Stranezze azzurre, a San Siro. L'Italia gioca di domenica, una consolidata consuetudine fino alla metà del secolo scorso o giù di lì, ma in seguito evento estremamente raro (che accade, quando accade, quasi esclusivamente nelle fasi finali di Mondiali ed Europei). E, fatto ancora più insolito, la nostra Nazionale affronta una sfida interna di qualificazione nelle vesti di sfavorita. Non è il caso di stracciarsi le vesti: le urla di ribellione, casomai, andavano lanciate qualche annetto fa, quando scelte suicide di mercato e strategie sparagnine di tanti celebrati trainer cominciarono a frenare la crescita dei nostri giovani. Oggi, non resta che prenderne atto e adattarsi con umiltà al basso profilo, in attesa di tempi migliori (che però non arriveranno per miracolo divino), cercando di trarre il massimo da un materiale umano non esaltante ma neppure così modesto da indurre alla disperazione.Tutto questo per dire che, sì, ci stanno gli applausi, i visi soddisfatti e i sospironi di sollievo per l'1 a 1 con la Croazia maturato al Meazza, in un contesto di diffusa inciviltà: italiana (i fischi all'inno, ormai deprecabile tradizione) e soprattutto croata (controfischi, lancio di fumogeni, teppismo assortito sugli spalti, con tanto di sospensione forzata del match). Incivile, o comunque sintomo di inefficienza ai massimi livelli, è anche consentire a questa gentaglia di introdurre certo materiale negli impianti, un mistero poco gaudioso che si trascina da decenni.
TECNICAMENTE INFERIORI - Tornando al calcio, la selezione biancorossa è, al momento, più collaudata, organizzata e tecnicamente dotata della nostra: se poi sei costretto ad affrontarla con l'handicap dell'assenza di due - tre titolari chiave, beh, non puoi pensare di cavartela a buon mercato. Gli azzurri sono stati quasi costantemente in soggezione nella zona nevralgica, là dove prende corpo la manovra, ed era ampiamente prevedibile: i palleggiatori croati hanno irretito con facilità estrema il nostro reparto di mezzo, che non aveva fosforo e lucidità da opporre in quantità sufficienti. Inevitabile: oggi come oggi, Conte non può rinunciare contemporaneamente al suo attempato creatore di gioco, il Pirlo in crescita delle ultime uscite juventine, a un Verratti che potrebbe surrogarlo degnamente, pur con caratteristiche diverse, e a un Bonucci essenziale per la sua capacità di impostare dalle retrovie. SQUADRA ACEFALA - Era dunque un Club Italia acefalo, che per le sue scarne luminarie offensive si affidava alle estemporanee giocate del duo Immobile - Zaza: pressoché nullo in fase conclusiva, ma abile (soprattutto col golden boy del Sassuolo) a creare varchi, portar via difensori, appoggiare i compagni in inserimento. Proprio da un'azione simile, difesa della palla di Zaza in area e tocco all'indietro per Candreva, nasceva il vantaggio dei nostri, realizzato dall'esterno laziale con una fiondata dalla distanza finalmente precisa, dopo tanti, troppi tiri fuori bersaglio nelle precedenti uscite azzurre. Prima, i nostri avversari avevano tenuto pallino ma creando un solo autentico pericolo, una ciabattata di Vida altissima da posizione ultra - favorevole; a rovinare tutto ci pensava Buffon, con una delle topiche più clamorose della sua carriera: destro telefonato di Perisic e pallone sotto il ventre. DE ROSSI IN TRINCEA - Al di là del colossale infortunio di Gigi, l'undici di Conte non incantava, ma faceva il suo con dignità: superava lo shock dell'infortunio di Pasqual grazie all'ingresso di un Soriano dinamico e intraprendente, e si avvantaggiava dell'uscita di Modric, fondamentale uomo - squadra del team di Kovac. Il trio difensivo, del tutto improvvisato, teneva botta con mestiere, grazie anche alla copertura di un De Rossi che rinunciava pressoché completamente alla propulsione per dirigere il traffico in fase di filtro, mentre Ranocchia trovava il suo momento di gloria con un provvidenziale salvataggio sulla linea su conclusione di Olic, antico nostro castigatore al Mondiale 2002.
IL RITORNO DEL FARAONE - L'inaudita sofferenza della prima metà della ripresa (ma anche questa, a ben vedere, con pochi veri pericoli per la nostra porta) nasceva, oltreché dall'elevato ritmo impresso al match dagli ospiti, da una mal concepita alchimia tattica del cittì, che immetteva El Shaarawy per Immobile affidandogli però compiti eccessivamente difensivi, col risultato di schiacciare troppo verso Buffon la squadra (anche perché, ripetiamo, non c'erano i titolari maggiormente predisposti a far ripartire l'azione), mentre il povero Zaza pagava un elevato debito atletico all'assurdità di dover tenere botta da solo contro l'intera terza linea croata. Per fortuna, il Faraone made in Genoa era una pentola in ebollizione, dopo un'anticamera troppo lunga: si impadroniva del match e trascinava l'Italia fuori dalla trincea, armando una serie di tiri verso la porta di Subasic (uno dei quali terminava alto di un nulla). L'ingresso di Pellè, centravanti vecchio stampo, abile a impegnare i rivali anche solo su un piano meramente fisico, consentiva ai nostri di rinsaldare ulteriormente il controllo della partita, fatto salvo un inopinato rischio in contropiede corso nel finale, con Perisic che si presentava da solo davanti a Buffon ma calciava a lato. CIRO E ZAZA ABBANDONATI A LORO STESSI - Sarebbe stata una punizione eccessiva, per un'Italia in totale emergenza. Senza qualcuno che regga le fila della manovra, che produca idee sulla mediana, difficile andare al di là della prestazione "tutto cuore". Un peccato, perché a tratti si è persino vista più precisione di tocco rispetto al recente passato, in alcuni pregevoli scambi sulla trequarti: ma sono state fiammate, affidate più all'estro dei singoli che frutto di un'organizzazione corale. Se non hai cervelli non puoi batterti ad armi pari con avversari così forniti di classe, soprattutto se l'alternativa tattica, ossia lo sfruttamento delle fasce, rimane un progetto incompiuto: De Sciglio, che pure ha fatto il suo in copertura, non riesce proprio a trovare continuità di spinta, arrivando troppe poche volte al cross.
In un contesto così dimesso è risultata totalmente depotenziata anche la promettente coppia gol Immobile - Zaza: soprattutto il "tedesco" non ha saputo andare oltre il lavoro oscuro: ma erano troppo isolati, in una squadra spezzata in due tronconi. Osservando certe fasi del match, mi sono trovato a pensare che il Balotelli dei primi tre anni in azzurro, un Mario "a posto" fisicamente e mentalmente, avrebbe potuto, anche in una compagine così precaria, creare qualche preoccupazione in più alla retroguardia di Kovac. Ma è un discorso già trito e ritrito. Casomai, occorrerà valutare se sia opportuno continuare nella costruzione del "monumento Buffon", visto che da almeno un anno il portierone non è più un autentico valore aggiunto. Sirigu e Perin scalpitano...