Il potere di cambiare le cose e l’autoefficacia percepita: una spinta potente verso la realizzazione personale

Da Silvestro

A cura della dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma

“L’esperienza non è ciò che succede a un uomo, ma quello che un uomo realizza utilizzando ciò che gli accade.” Questa frase di Aldous Huxley, letta per caso vagando in internet, è in realtà più di un semplice aforisma.. è la chiave di volta della propria esistenza se riusciamo a coglierne il significato più profondo. “Homo faber fortunae suae” dicevano un tempo i Romani che probabilmente c’aveva visto lungo. L’uomo è artefice del proprio destino, o meglio letteralmente fabbro, nel senso che forgia, cesella gli eventi, determinandone il corso. Questo non va però letto con un’accezione di onnipotenza: l’uomo non può anticipare o prevedere il corso delle cose, ma può ricorrere all’esperienza e al proprio senso di autoefficacia, che in parte dall’esperienza deriva, per controllare il fluire degli eventi e lasciare la propria impronta. Siamo nella dimensione in cui ci si pongono domande del tipo “Chi sono?” “Chi voglio essere?” “Cosa voglio diventare?”. In questi pochi e fondanti interrogativi è racchiuso il cammino esistenziale di ognuno di noi: siamo costantemente chiamati a scegliere il vestito da indossare, cosa mangiare, che vita vorremmo condurre e ignoriamo completamente come, dietro ad ogni scelta, ci venga dato in realtà un grande potere… quello di cambiare le cose e di raggiungere i propri obiettivi. La realizzazione personale implica volontà: la volontà di fare, di raggiungere  e di rialzarsi quando si cade, nella piena consapevolezza della propria efficacia e che siamo gli artefici del nostro destino. Ma cosa intendiamo per consapevolezza della propria efficacia e soprattutto da dove nasce?

Bandura parla di autoefficacia riferendosi alle aspettative che una persona ha di padroneggiare con successo alcune situazioni. Non si tratta di una generica fiducia in se stessi, bensì della convinzione, o meglio della consapevolezza di poter superare alcune prove, di essere all’altezza di alcune situazioni, di affrontare assolvere e risolvere situazioni e problemi specifici. Maggiormente siamo convinti che gli esiti degli eventi dipendano da noi, più saremo in grado di determinare il corso degli eventi stessi. Ritenersi, infatti, incapaci di affrontare una situazione o percepirsi come inadeguati di fronte alla possibilità di risolvere un problema, genera ansia, paura, sgomento e soprattutto senso di frustrazione: di certo emozioni non destinate a motivare l’azione, quanto, semmai, ad evitarla. Nel quotidiano, non ci domandiamo mai se siamo capaci o meno di fare certe cose, sappiamo con certezza di essere in grado; ma il problema sorge di fronte a situazioni nuove e quindi sconosciute: per affrontarle in modo adeguato e competente è quindi, per prima cosa,  importante non solo sapere cosa fare e avere le abilità per agire, ma anche la consapevolezza di saperle usare correttamente. Siamo dunque autoefficaci quando sappiamo di avere le capacità per fronteggiare quello che ci capita e di poter lasciare il segno nel nostro passaggio nel fluire delle cose. Si tratta della credenza che l’individuo possiede circa ciò che è in grado di fare con le abilità che possiede e richiede per questo un’attenta quanto accurata autoanalisi. La percezione della propria autoefficacia influenza infatti gli obiettivi che ci poniamo ogni giorno come nella vita, e i rischi che siamo disposti ad affrontare per realizzarli: maggiore sarà il senso di autoefficacia percepita , più elevati saranno gli obiettivi che si sceglieranno, tanto più intensi saranno gli sforzi che si faranno e saranno più alti i rischi che saremo disposti a correre. Per esempio, se sono consapevole di guidare bene il kart posso pormi l’obiettivo di entrare in formula 1 e più crederò nelle mie competenze e nella possibilità di farcela, maggiori saranno i rischi che sarò disposto a correre e i sacrifici che farò.

Ma si nasce autoefficaci o è una caratteristica che si acquisisce?

