Premiato per aver difeso la libertà d’opinione e d’espressione al costo della propria vita. Il cubano Guillermo Fariñas è un veterano degli scioperi della fame. Più di venti, quelli condotti nel corso della sua militanza come cittadino e giornalista. Una battaglia per la liberazione dei prigionieri politici cubani, che l’Europa ha coronato riconoscendogli il premio Sakharov.
“A Cuba – dice -, dopo aver ottenuto il visto, dobbiamo aspettare l’invito formale a recarci in un altro paese. Non possiamo infatti andare all’estero, se non dopo aver ricevuto una lettera di invito presso un consolato cubano. Nel mio caso le autorità avevano adempiuto a questa formalità attraverso il consolato in Francia, ma questa lettera non è mai arrivata”.
L’8 luglio l’annunciata liberazione di 52 prigionieri politici, che pone fine al suo ultimo sciopero della fame. 135 giorni che gli fanno sfiorare la morte, ma riaccendono i riflettori sulla libertà d’espressione a Cuba.
Una missione, tuttora portata avanti dalle Damas de Blanco. Iniziative e marce settimanali per tenere alta l’attenzione, che cinque anni fa sono valse anche a loro il premio Sakharov. Già allora, la morsa della Havana era però scattata, per impedire il viaggio in Francia e soprattutto limitare gli effetti della grancassa mediatica.
Diverso il caso di Osvaldo Payà. Primo dissidente cubano a ricevere il riconoscimento, il fondatore del Movimento cristiano Liberaciòn, nel 2002 aveva potuto portare a termine la sua trasferta all’estero.
“All’epoca – è l’interpretazione che fornisce oggi Fariñas – non devono essersi resi conto dell’importanza che, ai fini del mantenimento del regime totalitario, poteva rivestire il fatto di consentire a Osvaldo Payà di lasciare il paese. Adesso invece guardano con terrore all’ipotesi che altre persone, come lui, possano andare all’estero, denunciare quanto accade qui, e rientrare in patria”.