Ho letto molti racconti di Raymond Carver; all'inizio mi piacevano ma non non capivo bene la ragione, poi invece ho capito: i suoi racconti sono semplicemente perfetti. Non necessariamente i più belli in assoluto, o anche solamente belli, solo erano come avrebbero dovuto essere: mai una sbavatura, mai un pensiero di troppo, mai una frase fuori posto.
Oggi lo considero un grande maestro e studio avidamente i suoi consigli, provenienti soprattutto dai suoi seminari di scrittura creativa e dalle molte interviste rilasciate nel corso della sua carriera. Con questo post intendo inaugurare una serie di approfondimenti dei suoi pensieri sul mondo della scrittura, iniziando proprio dal modo in cui Carver procedeva per i suoi lavori, dal suo processo creativo:
Mettere nero su bianco
Scrivo la prima stesura, la brutta copia, a mano. La prima versione di un racconto o di una poesia la scrivo molto in fretta: la tiro fuori e la butto sulla pagina. Come diceva Guy de Maupassant, si tratta di "mettere nero su bianco", buttare giù qualcosa. Dopodiché, tutto è soggetto a cambiamenti, tranne la prima frase: la prima frase di un racconto o il primo verso di una poesia restano quelli. Può darsi che cambino, ma molto, molto raramente. Tutto il resto, invece, è soggetto a cambiamenti. Se riesco a buttare giù la pura e semplice ossatura del racconto, allora sento che prima o poi andrà tutto a posto. Mi piace fare revisioni, riscrivere. Ma mi serve qualcosa da cui partire, ovviamente. Per questo credo di avere sempre un po' di paura che, se non riesco a buttare giù l'idea in quattro e quattr'otto, andrà persa. Questa paura risale ai tempi in cui mi toccava scrivere a rotta di collo, in circostanze assurde. Oggi non è più così, ovviamente, ma tendo ancora a lavorare in questo modo: butto giù qualcosa molto in fretta e poi lo ribatto a macchina. E una volta che ho un dattiloscritto, posso cominciare a lavorarci sopra. A lavorarci sopra sul serio, intendo.
Infine, non avendo il superpotere del Perfect Incipit: se l'inizio non mi piace, lo cambio senza pietà.
Progettare un racconto
Quando mi metto a scrivere un racconto, non ho nessun tipo di programma. Nel racconto entra un elemento drammatico, ed ecco che le conseguenze e le scelte si presentano da sole.
Non seguo nessun tipo di schema o di progetto. Non ho obiettivi e non ho piani prestabiliti: scrivo storie, tutto qui.
Cosa diversa per i romanzi: magari il singolo capitolo lo si scrive in questo modo, partendo quasi dal nulla, ma senza le idee chiare su come dovrà procedere la storia, semplicemente, non si va da nessuna parte. Non voglio dire che ho scritto Pelicula seguendo uno schema fisso, però avevo chiaro sin da subito come sarebbe dovuta essere la storia, lo schema è qualcosa che cresce con il romanzo, deve essere dinamico e più cambia meglio è: vuol dire che abbiamo avuto idee migliori delle iniziali!
La magia della scrittura
Le scelte non le faccio io, credo che mi vengano imposte automaticamente dalla natura del mio materiale e dal mio approccio al materiale stesso. Insomma, io mi equipaggio di tutto punto e parto. Mi piace fare così.
Simboli
Quando scrivo, non mi pongo il problema di sviluppare dei simboli o di quale funzione avrà una certa immagine. Quando becco un'immagine che mi pare funzioni e rappresenti bene quello che deve rappresentare (poi magari può rappresentare anche tante altre cose), benissimo. Ma non mi ci arrovello sopra. Mi sembra che le immagini si sviluppino o si presentino in tutta naturalezza.
Una risposta me l'ero già data (negativa) e visto che Carver suggerisce che l'importante è che l'immagine funzioni e sia rappresentativa, la mia risposta ne guadagna in autorevolezza.
