Non si può certamente dire che Carofiglio non abbia mestiere come scrittore.
Con questa storia tutto sommato semplice - e per certi versi anche un po' scontata - è riuscito a tenermi attaccata al libro per un intero fine settimana, fino a quando all'una della domenica notte non ho letto l'ultima riga e finalmente spento la luce.
Questo romanzo non appartiene alla serie dell'avvocato Guerrieri; è stato scritto dopo che già erano usciti Testimone inconsapevole e Ad occhi chiusi. Si tratta, in qualche modo, di una digressione dalla vicenda di Guerrieri, rispetto alla quale l'unica cosa a non cambiare è l'ambientazione, Bari, questa volta ritratta nella sua dimensione notturna e clandestina degli anni Ottanta.
Protagonista è Giorgio, uno studente modello di giurisprudenza, di cui si racconta l'amicizia con Francesco, nata per caso una sera ad una festa. Francesco è un personaggio affascinante, è inserito negli ambienti più diversi della città, bara alle carte, ha tutte le donne che vuole. Giorgio ne è conquistato al punto da lasciarsi andare a una vita di emozioni, avventure, rischi, vincite milionarie, truffe, persino violenza, una vita in cui tutto quello che ha fatto sino ad allora non ha più significato. Sarà una specie di discesa senza freni per un pendio che il lettore sa fino dal principio che porterà Giorgio vicino all'autodistruzione.
Corre parallela la storia di un altro Giorgio, un tenente dei carabinieri che viene dal Nord e che sta indagando su una serie di stupri che sembra apparentemente non aprire alcuna pista alle indagini. Anche lui segnato dalla vita e da un passato con cui sta ancora facendo i conti.
Mentre le pagine scorrono sotto i nostri occhi, si ha netta la sensazione di avere di fronte più la sceneggiatura di un film (che è stato poi immancabilmente tratto dal libro per la regia di Daniele Vicari) che un'opera letteraria in senso stretto. La scrittura di Carofiglio è infatti estremamente visuale e la storia, che sul piano letterario non è del tutto compiuta e ben riuscita (troppi interrogativi restano appesi e quasi dimenticati nella vicenda personale del tenente Giorgio Chiti, troppo improvviso e senza tentennamenti veri il cambiamento di vita di Giorgio Cipriani), riesce invece a creare un'attesa più narrativa che di senso.
A me personalmente la discesa agli inferi del giovane Giorgio ha suscitato una sensazione profonda di fastidio; diciamo che Giorgio è la tipica persona che avrei l'impulso di prendere a schiaffi per quel senso di istupidita ricerca di una vitalità effimera propria di chi vive un'adolescenza infinita e indefinita. Ok, sono una vecchia bacchettona...
Ma voglio provare a spiegarmi. Capisco perfettamente il peso che può esercitare una vita di cui si conosce in anticipo tutto; comprendo il tentativo di cercare una via alternativa a quello che tutti si aspettano da noi e che spesso eseguiamo senza fiatare a scapito della nostra felicità; accetto la necessità di una rottura, di una ribellione, di uno scompaginamento che è l'unica condizione per diventare veramente adulti. Non comprendo però in alcun modo la stupidità, il bisogno di vivere ai limiti, di cercare artificiali metodi di leggerezza.
A dire la verità, penso che, sebbene vivere con leggerezza sia l'ambizione e il desiderio di tutti e sentire costantemente la scarica di adrenalina nel proprio corpo sia ben più eccitante della routine quotidiana, la vera sfida sia accettare questa nostra vita umana con le sue pesantezze e la sua noia e riconoscere in questo flusso incolore ciò che invece non lo è.
Ok, sono una bacchettona. Mi pare però che questa riflessione sia presente anche in una delle frasi iniziali di Giorgio, da cui emerge la sua personalità: "Io [...] ero sempre stato incuriosito da quel mondo diverso. E alla curiosità si mescolava una specie di invidia. Per una vita che sembrava più facile, meno problematica; non segnata da un esercizio, a volte ossessivo, del senso critico." (p. 46)
Ebbene, io credo che sia "l'esercizio, a volte ossessivo, del senso critico" che ci uccide e al contempo ci salva.
Voto: 3/5
P.S. Comunque, che vi devo dire, preferisco Guerrieri, soprattutto se facesse un po' pace con la sua malinconia esistenziale.