La campagna informativa coprirà tre fine settimana consecutivi, quelli del 13, 20 e 27 novembre, e lo sforzo organizzativo comporterà la stampa di milioni di pieghevoli e migliaia di manifesti per illustrare il piano del Pd per uscire dallo stallo economico e politico della nazione. Nei tre weekend di mobilitazione gli attivisti democratici contatteranno direttamente centinaia di migliaia di cittadini e le loro famiglie, andando direttamente casa per casa; in moltissimi comuni poi, nella giornata del 20 novembre (indicata dal direttivo nazionale come momento cruciale di incontro con i potenziali elettori) saranno allestiti appositi punti informativi e banchetti per il volantinaggio.
Ma nell’era del 2.0 spinto, quasi a tutti i costi, poteva questa mobilitazione escludere del tutto quella parte di paese che naviga su Internet e che ogni giorno si ritrova e si confronta – anche sui temi caldi della politica – sui social network? No, e infatti gli strateghi (?) della comunicazione del Pd hanno pensato di coinvolgere tutti i simpatizzanti attraverso la richiesta di sostituire al tradizionale avatar di Facebook e di Twitter, che solitamente identifica l’utente in modo univoco negli spazi virtuali sociali, un’immagine-simbolo dell’iniziativa: un cartoncino digitale appeso alla maniglia di una porta, molto simile a quei do not disturb tipici delle catene alberghiere, come a significare implicitamente l’impegno in quelle particolari giornate al servizio del partito e quindi, sottinteso, una temporanea indisponibilità (“per un fine più grande”, sembra quasi voler dire quel piccolo Bersani rappresentato al centro) a trascorrere il tempo in modo inerte sui social network.
Al momento il counter ufficiale del sito mobilitanti.it segna poco più di 17mila iscritti alle azioni di protesta promosse dal Pd sul web: pochi? Tanti? L’idea della “chiamata alle armi” 2.0 non è male, denota se non altro un tentativo di avvicinarsi a forme di attivismo nuove e più moderne, ma va anche considerato come questo viene organizzato e portato avanti.
Se l’avatar verticale può andar bene per Facebook, infatti, e risulta per una volta ben leggibile e di buon impatto, le sue dimensioni non standard (250×450 pixel) non consentono invece di adattarlo al formato avatar di Twitter, storicamente quadrato, a meno di non doverlo ridimensionare: un’operazione ulteriore che non tutti sono disposti ad accollarsi, sia dal punto di vista dell’impegno necessario che – a volte – anche solo a causa della mancanza di adeguate competenze tecniche.
I grafici assoldati dal Partito Democratico, dunque, hanno messo a disposizione un solo formato e non si sono preoccupati che questo andasse bene per tutte le (tra altro limitate) situazioni proposte, e questo è un errore abbastanza da principianti. Non potendo offrire soluzioni personalizzate, per ovvi motivi, sarebbe però stato quanto meno opportuno predisporre elementi grafici delle dimensioni più comuni e analizzare, almeno a grandi linee, quali potessero essere i fattori “frenanti” della partecipazione per limitarne il loro insorgere.
Provaci ancora, Pd.