“Il più grande calciatore di tutti i tempi” di Germano Zullo, edito da La Nuova frontiera junior, è un romanzo che si legge d’un fiato.
Giunto lo scorso anno nella rosa dei tre finalisti al Premio Andersen, racconta con delicata sensibilità e attenzione i moti dell’animo e le scelte, spesso difficili, dell’età adolescenziale.
Crescere sovente vuol dire cambiare, non riconoscersi più nel ragazzino che si era, nelle passioni accese che si avevano.
Significa mutare i punti di riferimento, invertire le priorità. A volte, almeno apparentemente, a discapito di un ipotetico futuro che prima si aveva ben chiaro di fronte agli occhi.
Diventare grandi implica spesso la valutazione meno cieca dei propri genitori, richiede di osservarli e capirli come esseri umani, con le loro fragilità, le debolezze, magari entrando in contatto anche con le loro scelte sbagliate, con la consapevolezza che anche loro, come noi, avrebbero potuto essere più felici, forse più realizzati.
Inoltre attraversare l’età adolescenziale comporta inevitabili effetti collaterali, come l’innamoramento.
E l’innamoramento è sempre piuttosto sconvolgente perché, come la crescita, impone una trasformazione. Il confronto con l’altro, con l’amato o l’amata, soprattutto a quell’età, apre nuovi mondi, costringe ad entrare in contatto con impensati interessi, modi di essere. E’ una scoperta, spesso travolgente.
Il giovane protagonista del libro è un bravo giocatore di calcio, promettente, dicono gli allenatori.
I genitori sono separati e lui vive con il padre, dato che la madre se n’è andata con un altro uomo e fissa con il figlio un solo appuntamento al mese, sempre a pranzo, sempre nello stesso ristorante, dove ordina lo stesso menù e dice, ogni volta, le stesse identiche cose.
Partite, amici, un minimo di impegno scolastico, pare che non esista altro nella vita del ragazzo, che da grande, forse sarà calciatore professionista.
E invece no, già all’apertura del racconto – che si svolge in prima persona – si capisce che qualcosa sta cambiando.
Un calo nello sport, inizialmente, i rapporti con i compagni di squadra che vanno deteriorandosi, un peggioramento scolastico, un’insofferenza verso gli incontri con la madre…Sintomi di un malessere che ribolle, un disagio discreto, non violento che si accompagna a domande sul presente e sul passato dei genitori, ad una rielaborazione, sempre lieve, della perdita materna.
E, come spesso accade, una ragazza. Una compagna di scuola che appare quasi irraggiungibile, solitaria, forse un poco altera. Bella e distante. Giuliana è inizialmente un miraggio, difficile da avvicinare, quasi impossibile pensare di avere argomenti in comune.
In questo quadro emotivamente instabile, l’incontro con il singolare Wamai, amico del padre, straniero e profugo dal paese di origine dove, a causa della dittatura, ha perso l’intera famiglia, non può non restare impresso.
Wamai è semplice, un buon lavoratore, modesto, umile, il suo unico sogno è costruirsi una nuova famiglia trovando una tranquilla nuova compagna di vita. Legge fotoromanzi e accoglie con simpatia le confidenze sentimentali del ragazzo. Tutto questo pur essendo…il più grande calciatore di tutti i tempi!
Sì perché quello che sa fare Wamai in campo non è uguagliato da nessuno: scarta, dribbla, e tira con una precisione non comune. Se ha la palla lui, non c’è storia per nessuno; possiede una visione di gioco degna dei campioni del mondo.
Ma non è affatto un campione, non è nemmeno un giocatore professionista. Non desidera la ribalta, né il successo, né la gloria. Né tantomeno i soldi. Wamai, con il suo carico di dolore sulle spalle, vive l’ordinario e pare nona vere bisogno di altro.
A differenza di quanto si potrebbe immaginare, il romanzo non è però una riflessione sulla chimera del successo o sull’inutilità della gloria.
E’, invece, un efficace spaccato di un cammino di crescita e dei suoi momenti difficili, come anche di quelli positivi. Delle decisioni che si è costretti a prendere quando la propria vita arriva a dei bivi.
Un lettore disattento potrebbe accusare il giovane protagonista di rinuncia, potrebbe ritenerlo debole o credere che abbia compiuto degli sbagli.
Ma infondo l’importante non è cosa si sceglie ma il fatto di restare, in ogni momenti, fedeli a se stessi, di riuscire con sincerità ad abbracciare la propria via, senza che il mondo sia lì a convincerci di essere perdenti.
Wamai non è uno sconfitto: resta sempre il più grande calciatore di tutti i tempi. Il nostro narratore, parimenti, è solo un ragazzo che cresce e che si fa carico della sua vita, come è giusto che sia.
Un libro che conquista un pezzettino del cuore del lettore, che costringe al sorriso intenerito e, anche, a qualche guizzo di sorpresa e meraviglia. Che diverte, che fa riflettere, che fa un po’ male e un po’ bene, come le storie quando sono autentiche e ben scritte.
(età consigliata: da 11 anni)
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