Il Primo Gennaio, Eugenio Montale

Creato il 01 gennaio 2014 da Yellowflate @yellowflate

Eugenio Montale (1896-1981) nella sua “Il primo gennaio” presenta due modi di interpretare e vivere la vita diversi, quasi opposti. Ed ecco dunque la “Mosca”, la moglie del poeta Drusilla Tanzi, con il suo riso che “esplode” nel ringraziamento mentre ripulisce la casa dopo il veglione di San Silvestro. Tutto il contrario è lui, il poeta,  quasi un oggetto di scena , una ” larva”, nella sua convinzione che si possa vivere senza esistere o esistere senza vivere. E’ questa la base della  “teologia negativa” di Montale, privo anche del lumino del “minuscolo dio” cui la “Mosca” invece si affida.

“Il primo gennaio”

So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta o da un fondale,
da un fuori che non c’é se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’é magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzuffino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui t’affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente indisposta
al disponibile,
distratta rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se ne accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi… e se ne pentì.
Ora
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni dentro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.

(da Satura, 1971)


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