Hettemarks 1976
Il termine prêt-à-porter nasce con il tentativo di tradurre l’espressione “ready to wear” utilizzata negli Stati Uniti per definire una moda creata appositamente per la società di massa. Anche l’Italia si adeguò, con l’introduzione, nel lessico della moda, di due nuove tipologie di prodotti: la moda boutique e l’Alta Moda pronta.
La moda boutique, la moda delle sfilate fiorentine, era contraddistinta dalla qualità dei materiali e dalla natura artigianale delle tecniche di confezione, prodotta in numero sufficiente da soddisfare le necessità dei grandi magazzini americani che si collocavano nella fascia alta del mercato.
L’Alta Moda pronta, invece, traeva spunto dalle collezioni più esclusive, ma veniva semplificata nei disegni, resa meno costosa attraverso la scelta di tessuti più economici e confezionata attraverso tecniche di rifinitura e cucitura di serie.
Hettemarks 1962
La tendenza verso un processo di produzione in serie, fu agevolata dall’introduzione delle taglie. Negli Stati Uniti si era da tempo reso necessario un sistema per semplificare il processo di confezione di vestiti. Durante la Prima Guerra Mondiale, infatti, un migliaio di reclute americane erano state misurate al fine di raccogliere dati utili per la preparazione delle uniformi in serie. Negli anni quaranta fu condotta una ricerca su un campione che comprendesse anche le donne. Tale ricerca permise di stabilire un criterio di misurazione che portò, nel 1952, alla definizione di uno standard commerciale.
Il modello americano fu acquisito in Italia intorno agli anni cinquanta, quando aziende come Marzotto, Lanerossi, Miroglio, Luigi Bianchi ed il Gruppo Finanziario Tessile iniziarono quest’opera di rinnovamento dell’industria tessile. Questo periodo è ricordato come la “rivoluzione delle taglie”, che andò di pari passo con l’innovazione delle tecniche pubblicitarie e di distribuzione.
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Video di approfondimento del 1967 di Rai Teche, in cui le Sorelle Fontana spiegano il loro passaggio dall’Alta Moda alla produzione in scala.