Il prete e l'esattore

Creato il 24 agosto 2011 da Desian
Arrivare a Pietralba, come quasi ogni scorcio da queste parti, crea un effetto vertiginoso. Te lo trovi lì, un po' all'improvviso, questo austero santuario seicentesco. Talmente austero che sembrerebbe piuttosto un collegio, una scuola decisamente d'altri tempi, al massimo un ospedale. Talmente austero che, se non fosse per campanile e cupola a cipolla, resterebbe assolutamente anonimo. Vuoto.
Sembra di volare, su questa strada d'altopiano che ti guida leggera fino ad parcheggio sterrato che pare inginocchiato davanti al prospetto immacolato della facciata. E il santuario ti guarda, in cima a un vialetto d'accesso che pende quasi come una pianura, al confronto con ben altri sentieri d'attorno. Arrivare alla scalinata è un attimo.

Pietralba è il più importante santuario e polo religioso del Sudtirolo: visto dalla cima del Corno Bianco sembra una fortezza senza fossato, una "vigna del Signore" già espugnata ad una fede che, in questi luoghi, si scorge a qualsiasi angolo di strada o di sentiero: un tabernacolo, un crocifisso non mancano mai. Eppure, quando ti avvicini, c'è qualcosa che non ti torna. Sarà il silenzio di un sonnacchioso pomeriggio d'agosto, sarà che in fondo non sei proprio abituato a questa architettura religiosa così in tono minore ma alla fine la sensazione è piuttosto straniante. Ti chiedi cosa davvero possa nascondersi dietro quei muri che già solo dall'imbotte delle finestre si capiscono spessi e massicci. E freschi.
La prima porticina che ti si para davanti è già una scoperta: alla fine di un breve corridoio, che il sole abbagliante da cui arrivi rende ancor più nero di quanto non sia, quella che sembra una cripta eremitica si rivela invece, quando finalmente le pupille tornano a vedere qualcosa, un cimitero, lo scrigno geloso e umido di cadaveri vecchi di tre secoli. Al turbamento che ti sospinge via opponi ancora un poco di fatica, e di attesa, per salire gli ultimi scalini e raggiungere il piano della chiesa e chissà quanta bellezza ci troverai. Tanta devozione artistica, va detto, non viene ricompensata: l'interno è il solito mediocre tripudio di ori e stucchi, di barocco zuccheroso e ridondante. L'epoca era quella, si sa, ma al gusto di chi la vede oggi - almeno al mio, s'intende! - non lascia alcuna traccia. Il romanico o, meglio ancora, il gotico sono proprio un'altra cosa, un altro sentimento.
Eppure, ecco sì davvero il sorprendente: la chiesa è decisamente piccola, quasi uno spazio ritagliato in un angolo. Un sottoscala, un incidente di percorso nella storia sontuosa di santuari simili. E non parlo di grandi strutture dall'appeal internazionale come Loreto, Assisi, Pietrelcina. Basterebbe semplicemente andare in un qualsiasi angolo remoto di Umbria o Marche, giusto per fare un paio di casi, ed ecco comparire chiese di ben altre dimensioni: a Fonte Avellana, misconosciuto monastero sperso nei monti del nord delle Marche, la chiesa "è" il luogo, il resto contorno.
Pietralba no. Te ne accorgi aprendo la porta laterale (la chiesa è a navata unica), alla tua sinistra. Il vero mondo di questo santuario-azienda si apre qui, non appena superata la stanza degli ex-voto che è un autentico trattato di antropologia culturale (e non aggiungo altro). Basta riconquistare l'aria aperta, stavolta dietro la facciata austera, per scoprire la stanza delle macchine, il vero cuore pulsante di un certo modo di fare Chiesa in questo Paese.Guardandomi attorno non ho potuto fare a meno di ricordare un film documentario di qualche anno fa sulle decine di chiese, sette e congregazioni che letteralmente infestano gli USA, molte delle quali sono - denunciava quel film - ciniche macchine da soldi basate sul tradimento della (buona) fede e della credulità popolare. Se volessimo dirlo in altri termini, per tornare al di qua dell'oceano, qualcosa che sta a metà tra la Napoli di Gigi D'Alessio e Sanremo, inteso come specchio e anima di quella cultura nazional-popolare che ha fatto l'Italia.
Già sulla soglia esterna della stanza degli ex-voto, con un solo sguardo circolare si scorgono le insegne di (e li enumero in elenco perché li si colga meglio):
- bar
- ristorante
- self service
- hotel
- ufficio informazioni
- museo diocesano
- biblioteca
- centro congressi.
In questo giro d'orizzonte ci sono anche un paio di cabine telefoniche, una specie di grotta artificiale devozionale, un altare posticcio esterno con decine di posti a sedere tutt'attorno ben protetti da un paio di enormi gazebo e, soprattutto, una inquietante enorme riproduzione lignea di un Giovanni Paolo II nell'atto di impartire una benedizione con davanti una specie di terrazzino pieno di gerani rossi.
Ebbene, un oggetto di così malvagio cattivo gusto, confesso, non mi era mai capitato di vederlo. In nessun contesto, mai.

Gli spazi interni del bar potrebbero tranquillamente ospitare una partita di calcio, il self service è una struttura perfettamente attrezzata per servire centinaia di pasti a turno. Non ho visto l'albergo ma non ho motivi per ritenere che potesse essere meno grandioso.
Non mi dilungo sulle macchinette mangiasoldi presenti nel sacro bar (aggiungo solo che le toilette di quest'ultimo occupano la superficie equivalente di un signorile appartamento) mentre il vero parcheggio, quello tenuto ben nascosto sul retro, ha centinaia di posti auto tanto che il parcheggio sterrato sul davanti, di cui dicevo all'inizio, sparisce miseramente o, forse, si rivela un falso segno di umiltà atto ad ingannare il viaggiatore frettoloso.
Insomma, una bella aziendina.
Un'impresa economica a tutti gli effetti che produce lavoro, reddito, profitto.
E tanto, così ad occhio e Croce.
Chissà quanto farebbe di ICI (e di tutte le altre tasse non versate) tutto 'sto ben di Dio?!

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