Il piano di Giovannini

Creato il 03 maggio 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

Quello appena trascorso è stato uno dei 1° Maggio più deprimenti degli ultimi anni, con la festa dei lavoratori funestata dalla pessima situazione economico-lavorativa del Paese. Come abbiamo più volte ricordato, è indispensabile mettere subito mano al mercato del lavoro, se non si vuole che l'Italia affondi.

Bhè, sembra che il neo premier Enrico Letta, presentandosi alle Camere per ottenere la fiducia lo scorso 29 aprile, abbia afferrato il concetto: "la priorità del mio governo sarà il lavoro". Riduzione delle tasse sul lavoro, incentivi per chi assume stabilmente e rafforzamento del contratto d'apprendistato sono le basi da cui il capo del nuovo governo vuole partire, sostenuto dal neo Ministro del Welfare e del Lavoro Enrico Giovannini, presidente dell'Istat, chiamato al difficile compito di cancellare i pessimi risultati del suo predecessore, Elsa Fornero.

Inserito nella formazione dei 10 saggi di Napolitano, Giovannini aveva già individuato nell'ultima riforma del lavoro uno degli ostacoli all'occupazione (non che ci volesse un genio), inserendo nella relazione, poi presentata al Capo dello Stato, la necessità di una sua modifica. Cosa vorrebbe cambiare, però, il nuovo ministro?

Innanzitutto, la nuova (?) parola d'ordine è flessibilità: la riforma Fornero è troppo rigida, in particolare nella pausa tra un contratto a termine e l'altro, regola che aveva l'obiettivo di costringere il datore di lavoro a convertire il contratto a tempo determinato in indeterminato, ma che ha, di fatto, ostacolato il rinnovo dei contratti. L'obiettivo, quindi, pare essere la riduzione del vincolo ai rinnovi.

Altri problemi, che il neo ministro intende risolvere, sono i rigidi paletti che limitano i contratti a chiamata e i contratti a progetto. In entrambi i casi, la riforma Fornero poneva dei limiti al loro utilizzo, per scoraggiare gli abusi (una delle poche parti lodevoli della legge). Nel caso dei contratti a chiamata, per esempio, è stato introdotto l'obbligo, per il datore di lavoro, di comunicare agli Uffici del Lavoro la data d'inizio e di fine del contratto, ottenendo, però, l'effetto di far crollare la domanda per questo tipo di contratti (- 57% nel solo 2012).

Per i contratti a progetto, invece, la Fornero aveva introdotto l'equo compenso (cioè, uno stipendio in linea con i CCNL) e, soprattutto, l'obbligo di legare il contratto ad un progetto vero e proprio e non a mansioni generiche, per mascherare un rapporto di lavoro dipendente. Nonostante le buone intenzioni, anche questo obiettivo è miseramente fallito, dato che i sindacati hanno rilevato un netto calo dei contratti a progetto, sostituiti da forme ancora più precarie, false partite iva in primis.

Da queste prime dichiarazioni, quindi, possiamo capire le intenzioni di Giovannini: riportare il mondo del lavoro alla situazione pre-riforma. Non un gran piano, soprattutto perchè non mitigherebbe minimamente il precariato: tant'è vero che nessuno, nè lui nè il premier Letta, ha mai menzionato il ripristino o meno dell'Articolo 18, nè ha mai parlato della possibilità di introdurre il reddito di cittadinanza.

Mettiamoci, quindi, l'animo in pace: questa classe politica non cambierà mai nulla, perchè non ha ancora capito o – più probabilmente – si rifiuta di capire che quella che loro chiamano flessibilità è, in realtà, precariato, il male oscuro del nostro tempo, che sta corrodendo la stessa struttura sociale ed economica del Paese.

La società civile si è resa conto da un pezzo che questo male va combattuto o ci distruggerà, è ora che anche la classe dirigente lo capisca, prima che sia troppo tardi per porvi rimedio.

Danilo