Il populismo europeista

Creato il 27 marzo 2014 da Albertocapece

Indegna opera populista messa al bando come politicamente scorretta

La visita di Obama che viene a rinsaldare le fila dopo il colpo di stato attuato dagli Usa in Ucraina con l’aiuto decisivo dell’estrema destra nazifascista, il nuovo governo “rivoluzionario”di Kiev che intende abolire il Primo Maggio, la notizia che in Grecia la troika vuole raddoppiare la data di scadenza del latte fresco, rovinando migliaia di piccoli allevatori e dando spazio alle multinazionali, sono appena poche stazioni di una via crucis infinita. La stessa che negata, nascosta, contraffatta dai media maistream ormai sostituti e succedanei delle piazze ci rivela una cosa: il populismo si trova molto più a suo agio nell’europeismo di maniera, disponibile a chiudere gli occhi di fronte a qualunque cosa, che in quell’euroscetticismo accusato continuamente di coltivare questo vizio.

Per europeismo di maniera intendo tutte quelle posizioni che fanno riferimento ai vecchi ideali di unione continentale, rifiutandosi di misurarsi con la realtà, ovvero con il fatto che il progetto originario, ancora ben lontano dalla meta è stato tradito e deviato verso tutt’altre direzioni. Lo scenario di un’Europa della pace, della democrazia e della solidarietà è ormai solo il sipario strappato dietro il quale si nascondono diversi, contemporanei, ma convergenti progetti: il dominio della finanza attraverso strumenti di diritto eminentemente privatistico, l’appiattimento della Ue sulla Nato nel quadro della geopolitica Usa e infine il progetto merkeliano di una Europa dominata dalla Germania attraverso una serie di trattati bilaterali con ciascuno dei Paesi del continente. Insomma la Ue, le cui istituzioni elettive non contano nulla e sono soltanto un costoso specchietto per le allodole, è una pelle vuota e gonfiata da vari interessi che niente hanno a che vedere con i sogni originari.

Insomma se Padoa Schioppa parecchi anni fa poteva parlare – da banchiere – di “dispotismo illuminato” riguardo all’Europa, oggi ci si accorge che l’aggettivo illuminato è definitivamente caduto non solo con la troika, ma anche sulla vicenda Ucraina. Peccato che la lista Spinelli non faccia tesoro di queste parole che pure non dovrebbero essere estranee alla protagonista.  Rimane il dispotismo di apparati bancari e finanziari e quello degli stati forti, di una governance totalmente al di fuori del controllo dei cittadini, sorvegliata e difesa dal poliziotto euro. Tanto più vantaggiosa in quanto sottratta alle elementari leggi del consenso democratico cui sono ancora fatalmente legate le politiche nazionali e che lavora per creare condizioni oligarchiche nei singoli stati, come si vede benissimo anche in Italia.

Accusare di populismo tutte quelle forze che da diversi fronti politici contestano l’attuale costruzione continentale, sulla base di umori popolari assai più concreti delle ideal-balle che vengono sfornate ogni giorno dai media come le brioche, sono perciò frutto o di ingenuità border line oppure di ipocrisia all’ultimo stadio. Come d’altronde accade in America Latina dove qualsiasi leader che non si pieghi alle multinazionali è infallibilmente populista. Che la costruzione europea sia stata frutto di una élite non c’è dubbio e di certo non costituisce scandalo, ma una normale dialettica storica per certi versi necessaria a superare i vecchi paradigmi  e i pregiudizi. Solo che in questo caso i popoli non sono mai entrati in scena e anzi sono stati tenuti il più possibile distanti dai lavori in corso, anche quando sono stati direttamente investiti – spesso in maniera negativa – dalla costruzione. Il terrore dei referendum su quel regolamento aziendale del trattato di Lisbona, mefitico succedaneo di una costituzione, lo dimostra ampiamente. Il fatto è che l’Europa dei padri fondatori e delle visioni politiche è morta alla fine degli anni ’80 quando ad essi si sono sostituiti lobby, burocrati, politici subalterni agli affari mentre la scomparsa dell’Unione Sovietica ha generato da una parte il progressivo abbandono delle politiche sociali non ritenute più necessarie come vetrina del capitalismo dal volto umano e keynesiano, dall’altro l’ascesa della Germania di nuovo unita. La nuova élite che si è instaurata è del tutto autorefenziale  quanto alla propria legittimità nel nuovo quadro che si è creato con la moneta unica e del tutto etero diretta quanto alla politica.

Proprio per questo è l’europeismo passivo o ingenuo ad essere davvero populista e demagogico, presentando le politiche Ue come necessarie e foriere di una futura ripresa e benessere senza mai confrontarsi con la valutazione del loro contenuto che svelerebbe come invece portino a un impoverimento permanente e strutturale. E facendo credere che si possa tranquillamente cambiare tutto, senza cambiare nulla.  Che poi fasce sempre più ampie di popolazione non siano più disposte a crederci perché gramscianamente non convinte dalla razionalità di tutto questo e via via sempre più consapevoli della contraddizione fra le modalità economiche e il grado di civiltà raggiunto dalla società, è un altro paio di maniche. Si può anche essere pessimi populisti, populisti da salotto non in grado di nascondere i propri istinti elitari, come appunto accade per alcuni personaggi della neo sinistra liberista e monetarista che si presenta alle europee. Così sono finiti i fan di Gramsci.

E ha anche poca importanza che parte di questa opposizione venga da destra o dal nazionalismo di ritorno: dopo Kiev la Ue si è rivelata disponibile a giocare senza scrupoli in entrambi i campi, negandoli o integrandoli solo in nome dell’internazionalismo della finanza. E di quella forma di populismo confidenziale e classista che si chiama conformismo di massa. Le gente vota per i “populisti” perché c’è chi ha tradito le classi sociali di riferimento, gli ideali, le idee, i programmi che professava, ha rubato la rappresentanza, si è fatta scippare dalle destre. E ora pretende che i disoccupati e i precari siano politicamente corretti, mentre gli tolgono il futuro. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.


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