Arnaud Demare, occhi azzurri e il sorriso svagato sulla faccia di porcellana, resa un po’ dura dagli zigomi leggermente pronunciati e addolcita dai capelli biondo scuro, scompigliati dal casco. Nacer Bouhanni, testa scura, lucida di gel, sorriso timido reso riconoscibile tra tanti dal diastema, cicatrice sulla sopracciglia e la straordinaria contrastante bellezza di due occhi castani frangiati da ciglia scure. Tante, come quelle di un bambino.
Il principe e il pirata.
Arnaud è il sogno e il riscatto dei francesi: l’immagine, a volte, riesce a circuire i cuori più duri. Da quando ha cominciato a vincere (e vincere bene) le volate, dipingere su di lui l’aura del prescelto è stato semplice. Nato a Beauvais, originario della Piccardia, è stato messo in bicicletta su consiglio di un ex ciclista professionista. Da Juniores è subito argento e quando debutta nei professionisti, la volata vincente in Quatar, ai primi di stagione, sembra mandare in delirio tutti. La promessa sta diventando realtà. Quest’anno si è vestito dei colori della sua bandiera e, nella foto ricordo di quella vittoria, c’è anche Nacer: dietro di lui, con il suo sguardo di quando arriva secondo.
Stessa squadra, due indole diverse e inconciliabili.
Nacer è un’ex pugile. Niente castelli di dorate promesse attorno. E’ nato nel dipartimento dei Vosgi, montagne dure come lui. Per quanto ne so della boxe, per dare pugni devi saperli anche incassare. E il pirata di Girmont forse ne ha prese tante anche nel mondo del ciclismo. Il suo è un talento puro e grezzo, solitario e sanguigno. Non molla mai il body della crono, nemmeno nelle tappe più dure. Ha bisogno di non avere quasi niente addosso per sentirsi a contatto sincero con la strada. E ancor più col vento che è il suo elemento. Non ha lo stesso odore dei guantoni ma forse è uno dei pochi che ha creduto in lui fin dall’inizio. Perché un velocista non può avere scuse: in quei duecento metri non può sbagliare, deve tagliare il vento come una lama sottile, deve andare più veloce di lui. Nacer è davvero un corsaro, nelle volate, e qualcuno protesta contro la sua veemenza. Ma lui si definisce solo un buono che però non porge l’altra guancia. Settimana scorsa, in un’intervista all’Equipe, al giornalista ha detto: “Preferisco vivere un giorno da leone che cento da pecora.”
Testa dura, è vero. E carattere d’acciaio. Ma è questo che fa di lui un vincente. E non solo perché vince ma per come vince. O meglio, per le tempeste, più o meno rumorose, che hanno preceduto le vittorie.
Nonostante in questi ultimi tempi abbia brillato come una stella, nonostante i successi al Giro e la maglia rossa, ha dovuto convivere con le ombre dei principi in casa FDJ. Il DS Marc Madiot ha mandato Arnaud al Tour de France senza raccogliere un briciolo di risultato dalle sue aspettative e i vuoti inneggiamenti “Allez, Allez” non lo hanno aiutato a realizzarle.
Ecco, ho sempre detto che spesso sono più interessanti quelli che arrivano dopo la linea bianca. Per le loro storie, per le loro debolezze, per i loro sogni che covano custoditi nelle loro gambe stanche. Nacer arriva spesso prima di tutti. Eppure mi ha affascinato per quello che è stato (e continua ad essere) prima di diventare Bouhanni. Ha confessato che da ragazzino non ha mai avuto belle biciclette e questo lo ha aiutato a crescere meglio. Si diventa migliori con i mezzi peggiori. E ogni volta che Nacer cadeva, il male, il sangue, le botte passavano in secondo piano: la bicicletta contava, solo quella. Anche se era di poco valore. Era pur sempre una bicicletta e serviva per andare avanti a correre. Un amore continuo che forse lo sta ripagando. Un amore ostinato come lui che è nato sotto il segno del Leone e ne ha tutte le caratteristiche. Buono con quelli di cui si fida, testardo, tenace fino all’inverosimile e un po’ egocentrico. E con la capacità profonda di sentire il richiamo del riscatto. Dopo la brutta caduta al Tour de France del 2013 non sentì la voce del suo direttore sportivo per un mese intero. Uno dei momenti bui, che quando sei un ciclista ti si aggrappano come ragni nel buio e ti lasciano solamente quando puoi ricominciare a pedalare. Perché la solitudine si combatte in molti modi e la bicicletta è uno di quelli. La rabbia contro il mondo, lì diventa forza. Lo smarrimento diventa improvvisamente sicurezza, responsabilità. E’ una strana legge che forse Nacer mischia a quella del ring: rialzarsi sempre, senza dire una parola. O forse no. Rialzarsi, imprecare, urlare, lasciar scorrere il sangue più forte nelle vene. E poi ricominciare. Fare piazzamenti, arrivare secondo non gli è mai bastato. Nemmeno quando era un ragazzetto e nessuno gli lasciava varchi nelle volate. Ora, lo dice lui stesso, lo riconoscono, lo rispettano. E questo, che i superficiali giudicheranno un discorso arrogante, non è altro che il naturale flusso di un fiume troppo potente in un piccolo argine. Si è fatto avanti e lo ha fatto da solo, ha conquistato il suo posto nel mondo come tutti noi vorremmo, ogni giorno: a mani nude, senza paura di andare a settanta all’ora, manubrio contro manubrio, negli ultimi metri.
No, non è il principe che la Francia voleva o credeva di avere. Nacer ha la scorza dei campioni e il carattere poco incline ad abbassare la guardia. Ma i francesi stanno imparando ad amarlo per la sua schiettezza, per la sua espressione da bulletto che forse è una scusa per mitigare la dolcezza dei suoi occhi. Occhi che hanno cicatrici invisibili, quelli dei sogni conquistati con fatica, mischiata ai fraintendimenti del suo carattere impetuoso. Si è imposto con la prepotente voglia di essere sé stesso, di non mandare a dire niente e di parlare schietto anche sulla bicicletta. Le sue vittorie zittiscono tutti
E poi c’è che un pirata è spesso un buon capitano e lui guarda già lontano verso il suo orizzonte: l’anno prossimo andrà alla Cofidis. Cambierà squadra, compagni, direttori sportivi. Un vento nuovo che ha calcolato lui stesso, come se avesse già in mano le carte del suo destino, una bussola che segna il suo Nord. Pensare che una delle cose più difficili, nella vita, è sapere dove andare. Nacer lo fa con la stessa naturalezza con cui affronta le volate. E sogna, sogna ancora senza sosta, il ragazzo dei Vosgi: forse vorrebbe anche lui compagni che si sacrificassero fino all’osso per portarlo sano e salvo all’arrivo. Forse vorrebbe che quegli stessi compagni avessero fiducia, fiducia cieca in lui che, alla fine, ha sempre fatto qualunque cosa per non deludere sé stesso e le aspettative.
C’è la prossima stagione e prima c’è il Mondiale. Arnaud ha la maglia tricolore e la sua ultima vittoria si ferma a maggio. Nacer, dopo il Giro d’Italia, si è portato a casa la maglia a punti al Circuit de la Sartre, una tappa dell’Eneco Tour, una della Parigi Nizza ed è arrivato affamato alla Vuelta dove si è preso tre tappe, prima di ritirarsi per cerchiare in rosso il suo prossimo ambizioso obiettivo.
Il principe sta ancora sonnecchiando nel castello. Il pirata è pronto all’arrembaggio.