Il privilegio di vivere nascosti
Creato il 25 maggio 2015 da Astorbresciani
Lathe biosas, suggeriva il filosofo Epicuro. Vale a dire “vivi nascosto”, un invito che pur prestandosi a diverse interpretazioni, possiede, a mio avviso, un significato inequivocabile e attuale. Epicuro non invitava a nascondersi dalla legge o a rinnegare i propri doveri; piuttosto, indicava nel rifiuto della vita politica, degli impegni sociali e degli affanni umani la chiave per trovare se non la felicità quanto meno la serenità. Il suo insegnamento è stato ripreso da molti. Nel Vangelo, ad esempio, Gesù ci dice di non appartenere al mondo, di rinunciare ad esso. Intendeva, ovviamente, che non bisogna farsi ammaliare dai suoi richiami e inganni, occorre evitare di rimanere intrappolati nei meccanismi che stritolano la coscienza. Anche il buddhismo, stigmatizzando la grande illusione mondana, professa il distacco dal mondo, il vairagya. Asceti ed eremiti ci riescono meglio di chiunque altro. Ma loro, si sa, sono i professionisti del lathe biosas. Nella cultura occidentale, questa scelta fu propugnata da Maestro Eckart, il mistico ed eretico che parlava con Dio. In ogni epoca, per altro, ci sono stati uomini e donne che hanno sentito il bisogno di ritirarsi e vivere nascosti. Alcuni costretti a ciò, ma molti per scelta. Oggi, ad esempio, è diffuso in Giappone il fenomeno noto come Hikikimori, letteralmente “stare in disparte”. La gente sceglie di isolarsi, rifiutando il mondo. La tendenza si è diffusa a partire dagli anni Ottanta e al momento vivono in Giappone più di un milione di hikikimori. (1% ca. della popolazione). In Italia, invece, pare che un individuo su 250 sia soggetto a comportamenti che favoriscono il rischio dell’esclusione sociale. Il ritiro sociale non affascina forzatamente solo i disadattati, gli alienati, i nevrotici, le persone incapaci di relazionarsi con gli altri o reduci da esperienze che inducono a respingere il mondo. Al contrario, spesso è la scelta coraggiosa di chi, pur godendo di fama e risorse economiche, decide di spegnere le luci dei riflettori. Basti pensare ai casi come quello dell’attrice Greta Garbo e più recentemente dei cantanti Mina e Lucio Battisti. Si sparisce, ci si toglie dai piedi, ci si concede il lusso di vivere nascosti, seguendo la lezione di Epicuro. Come fece il poeta Leopardi, la cui “vita solitaria” fu però condizionata dalla sua estrema sensibilità, o dopo di lui Kafka, che amava profondamente la solitudine e aveva attitudini ascetiche. La caratteristica dei nostri tempi, segnati dalla solitudine che si taglia a fette anche in mezzo a una piazza gremita di folla, è proprio l’aspirazione a vivere nascosti. Ma come? – dirà il lettore, convinto di vivere in una società dove il bisogno primario è apparire, farsi notare e conoscere, transumare nella mandria. In verità, per quanto la gente si affanni per imporre il proprio ego e il mondo sia una sagra dove ogni cosa è esposta e svelata, e sebbene si viva in rete, attraverso i social network, più che concedersi una vita reale, molti accusano la stanchezza da sovraesposizione, la necessità di tirarsi fuori, la voglia di ribellarsi alle logiche perverse di un sistema che ha disintegrato l’individuo, gli ha sottratto la libertà, lo ha mutilato sul piano culturale, affettivo e sociale. Molti sognano di congedarsi da Cafarnao e vivere nascosti perché non ce la fanno più a sostenere ritmi e scadenze, imperativi e compromessi, frenesie e follie di una società disumanizzata. Intendiamoci, non è indispensabile fuggire in Papuasia o in Venezuela per affermare il proprio rifiuto del mondo, né tanto più andare a vivere in una grotta o sulla torre eburnea. Basta deliberare la propria desistenza, la propria ribellione, la propria astensione dai modelli di vita che altri ci impongono. Come? Bè, è semplice. Se il mondo non si accorge di noi, peggio ancora ci ostacola, defiliamoci. Rifiutiamoci di celebrarlo, di assecondarlo come fanno i caproni, i servi sciocchi e i decerebrati. Tanto, di noi si accorge nessuno. Siamo invisibili e tanto vale comportarsi come tali. Il segreto, io credo, è trasformare in virtù ciò che di primo acchito può sembrare un limite, una resa, un’autopunizione. Vivere nascosti, osservando con l’occhio del saggio il mondo che si affanna e dilania, riconoscendo la vanitas vanitatum ed esiliandola dalla propria sfera, è un autentico privilegio. Un privilegio di cui, personalmente, sto apprezzando i frutti. Da qualche tempo, dopo una vita in prima fila (a volte, in trincea) ho scelto di non appartenere al mondo e di vivere in disparte, quasi nascosto, godendo di tutto ciò che una vita roboante mi impedirebbe di apprezzare fino in fondo. Sono uno scrittore e in quanto tale condivido una condizione comune, direi diffusa. Gli scrittori, e più in generale gli artisti, amano esprimersi e non farsi trascinare nei gorghi del mondo, a meno che siano molto vanitosi e abbiano il bisogno sfrenato di essere ammirati, avere successo e sfoggiare le piume. Henry Miller, un grande scrittore, in Nexus afferma che “per nascere aquila bisogna abituarsi alle altitudini, per nascere scrittore bisogna imparare ad amare la rinuncia, le sofferenze, le umiliazioni. Soprattutto, bisogna imparare a vivere appartato. Come la talpa, lo scrittore si aggrappa al suo limbo, mentre sopra di lui la vita in rigoglio continua, persistente, tumultuosa.” In realtà, credo che oggi il desiderio di farsi talpa sia diffuso in ogni ceto sociale e categoria professionale. Volare alti come un’aquila in una società dominata dagli avvoltoi, è un’impresa disperata. La mediocrità imperante, l’invidia, l’apatia, il clientelismo, la corruzione, la morte della meritocrazia, l’imbecillità umana hanno trasformato il nostro Paese in uno zoo dove starnazzano e banchettano uccelli goffi, disgustosi, coprofagi. Non c’è campo o settore umano in cui non si assista al trionfo degli “uccelli” di Aristofane. Ci troviamo, infatti, in una nuova Nubicuculia, un regno dove i volatili sono gli esecutori del potere divino sugli uomini. Non viviamo forse in un mondo in cui pochi esseri umani che si fingono alati dettano legge, credendosi onnipotenti e agendo come intermediari tra il cielo e la terra? Tutti i giorni assistiamo alle loro parate trionfali sui giornali e in televisione. Tutti i giorni scuotiamo la testa alla vista di una pletora di pavoni tronfi e corvi famelici che come gli “uccelli” del film di Hitchcock ci disgustano e tolgono il respiro, ci minacciano e attaccano per toglierci quel poco che ci rimane. Soprattutto la serenità. E allora, non ci resta che aderire al lathe biosas. Rinunciare a ogni aspirazione umana, a ogni pretesa di riconoscimento e gratificazione, può rivelarsi, alla fin della fiera, la soluzione migliore per stare bene. Credetemi, vivere nascosti come una talpa, lontani dai clamori e dagli impegni faticosi e sovente sterili, è una franchigia, un’immunità, un’opportunità per riscoprire i veri valori e la bellezza della vita.
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