Prosa barocca
Io mi annoio facilmente, e mi annoio a leggere una prosa che sia troppo contorta o barocca: non ho tanta pazienza, per quel genere di storie. Perciò, nella mia scrittura, credo di aver sempre avuto fretta di andare avanti col racconto, tralasciando i momenti superflui. Mi interessava creare racconti che avessero un funzionamento invisibile. Che funzionassero senza bisogno di intrusioni da parte dell'autore. L'autore doveva semplicemente mettere in moto le cose e lasciare che la storia prendesse vita spontaneamente, badasse da sola ai fatti suoi.
Lavorare sodo
Credo che uno scrittore dovrebbe sempre dare tutto se stesso, qualunque cosa stia scrivendo, che sia un racconto o una poesia, perché bisogna sentirsi come se la sorgente non dovesse mai prosciugarsi: bisogna sempre sentire che si hanno altre frecce al proprio arco. Se uno scrittore comincia a trattenersi, per qualunque ragione, questo può essere uno dei mali peggiori. Io mi sono sempre speso fino in fondo.
Spendersi fino in fondo significa anche riuscire sempre a scrivere qualcosa che si vorrebbe leggere.
La sensazione del processo creativo
Sì, penso che scrivere abbia a che fare con una fusione di forma e contenuto. Penso che si tratti di questo, ma anche di una fusione più generale fra tutte le cose. Mi stai chiedendo di descrivere la sensazione che dà il processo creativo, e non sono sicuro di essere in grado di descriverla. Posso solo dire che è una sensazione estetica, intellettuale ed emotiva di coesione, che "tutto tiene". Sono sicuro che anche i musicisti si sentono così, mentre suonano. E certamente lo stesso vale per gli scrittori, ma non sempre. Vorrei averla sempre, quella sensazione, ma ogni volta dura solo quel tanto che basta per lasciarmi la voglia di provarla di nuovo.
Per quanto riguarda la scrittura intesa come fusione fra forma e contenuto non posso che essere assolutamente d'accordo: certa narrativa di genere che punta tutto sulla storia ma ha una prosa sciapa ha più il sapore della catena di montaggio che dell'arte, o dell'artigianato.
Distacco e indifferenza
Credo che uno debba avere per forza un certo distacco, se davvero vuole fare lo scrittore. Una volta, in una lettera Čechov ha scritto qualcosa che mi sembra pertinente al riguardo: "L'animo dello scrittore dev'essere in pace, altrimenti egli non può essere imparziale". In un'altra occasione Čechov consigliò a uno scrittore di non cominciare a scrivere finché non si sentisse "freddo come il ghiaccio". Ecco, questo è il distacco.
Quando si scrive narrativa o poesia - o quando si dipinge, si suona o si compone musica - in sostanza succede questo: si è totalmente indifferenti a qualunque cosa, tranne quello che si sta facendo. Alla tela su cu isi sta lavorando, insomma. Ossia, riportando il concetto al mondo della scrittura, totale indifferenza a qualunque cosa tranne che al pezzo di carta infilato nella macchina da scrivere. Capacità di darci dentro come una locomotiva e volontà ferrea, lo sa Dio, è esattamente questo che ci vuole. [...] Sono convinto che siano tutte cose necessarie. Anche se la tua automobile ha assolutamente bisogno di una riparazione importante però, come si dice, hai la Musa al tuo fianco, non devi far altro che sederti alla macchina da scrivere e restartene lì e in qualche modo spegnere tutto il resto del mondo, dimenticarti di qualunque altra cosa.
In questi giorni sto leggendo un libro su tablet, non credo ripeterò l'esperimento tanto presto: tra notifiche di messaggi, avvisi di batteria scarica e programmi bloccati che richiedono un intervento le interruzioni sono asfissianti. Se questo capitasse durante la scrittura dubito che riuscirei a scrivere frasi di senso compiuto!
Immagino, ricordo, combino
Io immagino, ricordo, combino... come fa ogni bravo scrittore.
Questa è la sintesi perfetta per chiudere l'approfondimento sul processo creativo nella scrittura. Se qualcuno fosse interessato all'argomento possiamo discuterne nei commenti, sia che vi ritroviate con le parole di Carver, sia che non siate assolutamente d'accordo... in ogni caso: perché?