico apparente perché se provate a farvi un’immagine definita di quello che Borges descrive scoprite che la forma è in realtà sfuggente. Borges parla di gallerie esagonali impilate una sull’altra (“da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente”) collegate verticalmente da scale a spirale. Il problema è come sono collegate fra loro orizzontalmente. “Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno. (…) Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte.” Il problema è che se ogni galleria è uguale a tutte le altre, e quindi c’è un solo lato non scaffalato e aperto verso l’esterno questo significa che potranno esserci solo coppie di esagoni collegati fra loro da un corridoio comunicante. O si tratta quindi di un universo composto di innumerevoli doppie torri esagonali (ma allora si deve immaginare che tutti i vari viaggi e le peregrinazioni descritte nel prosieguo debbano essere sostanzialmente in verticale, verso l’altro/verso il basso) oppure si deve immaginare che gli esagoni incolonnati uno sull’altro non abbiano tutti il corridoio aperto dallo stesso lato, ma che tale lato sia a ogni piano diverso, magari progredendo in senso orario o antiorario… (ma come la mettiamo con l’incolonnamento verticale? E poi: quanto sono lunghi i corridoi rispetto agli esagoni? E’ un universo di torri “stellate” esagonali, la cui sezione è una specie di fiocco di neve?) (2)

Altra e ben più importante questione il racconto pone se lo si vuole prendere sul serio. La biblioteca risulta essere composta da un numero sterminato di volumi, talmente alto da sembrare infinito, ma tale numero non è infinito, in quanto si tratta di tutte le possibili combinazioni di 25 caratteri (22 lettere, la virgola, il punto e lo spazio) in volumi costituiti da 410 pagine, ciascuna con 40 righe (e 40 caratteri per riga).(3) Alla fine del racconto il narratore ipotizza che la biblioteca sia infinita ma semplicemente nel senso che la sterminata serie di volumi potrebbe ripetersi ciclicamente infinite volte.
Il nodo è questo: tale biblioteca contiene “tutto ciò che è dato esprimere, in tutte le lingue”.

Togliamo la questione degli innumerevoli e preponderanti volumi privi di senso, con accozzaglie mostruose di lettere, togliamo per ipotesi anche i volumi ibridi, con frammenti di senso che navigano in mari di “insensate cacofonie” (temi su cui peraltro è imperniato gran parte dello sviluppo narrativo). Consideriamo solo i volumi sensati. Ci troviamo comunque di fronte a un’idea paradossale: la quantità di cose esprimibili non è infinita!

Ciò significa, ad esempio, che le opere d’arte che è possibile scrivere sono un numero finito, quindi che alla lunga la letteratura sarà destinata a finire, a meno di non doversi ripetere, ma anche che le teorie scientifiche possibili non sono infinite, quindi a un certo punto la ricerca avrà un termine perché avremo scoperto tutto quello che c’era da scoprire.
E la storia? Sembrerebbe che finché la storia va avanti, i libri che la raccontano debbano essere sempre diversi, ma allora? Dobbiamo concludere che siccome la quantità di cose che possiamo esprimere è finita allora anche la storia debba interrompersi?
E qui arriviamo al vero paradosso: ipotizziamo di prendere solo i libri di storia della biblioteca di Babele. Sono tantissimi, ma un numero finito. Ipotizziamo che ogni volume racconti la storia di un secolo, e che la storia non si ripeta mai ma sia sempre diversa. Si può argomentare così: per quanto grande, il numero dei volumi di storia della biblioteca di Babele sarà n, corrispondente a n secoli. Ma la storia potrebbe durare n+1 secolo. Il volume che descrive quel secolo n+1 non è contenuto nella biblioteca. Chiediamoci però: il volume che descrive il secolo n+1 non è comunque composto di caratteri come gli altri? Se la biblioteca contiene tutte le combinazioni possibili dei caratteri non dovrebbe contenere anche quel volume??

Ma le lingue non sono entità storiche?
Ipotizziamo che le lettere di un alfabeto (poco importa se siano 21, 26 o altro numero) rappresentino in maniera sufficientemente efficace tutti i suoni che l’apparato vocale umano è in grado di produrre (parliamo di specie umana: certo si può dire che anche la specie umana è in evoluzione e in futuro i suoni producibili potrebbero essere diversi, ma allora direi che comunque la gamma dei suoni producibili in futuro non dovrebbe essere infinita…).
Bene. Aquesto punto anche le variazioni lessicali, grammaticali, sintattiche prodotte dal mutare storico delle lingue vengono “catturate” dall’ipotesi dell’insieme di tutte le possibili combinazioni di questo numero finito di caratteri moltiplicato esponenzialmente per il numero di caratteri per riga, righe per pagina eccetera. A un certo punto nasce una parola nuova? E’ sicuramente già presente nella Biblioteca. Nasce una nuova forma grammaticale? Anche per questa vale lo stesso discorso.
Il punto è che se una forma linguistica è possibile (pronunciabile) allora esiste nella Biblioteca.

La cosa strana, conturbante, è la finitezza della Biblioteca.
Su questo punto si potrebbe obiettare: perché i volumi devono avere 410 pagine e non di più, o di meno? Risponderei che occorre pensare a un numero sufficientemente alto di pagine per volume perché tale numero costituisce l’ampiezza dell’unità di senso che va ipotizzata se vogliamo parlare di opere d’arte, opere scientifiche eccetera. I due numeri importanti, per formulare il paradosso, sono il numero dei caratteri dell’alfabeto e il numero delle pagine per volume: è importante solo che siano numeri finitie che corrispondano più o meno alla realtà degli alfabeti naturali e dei volumi nei quali solitamente si esprime l’ingegno umano, ma non è è importante ovviamente di quali numeri si tratti.
Un’altra obiezione: un’opera potrebbe richiedere più volumi (ad esempio la Recherche di Proust). Possiamo sempre immaginare, però, che un’opera di tal genere esista comunque nella Biblioteca, anche se “spalmata” su un numero di volumi forse diverso (e forse l’ultimo potrebbe essere composto da cento pagine sensate, la fine dell’opera, e poi pagine bianche: ricordiamo che nei caratteri base occorre pensare anche lo spazio, e le pagine bianche si possono intendere come iterazione dello spazio).

Il contrasto di fondo, che produce il paradosso, risiede nella finitezza della Biblioteca rispetto alla presumibile infinità di cose/eventi che possono essere descritti, espressi, narrati, teorizzati.

(Sulle conseguenze cosmologiche di questo paradosso si vedano i post seguenti:

Traiettoria finita della freccia del tempo

Risposta alle obiezioni di Italo Nobile Contro l’infinito

(1) Il racconto si trova nella raccolta Finzioni, che comprende a sua volta due raccolte. Nella premessa alla prima, Il giardino dei sentieri che si biforcano, Borges scrive: “Non sono il primo autore del racconto La biblioteca di Babele; i curiosi della sua storia e preistoria potranno interrogare una certa pagina del numero 59 di “Sur”, in cui figurano i nomi eterogenei di Leucippo e di Lasswitz, di Lewis Carroll e di Aristotele”.
La Biblioteca Universale, di Lasswitz, è un importante antecedente del racconto di Borges.
(2) Mauro Boffardi si è spinto molto oltre nel cercare di immaginare la struttura… La descrizione di Borges è stata analizzata anche da Umberto Eco nel saggio Les sèmaphores sous la pluie.
(3) Daniele Raffo ha costruito un simulatore che consente di sfogliare pagine a caso della Biblioteca di Babele. Provare per credere!!!

Dal blog di Giulio Napoleoni.


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