Il privato e il politico ai tempi di Ruby
Diamo per buono questo quadro minimalista: Berlusconi non ha concusso nessun funzionario di polizia per l’affidamento di Ruby a Nicole Minetti, ha solo fatto una telefonata per informarsi della sorte di quella ragazza che gli aveva raccontato una storia familiare terribile; Berlusconi non ha toccato neanche con un dito Ruby e le ha dato 7mila euro per puro buon cuore; Berlusconi dopo le fatiche del governo vuole passare delle serate spensierate e organizza castissime feste a casa sua con pochi amici (maschi in età avanzata) e molte amiche (femmine e giovanissime, ma non minorenni almeno per quel che ne sa lui) in cui la cosa più trasgressiva è Carlo Rossella che beve Vodka e Berlusconi che canta le canzoni di Apicella.
È il quadro dipinto dalla memoria difensiva depositata dagli avvocati del premier, diamola per buona. Anche messa in questi termini che nessuno (neanche la Santanché) può contestare, vogliamo continuare a ripetere la manfrina che si tratta di vicende private che non hanno rilevanza politica?
Ancora stamane ci è toccato di leggere sulle colonne della Stampa la litania sui «guai extra-politici» di Berlusconi strumentalizzati (magari!) dall’opposizione incapace di batterlo «politicamente». A sostenere l’insostenibile è Luca Ricolfi, che, con l’intenzione di dare una lezione al Pd, prosegue: «l’elettorato è molto più avanti, molto più laico e maturo, del ceto politico» e questo perché, sintetizziamo noi, i sondaggi dimostrano che l’elettorato non traduce in consenso politico il disprezzo «morale» per gli «scandali sessuali» del premier. Insomma, per Ricolfi la «politicizzazione delle vicende private del premier» sarebbe un’arma a doppio taglio per la sinistra.
Al di là delle questioni di strategia, quel che esce fuori da questo approccio è una strana concezione della politica, della morale, del «privato» e del «pubblico». Caro Ricolfi, qui non si tratta affatto di vicende «private»: non è in discussione, per dire, il colore dei calzini di Silvio Berlusconi (che taluni invece trovano rilevantissimo quando si tratti di un magistrato), o i suoi gusti musicali né tantomeno quelli sessuali. Qui sono in questione rapporti di potere. E questi hanno una eminentissima rilevanza politica. Qui è in questione la considerazione delle donne, altra rilevantissima questione politica. Quando un vecchio miliardario che si trova anche ad essere capo del governo a) ritiene che fare del bene a una povera ragazza marocchina significhi darle 7mila euro in contanti e b) sfrutta il desiderio di scalata sociale di una ventina di ragazze che farebbero carte false per entrare nel «mondo dello spettacolo» per allietare le proprie serate, la questione non può non avere peso politico. A me, cittadina italiana, interessa moltissimo sapere che concezione della donna e delle relazioni interpersonali ha il mio capo di governo. E, quando questa concezione stride non con la (mia) morale ma con il patto civile fondamentale su cui si basa la nostra convivenza (e che è formalizzato in quella Costituzione di cui in troppi vorrebbero ormai fare carta straccia) la mobilitazione politica e civile diventa un dovere.
PS: Ricolfi nello stesso articolo insiste anche su un altro filone molto in voga, quello dell’ «eccesso giudiziario», invocato persino da Bagnasco. Sintetizzo: ok, i magistrati facciano il loro dovere ma pacatamente, senza «superare una certa soglia» e senza portare avanti azioni giudiziarie «fuori misura». Francamente non si capisce bene quale sia (e soprattutto chi la stabilisca) questa «soglia» e questa «misura». Quello che appare invece decisamente fuori misura sono le minacce dell’indagato Silvio Berlusconi ai pm che lo indagano. Fuori misura, ed eversive.
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