1993: età anagrafica del sottoscritto pari a 11 anni. usciva “The spaghetti incident”, disco di cover (invero piuttosto interessante) a firma Guns n’ Roses, fenomeno rock mondiale finora a me sconosciuto, come, all’epoca, tutto il resto della musica di un certo tipo. Prima di allora la differenza principale stava non nell’assenza/presenza di musica di qualità nelle mie orecchie, ma nella volontà di cercarla, conoscerla, e poi pure suonarla.
Circa un anno di monomania G’n’R, dalla quale se ne uscirono gli Iron Maiden, e con essi (siamo nel 1995) lavoretti estivi per potersi finanziare la loro discografia. Nottate a servire e sparecchiare nelle più amene feste campestri, pagato (poco) a cottimo. I doppi CD in questione, ora un’edizione piuttosto rara, costavano 22.000 lire. Tanta roba.
Il ’96 verrà ricordato come anno dei Metallica, four horsemen di cui faccio la conoscenza nel modo peggiore, attraverso “Load”. Fortunatamente insieme a esso (o la settimana successiva) avevo acquistato il “Black album”. Già meglio, ma niente in confronto allo shock di “Master of puppets”, avvenuto di lì a poco. Come per molti strimpellatori di sei corde, anche per il sottoscritto quel disco ha significato molto, in termini di ispirazione, studio, ore e ore di prove. Già, perché risale a quei giorni ormai mitologici la prima fun-band liceale, che allegramente se ne andava in giro per sale prove, con bus, treni, e altri mezzi di fortuna, stipati di custodie, strumenti e cavi, facendo finta di suonare.
Fatta la conoscenza col thrash, il passo verso il metal estremo era assai breve, e siccome in quegli anni era il black metal a essere sulla cresta dell’onda, venire in contatto con quelle sonorità fu abbastanza facile. In primis furono i Cradle of Filth, e poi Darkthrone, Dimmu Borgir, Satyricon, Emperor, Mayhem, Carpathian Forest, Immortal. I soliti noti della nera fiamma, ma fondamentali tasselli di un mosaico di conoscenze musicali.
In quegli anni travagliati di adolescenza scapestrata è più che probabile che la misantropia norrena abbia risuonato con facilità nell’inquieta interiorità che mi contraddistingue, formando un composto altamente instabile e infiammabile, rinvigorito da innesti doom, death, gothic. Di tutto un po’, insomma, fra i quali scoperte fondamentali furono, fra gli altri, Anathema, Ulver, Katatonia, Moonspell, My Dying Bride, Voivod, Enslaved. Curioso addendum alla ricetta di cui sopra, il grunge, certo agli antipodi per sonorità, ma non del tutto estraneo come atmosfere emozionali.
2000. Cambio di secolo, cambio di sonorità. Arriva il ciclone nu-metal, e un altro tipo di agitazione in musica, rappresentato da Korn (primo avvistamento in un centro commerciale francese, estate’99), System of a Down (siamo già all’università), Mudvayne, Disturbed, Slipknot e, soprattutto, Tool.
Maynard e soci, nuova ossessione, nuovo culto monomaniacale, che ha contribuito, e non poco, a riunificare frammenti e generi che si stavano un po’ perdendo nel cosmo interiore di una percezione sempre più ondivaga.
Tool, e poi ancora Opeth, Radiohead, Dredg, Faith no more, Mr. Bungle, Isis, Rammstein, Xasthur, Yakuza, Shining, Pig Destroyer, Lifelover, in un fluire ininterrotto di esperienze in musica, che lentamente, insaziabili, s’allargano in ogni direzione, jazz, grindcore, folk, ecc…
Flash-forward, 2011, la passione musicale è sempre quella, e anzi, le si è aggiunta un’appendice critica, nella misura in cui delle recensioni possono essere considerate tali. Certamente una bellissima esperienza e opportunità di conoscere, spesso in modalità random, nuove realtà.
Trascritto in frasi di senso più o meno compiuto, questo passato in musica è tutto tranne che originale e anti-convenzionale, ma fa il paio con esperienze, vita vissuta, vita interiore, da esso indissolubili. Difficile immaginare la mia stessa esistenza senza questo background musicale, senza il costante flusso, non sanguigno, ma quasi, di tutta questa arte dei suoni.
Probabilmente poco, oltre la musica, ha potuto bilanciare e rovesciare la spinta (auto)distruttiva, e renderla, a suo modo, creativa, vitale.
Music is life, anche la più oscura, nichilista, aggressiva, è in realtà espressione di uno spirito positivo, o quanto meno trasformazione alchemica di impulsi negativi in esiti positivi.
E la magia dell’arte del suono sta fondamentalmente in questo, nella libera espressione del proprio io, oppure nel raccordo fra varie individualità, che concorrono a creare una narrazione sonica delle proprie sensazioni, del proprio personale Zeitgeist.
Mi fa sempre riflettere come sia possibile sentirsi così profondamente vicini e prossimi agli sconosciuti musicisti che si amano, che ci accompagnano giorno dopo giorno, album dopo album, quasi fossero degli amici a distanza, nello spazio, nel tempo.
- Informazione non è conoscenza, conoscenza non è saggezza, saggezza non è verità, verità non è bellezza, bellezza non è amore, amore non è musica. La musica è il meglio. (Frank Zappa)
- La musica è una macchina per sopprimere il tempo. (Claude Lévi-Strauss)
- La musica fa suonare anche il legno secco e la pelle d’asino. E rende palpabili i sottili legami fra lo spirito, i corpi, le cose, che non ci stanchiamo mai di cercare, con buona pace dei matematici del benessere sensoriale. (Pierangelo Sequeri)
- La musica, intesa come espressione del mondo, è una lingua universale al massimo grado, e la sua universalità sta all’universalità dei concetti più o meno come i concetti stanno alle singole cose. (Arthur Schopenhauer)
- Mi piace pensare alla musica come a una scienza delle emozioni. (George Gershwin)