Ma veniamo a conoscere l'indice, per avere un'idea più completa del volume. La suddivisione della materia (in 262 pagine) è accademica e include perciò tutti gli apparati che ci si attende da un saggio del genere (introduzione, ringraziamenti, indice ecc.). I capitoli veri e propri sono otto e la loro eterogeneità è, a mio avviso, uno dei pregi principali dell'opera di David Bate. In ordine, abbiamo 1. Storia, 2. Teoria della fotografia, 3. Documentario e narrazione, 4. Guardando i ritratti, 5. Nel paesaggio, 6. La retorica della natura morta, 7. La fotografia d'arte, 8. Fotografia globale. Come si capisce dai singoli titoli ciascuno può trovare spunti interessanti per il proprio percorso all'interno di tutto Il primo libro di fotografia, ma può anche - e questo è un ulteriore vantaggio - isolare singole sezioni che operano come approfondimento specifico di una particolare problematica.
Di contro, va detto che non si tratta di un libro facile e, curiosamente, proprio i paragrafi nei quali l'autore tenta di colmare il gap tra la fotografia e le altre discipline (psicanalisi, linguistica, semiotica, scienza delle comunicazioni) risultano un po' sbrigativi - almeno per quelle che sono le mie competenze - e perciò anche ostici. In definitiva, ci si fa l'idea di avere un po' tutto a portata di mano per partire per un nuovo viaggio, ma i bagagli potrebbero non essere del tutto pronti e alcune ridondanze possono appesantire un po' la valigia. D'altra parte, ciò dipende dal target un po' indefinito previsto da David Bate e dal suo editore inglese. Il tentativo di condensare un intero corso di studi in un saggio di breve respiro produce, in definitiva, qualcosa di poco omogeneo e la mia impressione, in casi simili, è che accorciare sarebbe stato molto più risolutivo che approfondire.
La storia dell'arte prima della fotografia è una storia di generi. nelle accademie d'arte la pittura era collocata in una gerarchia di generi distinti a seconda del valore critico dei discorsi che li controllavano. Con l'invenzione della fotografia tutto cambiò, non solo perché fu inventato il mezzo fotografico, ma anche perché l'industrializzazione cambiò totalmente il punto di vista sull'arte e sulle immagini nella cultura. (p. 192)
Non faccio fatica a comprendere la prospettiva da cui nasce una posizione simile e, in parte, a condividerla; ma a rimanere fuori asse, qui, non è tanto il ruolo della fotografia nella storia delle arti, quanto piuttosto il senso del visivo prefotografico e il concetto stesso di industrializzazione, che sembra risentire troppo della lettura di Walter Benjamin (peraltro, più volte citato). Si pensi, insomma, all'industria del visivo nel basso medioevo e nell'umanesimo e nel Rinascimento, "industria" almeno in rapporto alla committenza, alla destinazione e al ruolo dei prodotti, per non parlare di una fruizione che coinvolgeva una comunità in grado di autodefinirsi come "mondo".
Il primo libro di fotografia è comunque un'opera molto interessante per tutti gli spunti che offre, per la capacità di stimolare una riflessione, se occorre anche polemica. Tra tutti, ho trovato molto attuali anche le problematiche relative alla fotografia di paesaggio, con l'attualissimo concetto di "pittoresco" che infesta molti scatti amatoriali (in una strana convergenza con la produzione seriale dell'industria fotografica), e le implicazioni psicanalitiche nel guardare le fotografie. Sui temi e su molte analisi, in sostanza, mi sembra che il libro di David Bate possa davvero essere un primo passo ragionevolmente equilibrato e suggestivo per accedere alle questioni che sottendono, se non il mondo della fotografia, quanto meno la fotografia nel mondo.