Il fatto da cui dobbiamo partire è che il suo partire non è stato dettato da sogni di rottura piccolo-borghesi, intothewild-allascopertadisé. Ha sempre vissuto a Parigi, famiglia mediamente benestante, infanzia di sinistra ecologista, adolescenza (e tutto il resto) anarchica. Genitori politicamente impegnati, ascoltavano ‘musique du monde’ e non avevano sogni ingombranti per i propri figli. La sua partenza risponde ad una voglia semplice, chiara, andare a vivere con persone sconosciute, lottare per le cause giuste insieme e non dover rispondere ai quadri bio-accademici del 3+2 e della ricerca dello stage migliore e meno sottopagato.
Ulisse decide di partire, dunque, prende un treno (senza biglietto perché è in una “black mutuelle”, magari un’altra volta di questo ne parlerò) ed arriva in Italia, a Torino. Sua sorella vive lì e gli consiglia di rinnovare il passaporto ché, presentandolo ai controllori del treno, risparmierebbe il passaggio per la questura. Ulisse prende in considerazione l’avviso della sorella e, una volta rientrato a Parigi, dopo tre multe e due autostop, si reca alla “sous-préfécture” del suo arrondissement e si mette in coda allo sportello “passaporti”. Arrivato il suo turno, l’impiegato gli elenca i documenti necessari per il rinnovo e lo invita ad appoggiare i polpastrelli su uno scanner laser per prendere le impronte digitali: “Il nuovo passaporto biometrico, normale prassi, non si preoccupi”. Ulisse invece si preoccupa. Riusce a reagire trovando un giusto mezzo, tra il dare fuoco alla prefettura e rimanere in silenziosa e garbata indignazione. Guarda l’impiegato sorridendo e gli chiede di mettere a verbale che egli rifiutava di dare le sue impronte digitali. L’altro dietro il vetro bucherellato lo guarda stranito, non capisce e gli dice: “Io lo posso pure scrivere ma non credo che accetteranno la sua richiesta”. Gli occhi azzurrini di quel giovane trentenne pacato e sinceramente dispiaciuto fanno ricordare a Ulisse l’unico anno in cui studiò la filosofia, quando lesse Hannah Arendt, e la sua descrizione di Eichmann, quel bonaccione, banale e terribile.
Ulisse, prese il suo nome e la sua fragile identità di viaggiatore anarchico e decise che in fondo non aveva bisogno di un passaporto biometrico. Avrebbero preso le sue impronte e le sue fotografie in seguito, durante un fermo di polizia in metropolitana a Bruxelles, mentre distribuiva volantini contro la costruzione di una nuova prigione.