Il Pensatoio
Uomini e Donne
di Nasreen
Lungi dall’essere una femminista convinta [all’epoca, credetemi, io, in piazza, non c’ero di sicuro], mi sono ritrovata spesso in questi ultimi tempi a riflettere su ciò che significa essere donna alla mia età.
Non ho idea di cosa passasse nella testa delle nostre sessantottine, ma di una cosa sono certa: non era questo a cui miravano. Niente affatto.
Avranno sicuramente desiderato più considerazione, più diritti di scegliere, più rispetto, più libertà ma, in cambio, non credo affatto avrebbero barattato tutto ciò che significa essere una donna. Dalla femminilità, dalla delicatezza, al rispetto per se stesse, ci siamo letteralmente giocate tutto ciò che ci rendeva “donne” per poter essere come gli uomini. Ma avere le stesse opportunità di vita e scelta degli uomini è un nostro diritto e ciò non dovrebbe portare al dover assomigliargli; in tal caso non facciamo altro che cadere dalla padella alla brace sminuendo il concetto stesso di pari opportunità. Aggiungendo il danno alla beffa, visto che purtroppo ce lo stiamo imponendo da sole.
Perché devo comportarmi come un uomo, bestemmiare come un uomo, parlare come un uomo, vivere come uomo per potere avere gli stessi diritti di un uomo? Non mi sembra che in cambio del Diritto di Paternità [che personalmente esecro come una delle peggior idiozie sindacaliste che abbia mai dovuto ascoltare] gli uomini abbiano dovuto cedere parte della loro mascolinità, infilarsi gonna e tacchi a spillo, depilarsi le gambe [che, da donna a donna, possiamo considerare senza ombra di dubbio come uno dei peggiori strumenti di tortura concepiti nella storia dell’umanità] e passarsi un filo di glass sulle labbra. Va bene, esistono uomini che lo fanno, ma questa è un’altra storia che rientra sempre in quella famigerata questione delle “scelte personali”.
La questione è tutt’altra. Ci siamo battuti per dei diritti e siamo cadute dritte dritte dentro un’altra forma di schiavismo, possibilmente peggiore della precedente. Per poter affermare il nostro diritto di uguaglianza ci sentiamo obbligate a comportarci da uomini, e se per caso una donna desidera essere una donna, magari un po’ a vecchio stampo, sono le sue stesse simili, colleghe della categoria, a demonizzarla come una povera stolta.
A conti fatti, mi chiedo, cosa c’è di male a desiderare un uomo che si prenda cura della sua compagna, della sua famiglia? Cosa c’è di sbagliato nel voler essere eleganti, raffinate, ad essere protette, rispettate e magari un po’ timide e pudiche? Qual è l’aspetto negativo del volersi occupare della casa e dei bambini? Perché non dovrebbero essere donne realizzate e serene quelle che fanno questa tipologia di scelte, e quindi di vita?
Potrebbero voler fare le poliziotte, manager e imprenditrici. Come no. È tutta una questione di scelte, appunto.
Come mai, però, nel momento in cui una donna desidera entrare in polizia deve abbassarsi a modificare il proprio comportamento e modo di parlare per poter “combattere” e relazionarsi con i colleghi? Perché dobbiamo sempre e comunque giocare a “chi piscia più lontano” pur di guadagnare il loro rispetto? Questa la chiamiamo uguaglianza e pari opportunità? Dove, in quale universo?
Il problema è che, dal mondo del lavoro, con le nuove generazioni, il problema si è fatto più radicato e preoccupante. Non si tratta più di doversi adattare all’uomo per poter svolgere una determinata mansione, si tratta di atteggiamento: le donne si sono mascolinizzate radicalmente.
Ecco che ci troviamo di fronte a ragazze che si sentono autorizzare a corteggiare gli uomini, a portarsi in borsetta preservativi (tante volte, capitasse l’occasione di una botta e via, meglio essere attrezzati, no?), bestemmiare come scaricatori di porto, fumare come ciminiere, ubriacarsi e scimmiottare l’atteggiamento grezzo e disinibito dei loro coetanei. Questi, ovviamente, di conseguenza si ritrovano intimiditi da queste nuove donne, che tutto sono tranne che “donne”; oppure inaspettatamente avvantaggiati da compagne che, a conti fatti, a parte fare pipì da in piedi, sbrigano tutto il lavoro pesante e scorrazzano tutto il giorno come trottole impazzite pur di arrivare a fare l’impossibile.
