Dopo averci appassionato al suo personale percorso letterario per la prima volta l’anno scorso, con piacere ritroviamo anche quest’anno il nostro nuovo autore, il veneziano Simone Caltran, che raccoglie la preziosa eredità di Giovanni Andrea Martini, il quale per anni ha curato questa sezione della marcia.
Simone ci parla quest’anno dei famosi “nizioleti”, ovvero le tipiche indicazioni stradali veneziane che caratterizzano i muri della città: non si tratta di semplici cartelli ma di veri e propri affreschi dipinti a mano direttamente sugli intonaci e sui muri delle case.
Proprio in questi giorni il Comune di Venezia, in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali, ha incominciato un’imponente opera di restauro e rifacimento di queste indicazioni in forma di affresco (cfr. articolo su “Il Gazzettino” del 22.03.2012). Quest’avvenimento si prefigura non soltanto come un semplice lavoro di recupero lapideo ma anche e soprattutto come una preziosa opera di recupero della memoria storica di Venezia.
Scopriamo dunque qualcosa di più su questi “nizioleti” veneziani…
Tappe di “ristoro mentale” tra cultura e curiosità
a cura di Simone Caltran
simone.caltran@gmail.com
Giunge la notizia, mentre chi scrive sceglie tra molte idee per il tema del tradizionale percorso letterario, che il 2012 sarà’ un anno chiave per l’avvio del restauro dei tradizionali “nizioleti”. Si partirà dal Sestiere di San Marco che ne conta circa 700 sugli oltre 4.000 totali. L’occasione per parlarne appare quindi ghiotta.
A Venezia si usa scrivere sui muri delle case e dei palazzi le denominazioni toponomastiche, di derivazione molto pratica e popolare ma da sempre entrate per comodità nell’uso comune. Le piccole lenzuola, nizioleti appunto, non sono altro che dei riquadri rettangolari in malta, tinteggiati in bianco (originariamente in calcina) con una cornice dipinta in nero. Al loro interno i caratteri sono dipinti con l’aiuto di guide in latta, chiamate dime.
Prima, sotto la Serenissima, non c’erano indicazioni toponomastiche e i nomi stradali erano patrimonio della gente che abitava in quella contrada. E’ evidente che la loro denominazione trova origine dalla quotidianità sociale ed economica che essi stessi esplicitamente descrivono. Infatti i nomi di calli e campielli, campi, corti e salizade venivano dati, per la maggior parte, dalla presenza di una famiglia o di una attività lavorativa, da una leggenda o da fatti di cronaca. “Ufficializzati” sotto il dominio austriaco come li conosciamo oggi e vista la loro comodità, i nizioleti, sono rimasti a perenne ricordo di una Venezia che fu e, nonostante qualche volta evochino cio’ che appartiene al passato, non hanno perduto il fascino di raccontarci un pezzo importante della nostra storia.
Come ben dice Efren Trevisan di Spinea, acuto osservatore, scelto tra i partecipanti al concorso letterario “Scrivi a Venezia”, appese ai muri della città ci sono anche altre curiosià: Venezia, città piena d’arte, ma anche di storie e di superstizioni. Dev’essere per questo che, in alcune calli, appese ai muri di qualche casa, ci sono vecchie sveglie. Forse servono ad allontanare i fantasmi. Misteri e stranezze che si ritrovano in alcune maschere di carnevale. Colori e musica si intrecciano ad ogni ora. Un’aria magica, chiara e allegra copre come un manto questa città di antica origine. Nata come rifugio, oggi è una bellezza unica trasformata dal luccichio dei riflessi del sole sull’acqua.
In questo percorso, facciamoci accompagnare alla scoperta delle curiosità, da uno scrittore d’eccezione che i nizioleti li studiò. Giuseppe Tassini se ne intende talmente tanto che, nel XIX secolo, effettuò una lunga ma affascinante ricerca sui toponimi più particolari della città, pubblicata poi nell’importante opera Curiosità Veneziane (Curiosità veneziane – ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia, Venezia, Filippi Editore) di mole imponente ma di godibilissima lettura anche per la vivacità nel racconto delle storie che hanno originato le denominazioni delle varie località.
Prima curiosità veneziana: Ponte della Paglia
Partiti da poco, come non fermarsi per una breve riflessione su questo luogo dal quale si puo’ finalmente rivedere, dopo essere stato coperto per lavori di restauro, il piu’ famoso Ponte dei Sospiri, ammirare da vicino il Palazzo Ducale e sognare guardando, girandosi, San Giorgio Maggiore.