Sostanzialmente esistono degli aspetti temperamentali legati alla ricerca o meno di sensazioni, un certo orientamento rispetto alla ricerca o meno di novità e quindi di contesti in cui mettersi alla prova ed eventualmente scoprirsi efficaci. Al di là tuttavia delle componenti innate sono essenziali le esperienze vissute ed il contesto in cui l’individuo si trova. Sin dalla prima infanzia, attraverso la manipolazione degli oggetti prima (relazioni circolari primarie) e al feedback sociale poi, il bambino comprende che c’è una relazione tra azioni ed effetti e che, attraverso schemi di azione, può avere il controllo su di sé e sul mondo, sviluppando le proprie capacità e la relativa fiducia in sé. Sperimentando successi diviene così più competente ed accresce il proprio senso di autoefficacia

Come si può sviluppare il proprio senso di efficacia?

Per incrementarlo è indispensabile anzitutto sapere da dove origina. A tal proposito, secondo Bandura ( Bandura, 1996; Maddux, 2005) vanno  considerate 5 fonti principali:

1)   le esperienze di gestione efficace: ovvero le esperienze personali affrontate con successo e mettendo in gioco le proprie risorse

2)   esperienze vicarie: osservare persone che svolgono con successo un compito porta a credere di possedere le abilità necessarie per fare quanto si è osservato ( è un po’ come se ci si dica “ce l’ha fatta lui, posso essere capace anche io!”

3)   persuasione: è importante che le fonti che noi “accreditiamo”, ovvero le persone la cui opinione per noi è importante, ci incoraggino ad essere autoefficaci, evitanto, loro in primis, di accrescere irrealisticamente le nostre aspettative

4)   controllo di stati emotivi e fisiologici: ovvero il considerare la propria attivazione emotiva e fisiologica come motore propulsore per fronteggiare efficacemente una situazione ( i soggetti con disturbi d’ansia vivono questa attivazione con terrore, interpretandola erroneamente come la spia di un malessere)

5)   immaginazione: immaginare una situazione in anticipo permette poi una gestione più efficace in quanto nella fantasia si possono sperimentare tutte le varie soluzioni, valutandone rischi ed utilità

Attraverso le informazioni ricavate da queste dimensioni l’individuo diviene in grado di soppesare quanto dipende da sé e quanto invece da fattori esterni ( locus of control), consolidando quindi il proprio senso di autoefficacia non solo in relazione a prestazioni precedenti, ma anche alla consapevolezza che il caso fortuito ha giocato un ruolo più o meno marginale. Tuttavia non si è sempre e comunque autoefficaci. Le convinzioni di autoefficacia investono l’ambito lavorativo, come quello affettivo, dalla gestione del rapporto di coppia al mantenimento dei rapporti sociali e non sempre si riesce a percepirsi efficaci in tutti questi contesti, anzi, molto spesso si prediligono 1 o 2 settori in cui si dà il meglio di sé, così da non incorrere in eventuali fallimenti.

Da quanto detto sinora si potrebbe cadere nell’erronea equazione autoefficacia= autostima, ma non è così. L’autoefficacia riguarda il giudizio sulle proprie capacità, mentre l’autostima è inerente a valutazioni di valore personale: si potrebbe indicare la prima più legata al fare mentre la seconda più legata all’essere. E’ ovvio che un individuo con una buona stima di sé sia con molta probabilità anche autoefficace, ma vi possono anche essere persone che si considerano inefficaci senza per questo subire una svalutazione di sé ( per esempio vi considerati inefficaci di fronte al di risuolare le scarpe, ma non per questo non avete fiducia in voi… semplicemente è un ambito in cui siete consapevoli di non avere le capacità necessarie per fare un buon lavoro!)

In definitiva l’autoefficacia rappresenta una forte spinta ad agire, a compiere scelte, a cambiare le cose che non vanno; è una forza che spinge a realizzarci ben sapendo che l’esistenza spesso la farà vacillare, è un potere che dà il senso alla vita e che ciascuno di noi porta dentro di sé.

Tutti noi abbiamo bisogno di avere una direzione da seguire, siamo animali progettuali poiché necessitiamo di un “perché” per vivere e se si nutre questa fiducia in sé, nelle proprie azioni, nei propri pensieri, è meno probabile che ci si scoraggi di fronte alle dure prove che la vita ci riserva

(Ultimo articolo pubblicato  ” Il perfezionismo ci avvelena la vita: impariamo a fare “del nostro peggio ” )

<a href="http://polldaddy.com/poll/5053276/">View This Poll</a><br /><span style="font-size:10px;"><a href="http://polldaddy.com/features-surveys/">online surveys</a></span>

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :