Il procuratore della Giudea di Anatole France

Creato il 02 gennaio 2011 da Spaceoddity
Secondo incontro con Anatole France: stavolta brevissimo, ché si tratta di un racconto isolato, che per Leonardo Sciascia (traduttore e commentatore d'eccezione), ha il sapore dell'edizione numerata, del libriccino raro e prezioso, che pertanto Sellerio ripropone a sé.
Il procuratore della Giudea ci presenta un Ponzio Pilato che racconta la sua storia di estraneità al mondo ebraico all'amico Elio Lamia. Il protagonista del racconto sembra essere, appunto, quest'ultimo, ma credo che l'intenzione di Anatole France fosse quella di far specchiare due personalità antitetiche: rilassato, colmo di un intimo sorriso e dedito ai piaceri Lamia quanto ossuto e intransigente Ponzio Pilato.
Il racconto di Anatole France, che Sciascia (nella sua postfazione) giudica uno dei più perfetti che il genere annoveri, è del 1902 e manifesta nel procuratore romano in Giudea un antisemitismo comprensibile per la cultura imperiale romana, ma delicatissimo per il momento in cui l'opera del francese viene pubblicata. Di appena quattro anni prima, infatti, è il sanguigno pamphlet che Zola dedicò al cosiddetto affaire Dreyfus, in cui si difendeva un ebreo dalla condanna di tradimento che gli era stata inflitta, in sostanza, per il suo stesso essere un ebreo.
Ma se il J'accuse era costato carissimo a Zola, riaprendo un caso chiuso frettolosamente in piena belle époque, il caso era nel vivo della sua rivisitazione nel momento in cui comparve questo brevissimo e sia pur sotterraneo capolavoro di Anatole France. Il racconto, è bene ribadirlo nuovamente, ha al centro un uomo che non sa, non capisce e non ricorda, ma che intende rimanere estraneo e, semmai, prendere ancora le distanze da questo mondo non-romano. Tutto il contrario di quel Ponzio Pilato tormentato e suggestivo che, tra gli anni '20 e gli anni '30 sarà anima di un cammeo indimenticabile ne Il maestro e Margherita di Bulgakov, in cerca di una spiegazione per ciò che accadde.
Il rapporto tra Pilato e Lamia si basa su una contrapposizione che Sciascia spiega in termini d'amore: Lamia ricorda Gesù perché ricorda una donna che amava, si direbbe la Maddalena, e che a un tratto prese a seguire il Nazareno. A me questa spiegazione dell'amore che porta necessariamente a Cristo convince poco: se per grazia l'uomo fu in grado di arrivare a Dio attraverso una relazione clandestina e senz'altro poco santa, la donna avrebbe potuto seguire con eguale probabilità una delle numerose sette e religioni che facevano del sesso un contraltare alle tradizioni gnostiche, ostili all'amore carnale.
A me pare, invece, che Lamia e Pilato rappresentino due facce dell'inadeguatezza alla comprensione di ciò che ci offre il mondo in cui vivamo, ivi compreso il fatto religioso (in quanto dato antropologico, non di fede). Né sull'uno né sull'altro l'allontanamento della donna provoca una reale metamorfosi: per Pilato, era una donna come le altre amate o solo possedute dal licenzioso amico; per Lamia, una donna speciale che segue un rabbì come un altro. Semmai, Il procuratore della Giudea mi pare frutto di quel deismo - tutto francese, per ciò che concerne la tradizione occidentale moderna - che non nega Dio, ma il suo peso e la sua vicinanza nella vita degli esseri umani. Forse, la seconda guerra mondiale e i vari olocausti ne sono l'esito estremo.
(Ringrazio il collega T.L. per avermi segnalato questo racconto!)

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