Il Ponte, ci raccontano le pagine di Tassini, “Acquistò il nome non dalla paglia, che si avrebbe adoperato per le «mussete», antica cavalcatura dei nobili, le quali, durante le sedute del Maggior Consiglio, qui stessero a riposare, ma dalle barche cariche di paglia che qui facevano il loro stazio.
Non poche sono le curiosità legate a questo luogo tre le quali quella che presso di esso venivano esposti i cadaveri che i canali cittadini restituivano affinchè ne potesse avvenire il riconoscimento. Ma leggiamo da Giuseppe Tassini cosa avvenne in una notte di tempesta: Secondo la leggenda, stava rifugiato sotto il medesimo ponte, nella propria barca, un vecchio e povero pescatore, mentre il 15 febbraio 1340 imperversava una terribile bufera. Quand’ecco scorse un uomo che gli impose di tragittarlo alla vicina isola di San Giorgio Maggiore, ove associossi ad un altro, volendo essere condotto a San Nicolò del Lido. Accolto qui un terzo, tutti e tre costrinsero l’atterrito pescatore ad uscire fuori del porto, ed allorquando furono in alto mare, apparve in mezzo all’onde un naviglio ripieno di spiriti infernali. A quella vista gli audaci passeggeri si discoprirono per S. Marco, S. Giorgio, e S. Nicolò, ed intimarono ai demoni di desistere dallo scatenare sì fiera burrasca che minacciava di sommergere tutta Venezia. Beffandosi eglino di tale comando, vennero colpiti da una folgore, ed in un attimo col vascello si dileguarono. Abbonacciatosi il mare, i santi fecero ritorno col barcajuolo, a cui S. Marco nel congedarsi diede un anello perché la mattina seguente lo consegnasse al doge in pieno Consiglio. S’immagini lo stupore universale alla scoperta che l’anello era quello solito a tenersi rinchiuso nel Tesoro di S. Marco, il quale una mano invisibile aveva levato dal suo posto.
Seconda curiosità veneziana: S. Francesco della Vigna.
Recita il Tassini: “Fra le molte vigne, che eranvi in Venezia, la più estesa di tutte, e la prima che avesse fruttificato riputavasi quella della famiglia Ziani. In essa scorgevasi una chiesetta, dedicata a S. Marco, perché, secondo una volgar tradizione, questo era il luogo ove avea pernottato l’Evangelista assalito da fiera burrasca, ed eragli apparso un angelo dicendogli: «Pax tibi Marce evangelista meus!» e profetizzandogli la futura fondazione di Venezia”. La vigna, di cui parliamo, insieme alla chiesa divenne lascito testamentario a favore dei frati Minori i quali ne fecero uno stabile domicilio. Divenuti, in seguito, numerosi nacque la necessità di ampliare il convento e di erigere una nuova chiesa lasciando intatta quella di S. Marco che rimase in piedi fino al 1810 nell’orto dei Padri. Piu’ di un diverbio e pareri architettonici discordi accompagnarono per diversi anni il cantiere, che rimase aperto dal 1543 al 1582, finchè fu definitivamente scelto il progetto di Andrea Palladio anche se solo per la facciata.
Il campanile di questa chiesa, colpito da saetta la sera del 21 settembre 1758, e restaurato due anni dopo, è il piu’ alto dopo quello di San Marco e chi scrive puo’ assicurare il lettore che la vista da lassù non si dimentica tanto facilmente.
Terza curiosità veneziana: Le Fondamenta Nuove
Passeggiando lungo calli e fondamenta è frequente, oggi, imbattersi in canali temporaneamente prosciugati in modo permettere di effettuare i necessari lavori di rinforzo delle rive, attività periodica, in passato molto piu’ di oggi, ed antica necessità da quanto si desume dalle pagine che ci accompagnano: “Lasciò scritto il Tentori che fino dal 1546 aveva decretato il Senato che si costruissero delle «Fondamente» da S. Giustina a S. Alvise. Esse per altro si prolungarono soltanto fino alla «Sacca della Misericordia», benché nel 1560 Giovanni Matteo Bembo ricordasse il decreto di continuarle fino a S. Alvise. In quell’anno comandò il Senato che fossero fatte di pietra. Nel 1767 ebbero un radicale ristauro, danneggiate com’erano, specialmente dalla bufera del 20 decembre 1766. Nota poi il Dezan che bene a ragione tali «Fondamente» conservano il nome di «Nuove», da loro assunto quando si costrussero, poiché moltissime «Fondamente» da quell’epoca si riattarono, ma nessuna se ne trova di nuovo innalzata.
