Ogni anno il cavalier Von Aspen, titolare della premiata e omonima fabbrica di scatole, faceva sottoporre i propri dipendenti, una sessantina circa, ad accurati controlli clinici che contemplavano, tra l'altro, esami del sangue, misurazione della pressione, auscultazione del cuore e financo la prova di Wasserman.
La ragion d'essere di quest’ultimo esame derivava dal fatto che il Titolare era piuttosto fissato con la sobrietà di comportamenti delle maestranze e del tutto contrario, se non ostile, a qualsivoglia forma di intemperanza, specie se relativa al basso corporale.
Dato che, però, negli ultimi tempi, il Von Aspen aveva letto, su svariati opuscoli, dell'importanza della psicologia ed anche della psicoanalisi, nonostante un suo naturale scetticismo nei confronti delle teorie di questo dottore ebreo dall'aria un po' saccente di nome Freud, si convinse che un medico dello spirito gli avrebbe fornito, chissà mai, qualche elemento aggiuntivo per la corretta gestione del personale in organico alla ditta.
La sua prima scelta era ricaduta su un suo caro amico, pastore presso la locale Chiesa Evangelica Luterana ma, su consiglio del suo fidato segretario particolare Laffe si rivolse, invece, a un giovane assistente presso l'Università degli Studi, tale dottor Linden.
Il Linden si presentò, dunque, dietro appuntamento, presso la Direzione della fabbrica ove il von Aspen, sprofondato nella sua imponente poltrona, ebbe modo di farsi un'idea del soggetto. Pieno di entusiasmo il giovane dottore illustrò al Titolare una serie di test ai quali avrebbe sottoposto gli operai e gli impiegati della Ditta.
Si trattava di esercizi legati alla manualità, qualcosa a metà tra la Torre di Hanoi e il Tangram. Senza dubbio queste prove, unite ad altre, quali il test di Rorschach, avrebbero fornito un esauriente quadro d'insieme della personalità dei dipendenti.
"Anche se, mio caro Professore, temo che Lei sottostimi il livello di ottusità di questi operai. Alla fine, come soleva dire il mio compianto padre, è solo il pugno di ferro che funziona. Ordine e disciplina. Nient'altro. A presto, comunque" concluse il Von Aspen congedando il dottor Linden.
Con scientifica precisione tutti gli esami clinici furono svolti ed anche, per la prima volta, si tenne l'inedita sessione psicologica. Il Linden predispose, per ogni dipendente, una scheda che riempì con rigore e metodo.
In effetti, la gran parte delle maestranze, ormai condizionate da lustri di lavoro monotono e ripetitivo, non riportò risultati di particolare rilievo. Si sottoposero a tutte le prove con un atteggiamento passivo, un po' bovino, come osservò tra sé il Linden.
Quasi tutti incontrarono le medesime difficoltà e, poco abituati com'erano ad utilizzare ingegno e creatività, ottennero punteggi piuttosto mediocri. Non fecero eccezione i tre colletti bianchi, dai quali ci si sarebbe forse aspettato un risultato di miglior pregio.
Del resto la fabbrica di scatole lavorava, da sempre, con la Pubblica Amministrazione come unico cliente, e dunque la produzione era attestata su un campionario invariato, stagione dopo stagione, esercizio dopo esercizio.
Solo in un caso i test pscicologici rivelarono un soggetto un po' fuori del comune. Si trattava del magazziniere (o meglio dell'aiuto magazziniere) Kraus. Il Kraus risolse con insolito ingegno i vari esercizi. Al colloquio individuale mostrò una discreta cultura generale ed anche una certa ironia che, senza neppure sfiorare l'impudenza, conquistò, in qualche modo, la simpatia del professor Linden.
Il quale professore si era ben presto annoiato di aver a che fare con dei soggetti tanto opachi, privi di un qualsiasi spirito di iniziativa. Il termine ottusi col quale il Von Aspen aveva definito le sue truppe, se pur non di squisita natura clinica, era comunque sufficientemente esplicativo.
Fu così che il Linden consegnò le schede meticolosamente compilate al fidato segretario Leffe. Con un biglietto a latere segnalò, in termini misurati il "caso Kraus" meritevole, a suo parere, di approfondimenti.
La settimana successiva fu convocato dal Von Aspen che si complimentò dell'approccio meticoloso e per la grafia ordinata "ben diversa dagli sgorbi di tanti Suoi illustri colleghi" aggiunse, con un filo di polemica, accendendosi un sigaro dalle dimensioni generose.
"Mi parlava di questo Kraus" riprese. "Pensa sia il caso di convocarlo?".
"Certamente, cavalier von Aspen. E' un soggetto che oserei definire interessante. Un caso di quelli che taluni tra i miei colleghi definirebbero di pensiero divergente".
L'espressione del cavalier Von Aspen si fece attenta.
"Mi consenta di spiegarmi meglio" riprese il dottor Linden "determinate prove non hanno una sola soluzione. Ma analizzando un campione di individui ci si avvede presto che la gran parte di essi tende a o risolvere una determinata difficoltà nello stesso modo. Ebbene, quando qualcuno esce da questo sentiero comportamentale, risolvendo un problema con una modalità originale, questo è un esempio di pensiero divergente".
Il volto del von Aspen era una sfinge, con gli occhi ridotti a due feritoie, dietro una cortina di fumo che si ispessiva di minuto in minuto. Di scatto egli agitò un grosso campanello. Dopo un istante la porta dello studio si aprì e comparve il fidato segretario. "Signor Leffe, mi porti qui immeditatamente l'aiuto magazziniere Kraus".
Cinque minuti dopo il segretario Leffe comparve col Kraus alle sue spalle. Il berretto in mano, visibilmente impacciato, lo sguardo del Kraus incontrò quello compiaciuto ed incoraggiante del dottor Linden.
"Kraus, che è questa storia del pensiero divaricante. Come si permette? Cosa si è messo in testa? Lei deve imparare a stare al suo posto, ha capito? Non la paghiamo per pensare o tantomeno per prendere iniziative. Ordine e disciplina, chiaro? E adesso fuori ed impari a comportarsi a modo!" tuonò il Von Aspen.
Il fedele segretario Leffe, che nell'organizzazione della Ditta teneva anche le relazioni sindacali, quasi scaraventò dallo studio l'aiuto magazziniere Kraus.
Il dottor Linden, allibito, si teneva la testa tra le mani. Le pareti della stanza, ricoperte di libri ed inventari, cominciarono a girargli intorno. Nel frattempo, dato che il fumo del sigaro aveva saturato la stanza, incominciò a tossire.
Si alzò lentamente dalla pesante sedia di pelle e salutò il Von Aspen con quello che risultò un mezzo inchino al quale il von Aspen a malapena rispose.
"Un idiota, sono proprio un idiota" pensò il dottor Linden "tanti anni di studio e non ho ancora capito nulla" aggiunse scuotendo il capo.
Però l'aria fresca della strada lo fece subito stare meglio e così decise di fare una lunga passeggiata fino a casa.
Marco Lorenzo Faustini, 2012