Provarci con una donna? E perché quando tanto ce ne sono una decina pronte a saltarti letteralmente addosso? Corteggiare una donna per conquistare la sua fiducia e i suoi favori, con tempo e perseveranza? Perché, quando basta svoltare l’angolo per trovarne una quindicina belle che svestite?
Cercare di fare colpo su una donna al primo appuntamento con fiori, cene, galanteria? Tutta roba di altri tempi! Perché sprecarsi quando di fronte si ha una donna che ha lo stesso atteggiamento del proprio migliore amico, imprecazioni annesse e connesse.
Non ci sono più ruoli, consuetudini, giochi di seduzione, timidezze, incertezze o insicurezze. Oggi abbiamo l’arroganza di poter dire ciò che vogliamo e quando lo vogliamo, senza preoccuparsi di essere considerati poco educati, inadeguati, poco femminili: oggi vogliamo considerarci uguali. Purtroppo.
La necessità di trovare un compagno forte e in grado di provvedere a noi? Così demodé e da sottomessa! Oggi noi donne facciamo da sole! Ci manteniamo da sole, corteggiamo, siamo sfrontate, arroganti e guerriere! E chi ha bisogno degli uomini!
Certo, come no. Allora perché non passare direttamente alla banca del seme, mettere su famiglia e poi, con tutta calma, scegliersi un amichetto da vedere nei weekend, nel tempo libero, senza l’obbligo di doverlo sposare, accudire, sfamare, sedurre ogni santa sera anche quando, stremate da una giornata di lavoro, dobbiamo preoccuparci di essere belle e desiderabili pur di non vederli correre dietro alla pollastra di turno?
Qualcuno mi spiega, di grazia, cosa ci abbiamo effettivamente guadagnato da questa fantomatica parità dei sessi? La possibilità di andare a ballare la sera? Fare parapendio se ci salta il grillo all’improvviso? Andare a lavorare 8 ore in ufficio e guadagnare uno stipendio, che ne andrà comunque per pagare lavanderia, babysitter, cibi precotti e donna delle pulizie? Abbiamo effettivamente conquistato qualcosa? A conti fatti no, anche se non ci piace ammetterlo.
Non veniamo più protette, rispettate come creature da proteggere e stimare. Magari era tutta un illusione, vero, ma se non altro se avevamo bisogno di aiuto era onorevole, per un uomo degno di questo nome, accorrere in nostro aiuto. Non veniamo più corteggiate, magari viziate, o forse ingannate chissà, ma quanto era dolce quell’attimo in cui credevamo di essere le uniche? Senza contare che, salvo i casi di estremo maschilismo, le donne avevano comunque armi – magari più fini ed eleganti – per far sentire la loro voce e opinioni, soprattutto in casa, nel loro regno.
Oggi non abbiamo conquistato che maggiori doveri che, per orgoglio e niente altro, dobbiamo adempiere, e nessun diritto. Ancora oggi esistono lettere di dimissioni in bianco per donne che vengono assunte con l’obbligo di non rimanere incinte per un tot di tempo, esistono donne senza lavoro proprio perché vicine alla trentina e quindi in età – oggi – di matrimonio (oh mio Dio!), esistono donne che vengono vessate sul luogo di lavoro, ricattate o obbligate a sminuire loro stesse in impieghi sottopagati e inferiori alle loro potenzialità perché i ruoli dirigenziali sono ad unico appannaggio degli uomini.
Abbiamo le quote rose in parlamento (altra idiozia profondamente maschilista!), veniamo trattate alla stregua di belle cavalle da esibire in programmi televisivi, sfilate e saloni di auto dove, se non c’è una bella puledrina con le cosce al vento, l’uomo non si sente realizzato. E la cosa triste è che invece di rispettarci per la nostra bellezza, ci siamo convinte che esibirci come bestie al macello non sia altro che una forma di emancipazione! Siamo noi, le prime, a convincerci che sia da “fighe”, quando non stiamo facendo altro che fare il loro gioco. Siamo belle, ci sentiamo attraenti, e ci rendiamo il passatempo erotico visivo degli uomini, e ci piace. Perché? Quanti strati di prosciutto abbiamo davanti agli occhi per non renderci conto di quanto, con la nostra fantomatica emancipazione, abbiamo effettivamente perso?