Le «Fondamente Nuove» erano un tempo molto più frequentate d’adesso e per la salubrità dell’aere, essendovi tradizione che questo sito non venisse giammai funestato dalla pestilenza, e pei varii ritrovi che qui per lo passato esistevano. Infatti sulle «Fondamente Nuove» eravi l’«Accademia dei Nobili», incendiatasi nel 1684 e 1769. Sulle «Fondamente Nuove» giuocavasi alla «Racchetta» [tennis, nda] in due siti, l’uno presso «Birri», e l’altro a S. Catterina, ove presero parte al giuoco Carlo VI e Carlo VII prima di divenire imperatori, i re di Polonia e di Danimarca, nonché altri nobilissimi personaggi. Sulle «Fondamente Nuove» in due case giocavasi al «trucco da terra», ed in un altro cortile alle «palle». Non lungi dalle medesime sorgeva un teatro, e più tardi una «Cavallerizza», mentre in «Campo dei Gesuiti» i dilettanti esercitavansi al pallone.”
Insomma sembra che, in quella che oggi è un’area piuttosto tranquilla, ci fosse un pullulare di occasioni di incontro e di socializzazione anche d’alto rango. Chissà se anche Valentino Pozzobon di San Donà di Piave (altro partecipante al concorso letterario), ha immaginato nel suo testo una scena degna degli antichi fasti delle Fondamenta Nove: Corro sulla fondamenta mentre la barca segna la superficie del canale di profondo solco bianco. Solo in un secondo momento la scia si allarga a ventaglio e arriva a lambire la riva. Tanti davanti a me e tanti dietro seguono lo stesso percorso. La marcia si trasforma in esodo, ma non si sta uscendo, si va nel cuore del centro storico. Sembra un inno al ritorno in una città che vuole vivere e che chiama, ma la risposta, per ora, la dà solo il turista che ruba qualche ora o qualche giorno e il commerciante che la usa come esca. Mi trovo oggi, diciottoaprileduemiladieci, a Venezia tra tanta gente. E’ un bel segnale. Chi vuol capire, capisca.
Quarta curiosità veneziana: Campo San Polo
Questo ampio campo, più volte ripreso dall’arte figurativa nelle sue innumerevoli espressioni, è il campo più’ grande della città, secondo solo alla Piazza per antonomasia, ma trattatasi, appunto di una piazza.
Gia’ nell’837 il campo e’ dotato di una chiesa dedicata a San Paolo, S. Polo in volgare, voluta dai dogi Tradonico. Nel tempo il campo rafforzo’ la sua importanza, ed i palazzi che lo circondano ne sono una viva testimonianza, ma fu soprattutto il campo nel quale si concentrava lo svolgimento di giochi dei più svariati generi compresa la piu’ volte dipinta Corsa dei tori. Ancora oggi in campo S. Polo, che evidentemente non ha perso questa sua vocazione, si può assistere e partecipare a numerosi e straordinari eventi di spettacolo.
Ma ridiamo la parola al più illustre Tassini: Fino da tempi antichissimi tenevasi in «Campo S. Polo» mercato più dì per settimana, ma poscia si stabilì di tenerlo soltanto il mercoledì. Caduta la Repubblica, surrogossi al mercoledì il sabato, giorno in cui antecedentemente tenevasi mercato in «Piazza di S. Marco». In «Campo S. Polo» eravi un bersaglio d’arco e di balestra, che venne rimosso nel 1452. Questo Campo, secondo il Sanudo, venne per la prima volta ammattonato nel 1494, ed allora vi si fabbricò il pozzo nel mezzo. In «Campo S. Polo» si fecero varii spettacoli, fra cui [...] una festa dei mercadanti fiorentini, mascherati, con giostre; [...] una festa data da una compagnia della Calza, essendone signore Francesco Venier, con caccia di tori, colazione, e ballo sopra un solajo, intervento di molte dame, e fuochi durante la sera.
Quinta curiosita’ veneziana: nei pressi della Basilica dei Frari
Nei pressi della Basilica dei Frari ci sono due nizioleti che citano una chiesa di San Nicoletto ma a ben guardare, del sacro edificio, non se ne trova traccia.
La chiesa che sorgeva vicino al convento ed alla chiesa dei Frari era chiamata con il diminutivo “San Nicoleto” per distinguerla dalle più importanti chiese veneziane di San Nicolò del Lido, San Nicolò di Castello e San Nicolò dei Mendicoli.
Era chiamata anche “San Nicoleto dei Frari”, per la vicinanza con la basilica, ma soprattutto tra il popolo era conosciuta come “San Nicoletto della Lattuga”.
