La trama (con parole mie): 1957. Jacques Cormery, giornalista di successo ed opinionista, dalla Francia fa ritorno nella natìa Algeria provata dalla guerra civile per una serie di incontri all'Università, approfittando per passare qualche tempo con la madre e ritrovare i paesaggi ed i colori della propria infanzia, vissuta all'ombra di una nonna troppo autoritaria e nella povertà.
Il contatto con la nuova Algeri apre le porte dei ricordi dello scrittore, che si troverà a confrontare il suo passato e la formazione del "primo uomo" parallelamente alle vicende che vedono il sangue scorrere per le strade a seguito della spaccatura tra arabi e francesi.
In questo clima tumultuoso, Jacques incontrerà un suo vecchio compagno di scuola il cui figlio è stato condannato a morte come attentatore ed il professore che per primo credette nelle sue capacità, e avrà occasione di visitare la fattoria dove sua madre lo diede alla luce.
Gianni Amelio è da anni una delle realtà più felici del Cinema autoriale italiano, nonchè, accanto a Bellocchio, uno dei Maestri che, cresciuti sul finire degli anni sessanta e della rivolta, hanno saputo raccogliere l'eredità del periodo d'oro della nostrana settima arte traghettandola verso il nuovo millennio: firma di vere e proprie pietre miliari come Il ladro di bambini, Lamerica e Così ridevano, il regista calabrese torna sugli schermi a cinque anni di distanza dal più che buono La stella che non c'è partendo da un romanzo incompiuto - e profondamente autobiografico - di Camus quasi volesse fare il punto sulla propria esistenza, sulle origini ed i ricordi che, una volta giunti alla maturità, alla saggezza e all'equilibrio, ci ritroviamo ad affrontare quasi come fossero un bilancio della nostra esistenza, o un trampolino per un futuro che non è mai troppo poco per sperare.
Il risultato di questa ricerca è un film profondamente intimo, costruito sulla riflessione e l'attesa, sul fascino che i colori dei ricordi esercitano sempre - specialmente quelli legati all'infanzia -, che forse patisce il fatto che il romanzo dal quale è tratto non fu mai portato a termine dal suo autore - morto in un incidente stradale nel corso della sua stesura - ma che ugualmente riesce nell'intento di aprire una porta sul valore dell'esperienza e delle proprie radici, che l'Algeria dei tempi - dilaniata dai conflitti tra il nucleo francese continentale e quello arabo che fu raccontato anche dal Capolavoro di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri - ha così drammaticamente ben rappresentato: in questo senso appaiono fondamentali sia il confronto tra Jacques ed il suo vecchio compagno di scuola che vive il dramma della condanna a morte del figlio diciottenne a seguito della sua parte nella progettazione di uno dei numerosi attentati che ai tempi insanguinarono le strade della capitale algerina e quello con la madre, ormai legata profondamente a quella terra e alla sua mescolanza di culture rispetto a quello che è lo sbiadito ricordo della vita continentale.
La figura della donna, analfabeta e tranquilla, fragile eppure più coraggiosa degli studenti ridottisi a protestare soltanto nelle aule dell'Università, interpretata da Maya Sansa nella sua giovinezza e dall'ottima Catherine Sola nel presente di narrazione, che dichiara al figlio che la vorrebbe riportare in Europa con lui che per lei non c'è più spazio in quella che è stata la sua terra natìa, e che il bello dell'Algeria è proprio dato dalla mescolanza di costumi e tradizioni diverse si fa dunque portatrice del messaggio che probabilmente lo stesso Camus teneva a divulgare anche e soprattutto agli occhi di chi, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, non accettava l'idea di un'Algeria indipendente che si basasse sulla sua identità araba quanto francese.
Legato a questo contesto è anche l'incontro con il vecchio professore che fu il primo a credere nelle capacità di Jacques, bambino vissuto nella povertà e sotto il giogo della nonna materna, donna di polso eccessivo pronta a rifugiarsi in meschini stratagemmi per non mostrare all'esterno la propria avarizia ed ignoranza: ripensando alla pellicola nella sua completezza, dunque, assistiamo alla progressiva formazione di due anime, una più legata alla forma, ai comparti tecnici e alla posizione più autoriale - il passato - ed una più sentita, coinvolgente, politica ed intima - il presente -.
Personalmente ho trovato decisamente più efficace la seconda, resa con grande sensibilità dalla mano esperta di Amelio, attento a rispettare il lavoro di Camus e fare sua con leggerezza e partecipazione una vicenda che finisce per risultare quasi come una personale biografia: non si tratterà di uno dei vertici della sua opera, eppure questo Il primo uomo è il graditissimo ritorno di uno dei nomi più importanti del nostro panorama registico, che nella desolazione quasi totale che sono state le ultime stagioni di produzioni made in Italy rappresenta senza dubbio una boccata d'aria per la nostra boccheggiante settima arte.
MrFord
"Ora intorno a me c'è una pace che il mondo mai avrà
il cielo è una cattedrale che muri non ha dove arriva l'eco lontano dell'umanità."Raf - "Il primo uomo" -