Il Patriarca

Creato il 30 giugno 2010 da Gadilu

Tra cronaca e storia, a un mese dalla morte di Silvius Magnago un libro ripercorre la vicenda umana e politica del “patriarca” dell’autonomia sudtirolese filtrandola prismaticamente grazie alla raccolta dei giudizi espressi da alcuni protagonisti del discorso pubblico locale.

È passato un mese dalla morte di Silvius Magnago. Un mese dalla morte del politico che – nelle parole di Luis Durnwalder pronunciate appena appresa la notizia  – “non è stato solo per trentadue anni il nostro Presidente, non è stato solo la personalità che ha guidato il Sudtirolo in uno dei periodi più difficili della sua storia”, ma ha incarnato il destino di questa terra fino a identificarsi completamente con essa (“Silvius Magnago era il Sudtirolo”, così ancora Durnwalder). Il giudizio è incontestabile. Ma nell’enfasi generata dalla commozione sembra anche che qualcosa sia andato inevitabilmente perduto. Nessuna persona può infatti riassumere alla luce della propria biografia, per quanto centrale, l’intero contesto nel quale essa si colloca. Senza contare le fratture interne, le contraddizioni operanti già all’interno di quella stessa vicenda personale. All’immagine di un monolite dobbiamo quindi sostituire quella del prisma. E cercare di scorgere rifrazioni complesse e magari dissonanti. Questo è il compito specifico della storia.

Proprio per favorire un passaggio dalla cronaca alla storia, la casa editrice Praxis 3 ha fatto uscire un instant book (a cura di Claudio Calabrese e intitolato “Il Patriarca”) che ci offre non solo un ritratto dell’uomo e del politico Magnago scandito dagli accadimenti più noti (la mutilazione sul fronte russo, l’impegno politico nel partito di raccolta, la svolta di Castel Firmiano, la sofferta tessitura diplomatica e giuridica che portò all’approvazione del “pacchetto” e al varo del secondo statuto d’autonomia, fino alla rinuncia – nel 1991 – della carica di Obmann della Svp appena un anno prima della chiusura della vertenza altoatesina), ma ne ricostruisce l’immagine selezionando e componendo come tessere di un mosaico le opinioni e i contributi espressi nei giorni e nelle settimane immediatamente successivi alla sua scomparsa. In questo modo, come detto, la staticità di un unico fotogramma emotivo si anima mediante un mobile prisma di ragionamenti che ci fanno comprendere meglio non solo il contesto entro il quale Magnago si è trovato effettivamente ad agire, ma gettano anche una luce sulla consistenza della sua eredità e sul profilo del Sudtirolo futuro.

L’aspetto più interessante del libro è costituito così dalla presenza di quelle voci critiche apparentemente ammutolite o comunque rese flebili dal cordoglio quasi unanime e pericolosamente tendente all’agiografia che ha caratterizzato il primo riflesso dell’opinione pubblica (sia da parte “tedesca”, com’era comprensibile, ma anche, per motivi che andrebbero certamente indagati, nel mondo di lingua italiana). Non si tratta con tutta evidenza di riattivare nuovamente contrapposizioni che il ruolo svolto da Magnago nel processo di pacificazione inerente la tortuosa questione sudtirolese rende per fortuna anacronistiche, ma di restituire maggiore oggettività e se vogliamo una più alta forma di giustizia a una figura che – proprio a causa della sua natura di “mediatore” – non nasconde tutte le oscillazioni sopportate per imporre le proprie idee.

Possiamo chiarire questo punto commentando quanto scritto recentemente da Roberto Alfatti Appetiti sul giornale Il Secolo d’Italia (cioè su un foglio dichiaratamente di “destra” e per questo motivo non suscettibile di troppe simpatie nei confronti dell’autonomia) in occasione della recensione del romanzo di Francesca Melandri “Eva dorme” (un libro nel quale si trovano molte pagine dedicate a Silvius Magnago): “Sì, perché il meranese Magnago (…) figlio di un magistrato trentino e di una altoatesina di lingua tedesca, aveva vissuto nella sua esperienza familiare l’integrazione come un arricchimento e la contaminazione culturale come un’opportunità”. A questo giudizio di Alfatti Appetiti – che non solo risulta sfocato rispetto alla verità storica, ma che addirittura fa assomigliare Magnago al suo più acerrimo avversario, Alexander Langer – si contrappone per esempio quello di Hans Benedikter, autore del libro “Silvius Magnago. Ein Leben für Südtirol” (Athesia), secondo il quale “l’opera di Magnago verrebbe vanificata se la divisione tra i gruppi linguistici dovesse venire meno” (FF, 27 maggio 2010). Come si vede, due punti di vista decisamente in contrasto, segno di un’esigenza di ricerca ancora tutta da sviluppare, da approfondire, a meno che non si voglia svilire per mezzo di un’icona la sostanza dei problemi ai quali neppure Magnago poteva dare una risposta definitiva.

Tra le tante testimonianze raccolte dal piccolo ma denso volume della Praxis 3, può essere utile riprendere allora quella data da Florian Kronbichler, in un editoriale scritto per il Corriere dell’Alto Adige il 30 maggio: “Quindi onore alla verità: la venerazione per il personaggio, per il mito, per tutto quanto Magnago è simbolo, è più che meritata, ma il mito ha preso il soppravvento sulla realtà storica. La commozione è sempre nemica della conoscenza. In questi giorni di addii e rimembranze si sono attribuiti qualità e ruoli al personaggio che, come minimo, devono sorprendere perché fanno a pugni con giudizi che di quell’epoca oggi comunemente diamo”. L’autonomia pensata da Magnago è stata lungimirante perché ha evitato l’esacerbazione di un conflitto più volte sul punto di degenerare, ma in un certo senso è rimasta anche succube di questo stesso conflitto non elaborandone una rimozione, o meglio una radicale decostruzione al livello di schema simbolico. Sarebbe compito nostro compiere questo passo ulteriore e procedere con rinnovato slancio verso l’edificazione di una “casa comune” nella quale l’integrazione sia vista “come un arricchimento e la contaminazione culturale come un’opportunità”. Per adesso l’unica cosa certa è che un simile obiettivo non potrà mai essere raggiunto se prima non avremo acquisito maggiore saldezza nella considerazione di un’epoca che la morte di Magnago ha (speriamo) sigillato. E proprio a questo scopo risulta consigliabile dedicare un’attenta lettura alle pagine de “Il Patriarca”.

Corriere dell’Alto Adige, 30 giugno 2010



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