Il passato in due città

Da Giulia Calli @30anni_Giulia

Per quanto il tempo passi e sappia per fortuna curare molte ferite, ci sono dei doloretti che tornano improvvisi a farsi sentire fra le costole e l'esofago quando cammino per certe strade qui al nord. Anche con il sole, anche in un contesto completamente diverso da quello di anni fa. Quando torno a passeggio fra Milano e la cittadina di V, nonostante mi senta serena e concentrata su nuovi aspetti della mia vita, c'è una parte di me che regredisce a quell'inquietudine passata.

Tornare in queste città che mi hanno visto crescere in un'epoca speciale, destreggiandomi fra sentimenti contrastanti e fughe dietro sbattere di porte, non è tanto dissimile dal tornare a casa dei miei. Loro mi accolgono con il loro essere sempre un po' uguali, nella casa che mantiene il suo profumo; però magari hanno cambiato la disposizione dei mobili, mi accorgo che c'è qualcosa di diverso mentre loro se ne sono già dimenticati. Ah sì, è vero, è successo mentre non c'eri.

Così una città cambia costantemente mentre tu non ci sei, presa dal fluire delle persone e dei palazzi che crescono o che crollano, degli scorci colorati di luci al neon dove prima c'era solo aria grigia. Ma allo stesso tempo, in mezzo a tanto cambiamento e mentre ricordo quello che non c'è più, mi viene in mente come mi sentivo quando passavo per quelle strade, l'inquietudine latente che scalpicciavo durante la settimana e poi mi si accomodava invadente sulle spalle la domenica pomeriggio. Quel desiderio che le cose cambiassero, senza che ancora sapessi dare un nome al cambiamento. Esattamente come quando passavo pomeriggi interi nella mia camera al paesello, aspettando il momento di crescere.

Eppure riesco a cogliere nuovi dettagli che mi attraggono, posso camminare spensierata fra l'acciottolato di Brera e sedermi su una panchina in via Paolo Sarpi ammirando il melting pot che fa la coda di fronte a una ravioleria cinese. Riesco a perdermi nella cittadina di V e a pranzare in quell'osteria che mi piaceva tanto, dove ci sono ancora il pianoforte e la bacheca con gli annunci degli studenti dell'università. Mi ricordo sorridendo di quella volta che ho passato un pomeriggio intero su una terrazza affacciata sul chiostro universitario o di quando la sera, dopo la lezione di italiano per stranieri, imbracciavo la malandata ma fedele bici e correvo sussultando fra i ciottoli del pavé, pregando che le ruote non cedessero. Identifico momenti felici e me li tengo stretti, prima che arrivi a colpire il doloretto allo sterno che mi lascia silenziosa.

Ho mal di Barcellona, lo devo ammettere. Mi manca la città che ho eletto casa mia, dove il passato è poco e quello che c'è non punge fra le costole.

Per quanto il tempo passi e sappia per fortuna curare molte ferite, ci sono dei doloretti che tornano improvvisi a farsi sentire fra le costole e l'esofago quando cammino per certe strade qui al nord. Anche con il sole, anche in un contesto completamente diverso da quello di anni fa. Quando torno a passeggio fra Milano e la cittadina di V, nonostante mi senta serena e concentrata su nuovi aspetti della mia vita, c'è una parte di me che regredisce a quell'inquietudine passata.

Tornare in queste città che mi hanno visto crescere in un'epoca speciale, destreggiandomi fra sentimenti contrastanti e fughe dietro sbattere di porte, non è tanto dissimile dal tornare a casa dei miei. Loro mi accolgono con il loro essere sempre un po' uguali, nella casa che mantiene il suo profumo; però magari hanno cambiato la disposizione dei mobili, mi accorgo che c'è qualcosa di diverso mentre loro se ne sono già dimenticati. Ah sì, è vero, è successo mentre non c'eri.

Così una città cambia costantemente mentre tu non ci sei, presa dal fluire delle persone e dei palazzi che crescono o che crollano, degli scorci colorati di luci al neon dove prima c'era solo aria grigia. Ma allo stesso tempo, in mezzo a tanto cambiamento e mentre ricordo quello che non c'è più, mi viene in mente come mi sentivo quando passavo per quelle strade, l'inquietudine latente che scalpicciavo durante la settimana e poi mi si accomodava invadente sulle spalle la domenica pomeriggio. Quel desiderio che le cose cambiassero, senza che ancora sapessi dare un nome al cambiamento. Esattamente come quando passavo pomeriggi interi nella mia camera al paesello, aspettando il momento di crescere.

Eppure riesco a cogliere nuovi dettagli che mi attraggono, posso camminare spensierata fra l'acciottolato di Brera e sedermi su una panchina in via Paolo Sarpi ammirando il melting pot che fa la coda di fronte a una ravioleria cinese. Riesco a perdermi nella cittadina di V e a pranzare in quell'osteria che mi piaceva tanto, dove ci sono ancora il pianoforte e la bacheca con gli annunci degli studenti dell'università. Mi ricordo sorridendo di quella volta che ho passato un pomeriggio intero su una terrazza affacciata sul chiostro universitario o di quando la sera, dopo la lezione di italiano per stranieri, imbracciavo la malandata ma fedele bici e correvo sussultando fra i ciottoli del pavé, pregando che le ruote non cedessero. Identifico momenti felici e me li tengo stretti, prima che arrivi a colpire il doloretto allo sterno che mi lascia silenziosa.

Ho mal di Barcellona, lo devo ammettere. Mi manca la città che ho eletto casa mia, dove il passato è poco e quello che c'è non punge fra le costole.

Giulia. Trent'anni e qualcosa, dopo una separazione e molti traslochi, ora vivo in una scatola di fiammiferi di fronte al mare di Barcellona (♥). Ogni tanto riempio uno zaino e vado a esplorare il mondo. Se sono ben accompagnata ne sono felice, altrimenti cammino benissimo da sola. Per avere più dettagli clicca qui.

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