A conti fatti, questo bilancio di ciò che abbiamo sacrificato e guadagnato, da quale parte pende? Possiamo mandare al diavolo mariti, padri e compagni? Decidere della nostra vita? Avere voce in capitolo in casa, in ambito organizzativo ed economico? Forse sì, ma abbiamo sacrificato femminilità, dolcezza, rispetto per noi stesse, eleganza, educazione e amor proprio. Perché non possiamo essere ciò che siamo sempre state, perché dover essere il “sesso forte” quando, ammettiamolo, non siamo mai state veramente “deboli”? Solo per il fatto di essere sopravvissute a secoli di maschilismo radicale, tutto possono dirci tranne che deboli!
Non possiamo avere un po’ di equilibrio? Per noi stesse e, sì, anche per questi uomini che abbiamo praticamente castrato, e che tutto sono tranne che uomini su cui fare affidamento, salvo che in rarissimi casi. Non possiamo riconquistare il diritto di essere donne, di scegliere e di uguaglianza mantenendo la consapevolezza dei nostri ruoli?
Il problema è che, ancora oggi, con tutta la nostra emancipazione e cultura, non vogliamo renderci conto che uomini e donne non sono e devono essere uguali, sono esseri complementari. Questo non ci deve e non ci può precludere la possibilità di scegliere, di avere gli stessi diritti e facoltà lavorative; semplicemente abbiamo funzioni, attitudini e scopi diversi, che si completano fra loro.
Di fatto, al momento, abbiamo conquistato poco più che specchietti per le allodole quando, i veri diritti di uguaglianza sono ancora ben lontani dall’esserci stati concessi.
Non ultimo il diritto di dire di “no”. Ancora oggi questo è un diritto che non ci viene riconosciuto e che scivola addosso all’opinione pubblica con l’indifferenza di qualcosa che “tanto capita, purtroppo”. Stupri, uccisioni, violenza… Dove è questa tanto osannata uguaglianza quando non abbiamo conquistato, a conti fatti, nient’altro che nuovi doveri?
Dobbiamo essere donne in gamba, madri perché è il nostro compito, lavoratrici perché ce lo imponiamo per tenere tenacemente il punto di “poterlo fare”, casalinghe, cuoche, amanti sempre in tiro e perfette per non perdere il nostro uomo, alla moda per non perdere il passo con amiche e colleghe, forti e in grado di risolvere i problemi da sole perché sarebbe da smidollate chiedere aiuto, emancipate, arroganti, sfrontate, indipendenti… Quanta fatica! E per cosa?
Uomini e donne non sono uguali, abbiamo ruoli, compiti e prospettive di vita diverse. Abbiamo compromessi a cui scendere, entrambi i sessi, e degli obblighi da adempiere. Il vero diritto sarebbe la scelta consapevole di “potersi comportare” come un uomo, senza però sentirsi moralmente e psicologicamente obbligate a farlo.
Si vuole lavorare nell’esercito? Certo, sacrosanto diritto. Si vuole avere una famiglia, un marito, una casa e un cane? Altrettanto sacrosanto diritto. Si vuole fare le donne in carriera manageriali, benissimo, ma che non si pretenda anche la casa con lo steccato bianco! Se ci sono le capacità (e per capacità non si intende la capacità di abbassare qualche zip, sia chiaro…), dovrebbe rientrare nell’ordine naturale delle cose poter essere ciò che vogliamo, ma ciò non dovrebbe diventare un’ostentazione e un modello da imporre. Come per la politica, non servono quote rose, servono capacità, indipendentemente che siano vestite da uomo o donna. Ma, in ogni caso, ogni scelta deve portare alla consapevolezza delle conseguenze, senza l’arroganza che all’inizio noi donne abbiamo voluto esibire, e che dalla quale oggi sembra non riusciamo a staccarci.
Un libro interessante
Titolo: La liberazione delle donne Autore: Taylor Harriet Casa editrice: Il nuovo melangolo Genere: Femminismo, Teoria femminista, Società e cultura, Saggio Pagine: 70 pag. Prezzo: 7,00€ Trama: In questo appassionato saggio, pubblicato sulla Westminster Review nel 1851,Harriet Taylor combatte strenuamente uno dei grandi scandali del suo tempo (e non solo): lo status di subordinazione della donna all'interno della vita politica e sociale. Un pamphlet che non va considerato soltanto un classico del pensiero femminista, ma anzitutto un inno alla valorizzazione delle facoltà individuali contro qualsiasi forma di segregazione - e come tale apprezzato da insospettabili ammiratori del calibro di Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud.