Il Piano C. #2 - Il Piano A pt.2 -

Da Volobasso

Ci sarebbe molto da dire sul Piano A ma dovrei ancora parlare del Piano B e comunque io sono qui, e voi lì, per il Piano C.
Diosanto.
Ricominciamo.Vorrei chiudere il discorso sul Piano A e del Piano B magari parlerò dopo, perché è il Piano C che mi sta a cuore. Meglio, anche se le cose non stanno proprio così. La verità è che il Piano B è imbarazzante poiché è la prova di come io riesca a svaccare tutto quando mi innamoro, e mi innamoro spesso. Veramente, mi innamoravo spesso. Ero uno dall'innamoramento lampo. Ora sono sovrappensiero.L’ho capito quella volta in cui mi trovai a passeggiare con un mio amico per una delle piazze della mia città. Era estate, faceva caldo – devo smetterla di dire cose ovvie – e noi avevamo da poco dato la maturità. Sicuramente conoscete anche voi quel brivido di timore che arriva nel momento in cui si capisce che qualcuno con un borsone pieno di calzini ti ha puntato. Non è fastidio, è ansia da prestazione: il punto è cercare di far capire che non si è interessati a tutto quello che hanno da proporti, senza essere scortesi. Almeno per me è così. Quel giorno però nessuna ansia e nemmeno borsoni pieni di calzini. C’era una pettorina, blu credo, di una qualche associazione fantasma, ed una cartellina. E c’era una ragazza bellissima, di quella bellezza pulita che già ad una cinquantina di metri – punto in cui capii che eravamo il suo bersaglio – iniziai a pensare di rilevare l’associazione fasulla per cui lavorava, strapparle la pettorina di dosso e dirle « vai, sei libera ».Iniziò a parlare di qualcosa che non ricordo, ma che di certo non avrebbe destato l'attenzione di chiunque avesse occupato, nella scala evolutiva, una posizione un pelo più alta di quella di un idiota. Quello dell'idiota era un traguardo per me irraggiungibile. Solo in questo modo potrei descrivere uno che riceve a braccia aperte e col sorriso sulle labbra una delle fregature più elementari mai concepite. Firmare, dico, f-i-r-m-a-r-e, un foglio con cui ci si impegna a comprare un corso di inglese per oltre tre milioni delle vecchie lire ed accorgersene solo mezz'ora dopo. Traditrice, dopo tutto l'amore che le avevo dato in quella piazza assolata. Però andò bene, Dio benedica il diritto di recesso. Le cose non andarono diversamente col passare degli anni.
Era il turno di Marta. Me ne innamorai subito, mi bastò metà del suo volto.L'altra metà era occupata da una grande Polaroid, una macchina fotografica veramente ingombrante, non solo nel senso fisico del termine. La portava ovunque quella cosa, ma in fondo mi piaceva vederla avvolta nelle sue dita affusolate. Mi piaceva guardare lo smalto delle sue unghie mentre teneva in mano quella macchina sputa-foto. Mi piaceva il suo modo di piegarsi, inarcarsi per trovare l'inquadratura giusta. Era fotoyoga degno del campione mondiale di tetris. Col tempo compresi che non ne capiva un beneamato di fotografia e che era tutta scena, ma a me piaceva. Marta e la sua Polaroid che le copriva il volto.
“ti spiace se ti scatto una foto?”
“f-figurati”
Ci conoscemmo così e sì, mi dispiaceva. È che non mi piacciono le foto, sono diaboliche. Comunque la metta, mi fanno girare le balle. Sembro felice? Perché ero felice? L'ho dimenticato. Forse non era tutta questa gran cosa se l'ho dimenticato. Poi mi accorgo che è un pensiero stupido e che ero felice e basta. Magari non sento ora quella felicità, ma so che lo ero perché lo ricordo e la foto mi aiuta nel ricordare. Quindi divento malinconico e mi chiedo perché cazzo ho delle foto tra le mani. Avevo un sorriso di circostanza? Quante foto ho con sorrisi di circostanza? Provo a contarle ma so che sono tante e mi chiedo il perché di tutti questi sorrisi di circostanza. Mi sono serviti? Sono serviti a qualcuno? E sopratutto, perché perdo tempo a chiedermi queste cose con delle foto tra le mani? Poi ci sono quelle rare foto dalle quali si evince che ero incazzato nero. Ricordo benissimo perché lo ero e nel ricordare mi incazzo di nuovo... e mi chiedo perché mi debba incazzare con delle foto tra le mani.Marta questo non lo sapeva, e non lo sapevo nemmeno io. Non sapevo niente, nemmeno della mia abilità a svaccare tutto quando mi innamoro. Se lo avessi saputo non mi sarei iscritto ad un corso di fotografia tralasciando, anzi, quasi mollando l'università solo per poter condividere la stessa passione. Già, perché io mica svacco la storia d'amore, io svacco me stesso.Marta questo non lo sapeva e mi lasciò.
“non hai più personalità, ti preferivo quando eri su quei libri che parlano di mercati e quella roba lì”
“p-prego?”
“Ma sì, eravamo una coppia stupenda, tu il figlio del tuo tempo ed io l'artista libera dagli schemi”
“Ma veramente...”
“Sì, hai ragione tu, avrei dovuto farti capire che a me piacevi così come eri. Come...”
“... come quella volta in cui mi hai dato dello sporco capitalista davanti ai tuoi amici aggiungendo che non lo sapevi come facevi a stare con uno così? Solo perché sono, ero, non lo so più nemmeno io, iscritto ad economia?”
“Ecco, te la sei tenuta per le grandi occasioni vero? Non vedevi l'ora di rinfacciarmela, vero? Guarda, mi fai schifo!”Siamo stati insieme tre anni, io lei e la sua polaroid del cazzo.
Mi ritorna la mente a quella ragazza dalla pettorina forse blu, quella bellissima dalla bellezza pulita. Ecco, lì avrei dovuto scattare una foto. Perché a pensarci bene aveva proprio una faccia da troia.