Prima vorrei che leggeste queste poche righe tratte dal saggio di Luigi Pirandello sull’umorismo.
«[…] Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.»
Il dubbio espresso dal titolo del post sembra collimare con ciò che Pirandello rappresenta col suo esempio: Ma è davvero possibile riuscire programmarsi la faccia da santino elettorale e ostentare pure la passione di chi crede in ciò che afferma, anche se la “Storia” dimostra il contrario? Oppure si è coscienti della maschera che la circostanza impone e, con indicibile travaglio, si accetta d’immolare la dignità sull’altare della Causa?
A voi la scelta.