Ad esempio l’Ocse, ma anche i dati Istat e quelli di Confindustria, della Cgia di Mestre e di Topo Gigio, sembrano prevedere una crescita del Pil per l’Italia dello 0,7% nel 2015 - No dello 0,9%! No no si supera l’1%, altro che 0,7! No, scusate, 0,8! Anzi, meglio 0,7! - (anche sulla “cosa” più monitorata di questo mondo – l’economia – non ne azzeccano una: ne sparano tante, spesso a vanvera ma supportate da tendenze, algoritmi, dati non certificabili a priori, e in quel casino di tentativi, in quel continuo sparar di cifre, alla fin fine una giusta riescono persino a dirla. C’azzeccano, e quando capita, ci tengono a farti sapere quanto sono stati bravi). Eppure, in questo caso, il problema non sta esclusivamente nella malafede dell’economia collusa coi gangli del potere politico, né nell’incompetenza, ma professionale – in giacca e cravatta –, dei nuovi baroni del vapore economico che, quando non fanno danni, si dilettano nei pronostici. Semmai ci fosse davvero un errore in quei dati, andrebbe probabilmente ricercato altrove. In particolare il QE (quantitative easing), ovvero l’acquisto massiccio di titoli di Stato da parte della BCE, sembra poter valere 1,4 % del Pil in due anni. Lo stesso Padoan, ed anche l’onnipotente Goldman Sachs, hanno poi quantificato in uno 0,5% di Pil il deprezzamento del petrolio nel 2015. Ecco, se una massaia avveduta potesse fare due conti sulla mirabolante crescita del Pil italiano nell’ultimo anno, si renderebbe conto che in realtà esso non è cresciuto, poteva anzi diminuire (eh… non si potevano certo prevedere il QE e il calo del prezzo del petrolio!). Anche l’apologo del Jobs act, secondo cui starebbe progressivamente diminuendo la disoccupazione, potrebbe rivelarsi come fumo negli occhi. Prestando ascolto al sempiterno Istat, dopo la crescita registrata tra giugno e agosto (+0,5%) e il calo di settembre (-0,2%) e ottobre (-0,2%), a dicembre 2015 la stima degli occupati torna a scendere dello 0,1% (-21 mila).Su base annua la disoccupazione registra invece un forte calo (circa l’8%, pari a -254 mila persone,) attestandosi al’11,4%. Cresce però anche l’inattività (+1,4%, ovvero +196 mila persone che si sono rassegnate e non cercano più un lavoro). In tal senso, la disoccupazione su base annua scende, è vero, ma ci si dimentica che essa è anzitutto un rapporto che ha come denominatore di calcolo la popolazione attiva (quella che potrebbe lavorare). Viene da sé, quindi, che se diminuisce la popolazione attiva perché aumentano gl’inoccupati, la disoccupazione diminuirà a sua volta, ma questo calo non si tradurrebbe in un aumento automatico degli occupati.
Insomma, quando non si sparano palesemente palle, ci si dimentica almeno di leggere interamente i dati, prendendo per buoni solo quelli che sono utili a glorificare l’azione del Governo di turno.