il principio di legalità è una roba da gufi

Creato il 22 maggio 2015 da Albertocapece

C’è almeno una consolazione: che il governicchio di Renzi, invischiato dentro una inestricabile palude di imposture, non riesce a mentire fino in fondo sulle sue intenzioni finali, sul suo animus e sul suo senso, possiede insomma quella ingenuità del bugiardo che per quanto spasmodicamente attento sulle singole invenzioni, non riesce a nascondere la propria natura. Così il contabile Padoan, alle prese con una promessa di ripresa che sta già affondando nel nulla come una barchetta di carta, si sfoga con la Corte Costituzionale che nell’emettere le proprie sentenze dovrebbe  “fare valutazioni economiche sulle conseguenze dei suoi provvedimenti“: ora che la questione delle pensioni bruci è un conto, ma sostenere che la Consulta non debba controllare la costituzionalità delle leggi, bensì pensare al bilancio è una chiarissima formulazione  tutta italiana del primato dell’economia sulla legalità. Del bilancio sui cittadini. Del profitto sui diritti. Insomma una roba da gufi come direbbe il premier.

Anzi diciamo pure è la definizione di una legalità occasionale e guidata dal profitto oppure dalla convenienza, visione che non può essere certamente attenuata dai balbettii grotteschi dello stesso Padoan sull’equità tra anziani e giovani: dopo aver aperto la scatola nera dell’etica e della progettualità governativa, svelandone le nequizie, tenta di richiuderla con la riproposizione di vecchie fandonie alle quali non crede proprio più nessuno. Il fatto è che per questi omminicchi la legalità e lo stato di diritto hanno senso solo se si alleano con l’arbitrio del potere e ne rappresentano le esigenze: è una mentalità che è già fuori dalla concezione fondamentale della democrazia la quale si distingue proprio per il fatto che tutti gli organi dello stato sono tenuti ad agire secondo la legge.

Ora una cosa è che (come è accaduto in passato) vi siano tentativi sotterranei di condizionare la Consulta, se non vere e proprie prove di patteggiamento, un’altra è rivendicare queste opacità come la strada maestra alla maniera di Padoan quando sostiene che “se ci sono sentenze che hanno un’implicazione di finanza pubblica, deve esserci una valutazione dell’impatto”.  Questo nulla ha a che vedere con la legalità e la costituzionalità di una legge: se il legislatore ha sbagliato nel concepire la norma, sia sul piano formale che sostanziale ed ideale, non può pretendere di essere assolto solo perché ha basato i suoi conti su un errore.

Ora si può tranquillamente aspettare che il cadavere di Padoan passi sul fiume della politica: l’arresto della crescita Usa, così come il secondo calo consecutivo del manifatturiero in Germania la dicono lunga su quanto sia consistente la favola della ripresa in Italia e alla fine il bullo di Rignano, peraltro sulla stessa linea anche se in maniera più ambigua nei confronti della Consulta, sarà costretto a sacrificare proprio Padoan, ammesso che non rischi di essere travolto lui stesso. Il problema non è lui ma una mentalità da cui tutto il milieu politico è ormai irresistibilmente pervaso: quello di farsi re approfittando della crisi e dell’appoggio sostanziale dell’Europa alle trasformazioni in senso oligarchico. Del resto è una trasformazione abbastanza facile quando  almeno la metà dei cittadini è disposto ad accettare la qualità di suddito in cambio di una qualche promessa di salvezza. Che ovviamente non ci sarà, anzi proprio lo spirito di sudditanza non farà che accelerare la caduta.


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