Nella serata areniana Sting ha dato tutto quello che poteva dare. Dal meglio della sua produzione con i “poliziotti” al (quasi) meglio della sua produzione “post” rottura con Andy Summers e Stewart Copeland. In realtà ci sarebbero stati altri due o tre brani che da fan non dell’ultima ora avrei preferito ascoltare (penso alla struggente “Mad about you”, alla politica “Russians” e alla mefistofelica “Moon over Bourbon Street”), ma non è il caso di storcere troppo il naso. Matthew Gordon Sumner è stato come al solito quell’artista raffinato in grado di ammaliare con la sua voce, i suoi movimenti, la sicura direzione della band (con il fedelissimi David Sancious alle tastiere, il possente Vinnie Colaiuta alla batteria, il “braccio e destro e anche quello sinistro” Dominic Miller, oltre all’ottimo Peter Tinkle al violino e alla bella e brava Jo Lawry ai cori), il suo italiano volutamente “spiccicato” e tutte quegli ammiccamenti verso il pubblico in grado di creare, nelle oltre due ore di concerto, un’atmosfera unica, indubbiamente resa ancora più bella dall’ambiente areniano. Che, nel tempo, è diventata un po’ la seconda o terza (o ventesima, chissà) casa di Sting. Dal 1988 (anno del suo debutto nell’anfiteatro romano) ad oggi sono stati ben sei le esibizioni del cantante e bassista di Newcastle nella nostra città. Forse nemmeno Roma e Milano possono vantare altrettanto. Merito di un palcoscenico davvero unico.
Il concerto è iniziato sulle note “ovali” di “If I ever lose my faith in you”, brano a sua volta di apertura del fortunato “Ten Summoner’s Tales” del 1993 ed è proseguito poi con la policiana “Every Little Thing She Does is Magic” (tratta da “Ghots in the Machine”) che ha fin da subito cominciato a scaldare i cuori dei tredicimila dell’Arena. Il pubblico si è immediatamente lasciato andare e il climax d’entusiasmo è proseguito con i classici “Englishman in New York” (da “Nothing like the sun”) e “All This Time” (“The soul cages”). Una piccola sorpresa con la oggettivamente non eccelsa “Demolition Man” (dal repertorio dei Police) per poi proseguire con la splendida (e troppo spesso sottovalutata) “Seven days” subito seguita da “I Hung My Head” da “Mercury Falling”, entrambe metricamente complesse e in grado di esaltare le immense doti di Colaiuta. Poi ecco un’altra hit dal repertorio solista di Sting, quella “Fields of Gold” da “Ten Summoner’s Tales” che ha fatto scattare quello che un tempo sarebbe stato il momento “candeline” e che oggi viene più prosaicamente sostituito da quello “luci dei cellulari”. Un’altra chicca è stata senz’altro “Driven to Tears” (altra canzone tratta dal repertorio dei Police), mentre “Heavy Cloud No Rain” da “Brand new day” ha permesso a Sting di dialogare con il pubblico.. Eppoi via via verso il gran finale con l’energica e immancabile “Message in a Bottle” (da Regatta le blanc”…una delle migliori versioni che mi sia mai capitato di ascoltare), “Shape of My Heart”, “The Hounds of Winter” (malinconica canzone d’apertura di Mercury Falling”) e la struggente “Wrapped Around Your Finger” (da Ghost in the machine”, forse il momento più bello dell’intera serata) per finire con “De Do Do Do, De Da Da Da” (dal per il resto non troppo fortunato “Zenyatta Mondatta”) in cui improvvisa con Sancious un’interessante jam session jazz che risulta particolarmente divertente e la mitica “Roxanne” dall’album d’esordio del 1978 “Outlando’s d’Amour” con cui ipoteticamente chiude il concerto.
La mancanza di un album da promuovere (ma “The last ship” uscirà a settembre 2013…e chissà che dopo Sting non parta per l’ennesima tourneèè) ha permesso una scelta più che ricercata dei brani di una carriera che si avvicina ai quarant’anni di longevità e che consente di inserire senza tema di smentita l’ex insegnante di letteratura fra gli Dei dell’Olimpo musicale del XX e del XXI secolo. L’abbondante presenza di canzoni del periodo “Police” e quella di alcuni dei brani più belli della produzione da solista non ha comunque impedito all’artista di presentare brani tecnicamente molto complessi (come “Heavy cloud no rain” o “I hunged my head”) e allo stesso tempo meno conosciuti dal pubblico, il quale però ha dimostrato di apprezzare tutta la scaletta del concerto che si è sviluppata fra le 21 e le 23.30 di un lunedì di luglio davvero emozionante. Per chi, però, è abituato ad ascoltarlo, non è passata in osservato una certa “meccanicità” nell’esecuzione dei brani. Forse un cambio di scaletta ogni tanto farebbe bene all’ex Police il quale, soprattutto nei bis, si è ormai “cristalizzato” con “Desert Rose”, “Every breath you take” e “Fragile”…forse è arrivato il momento di cambiare. Detto questo, rimane l’incanto di una serata musicalmente eccelsa a contatto con una star che negli anni non ha perso verve e qualità vocale. Anzi, per certi aspetti pare pure migliorare, nonostante i quasi 61 anni di età. È il terzo anno consecutivo che Sting si presenta in questo mese in Italia. A questo punto i fan del Belpaese sono legittimati a sperare in un suo ritorno per luglio 2014.
Ernesto Kieffer
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