Il motivo di questo appellativo è piuttosto curioso e legato alla sua fondazione. Chiediamo aiuto al nostro accompagnatore:
Narrano gli scrittori che, aggravato da fiera malattia, il patrizio Nicolò Lion, procuratore di S. Marco, quel medesimo che scoprì la congiura di Marin Faliero desiderò una notte di mangiar della lattuga, e che, non trovandosene altrove, attesa l’ora assai tarda, poté averne dall’orto dei padri di S. Maria Gloriosa. Riavutosi in breve con questa singolar medicina, fece in segno di gratitudine erigere presso all’orto medesimo una chiesa, ed un piccolo monastero, che si dissero di «S. Nicolò» o «S. Nicoletto della Lattuga».
Oggi il luogo, ove sorgeva il vecchio convento dei frati e la chiesa di San Nicoletto della Lattuga, e’ interamente occupato dall’Archivio di Stato e, per chi volesse riprendere fiato con una nobile pausa, la tomba di Nicolò Lion, originariamente nella chiesa di San Nicoletto della Lattuga, venne poi trasferita nella Basilica di S. Maria Gloriosa dei Frari.
Sesta curiosità veneziana: la Chiesa di Santa Lucia
Chi si ritrova a partire per la Su e Zo dal Piazzale della Ferrovia, forse non e’ a conoscenza delle vicende di questa parte di città.
Il corpo di Santa Lucia, nata e morta a Siracusa nel IV secolo, sotto l’impero di Diocleziano, venne prelevato in epoca antica dai Bizantini presenti in Sicilia, fu trasportato a Costantinopoli e qui successivamente trafugato dai Veneziani quando, durante la quarta crociata, conquistarono la città. Le reliquie della Santa furono deposte nella chiesa a lei dedicata, con accanto anche un convento per le monache. La chiesa fu nel tempo abbellita ed impreziosita da architetture rinascimentali fino a quando perse il carattere di “parrocchiale” in favore della vicina chiesa di San Geremia ma sopratutto fino a quando, per dirla con il Tassini, “…sopra la sua area (del convento, nda) e sopra quella della chiesa, con men saggio consiglio distrutta nel 1861, dopo aver deposto il corpo della Santa nella parrocchiale, si costruì la «Stazione della Strada Ferrata».
Proprio così! Per far posto alla Stazione ferroviaria furono demoliti la chiesa ed il convento di Santa Lucia.
Settima curiosità veneziana: una spiaggia in città?
Fino a qualche decennio fa, neanche molti a dir la verità, i canali veneziani erano sufficientemente balneabili ma che ci fosse in città una spiaggia risulta addirittura sorprendente. Forse non una spiaggia come l’immaginario comune contemporaneo l’intende, ma qualcosa di simile ad argini di protezione dai quali si poteva fare qualche tuffo magari sì.
Facciamoci illuminare ancora una volta, l’ultima, dalla nostra guida d’eccezione. Siamo a S. Marta. L’ottocentesco cotonificio ha ceduto i propri spazi ad architettura ma “…la spiaggia contermine, occupata dalle fabbriche del Cotonificio, inauguratosi nel 1883, appellavasi «Arzere di S. Marta» da un argine che colà anticamente si eresse contro le corrosioni dell’acque. Verso S. Marta protendevasi un tempo dal continente, a guisa di penisola, un lungo banco formato dalle deposizioni del Brenta, e ricoperto di boscaglia, il quale chiamavasi «Ponte dei Lovi» pei molti lupi che vi si annidavano. Esso venne distrutto nel giugno 1509, epoca della guerra di Cambrai, temendosi un pericoloso avvicinamento dei nemici alla città.
Oggi la 34° Su e Zo per i ponti ci porta proprio sopra quella stessa penisola ma non con intento di conquistarla bensì’ con quello di lasciarci conquistare sempre più’ da questa città, fragile ma unica nella sua bellezza e vicenda storica. La poesia e lo spirito con i quali si deve entrare nella viva conoscenza di Venezia, li ha colti Giulia Pettenò di Favaro Veneto:
Passi veloci / rintocchi di San Marco / vociare dei passanti / batter d’ali dei colombi / il coro dell’antica bimba / che dolce è cullata / perché figlia del mare / perché sorella del cielo / e baciata dal sole.
Simone
Su e Zo per i Ponti, 15 Aprile 2012.
Percorso principale: 13 km, 56 ponti. Percorso ridotto: 7 km, 30 ponti.
(per scaricare la mappa in formato PDF cliccare sull'immagine qui sopra)
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