La surreale partita di Napoli, con un'Italia portata a un passo dalla sconfitta da una Nazionale europea di terza fascia e infine privata (a meno di un'impresa della Giordania contro l'Uruguay) di un posto da testa di serie in Brasile, ha rappresentato la conclusione più logica del nostro sconcertante girone di qualificazione mondiale. Sì, logica, malgrado tutto, perché questo anno e mezzo post Euro 2012 ci ha consegnato un'Azzurra nuova, radicalmente diversa da quella del primo biennio prandelliano. E i cambiamenti, diciamolo subito, non sono stati affatto in senso positivo. METAMORFOSI - Chi segue Note d'azzurro sa a cosa mi riferisco, rischio di diventar ripetitivo ma del resto sono le prestazioni recenti della nostra rappresentativa a non potermi far deviare dalla linea critica intrapresa. L'Italia sbocciata dopo Sudafrica 2010 non c'è più, è stata misteriosamente ingoiata da questo lungo turno eliminatorio iridato: smarrito lo spirito sbarazzino e intraprendente, la gioia giovanile, quasi fanciullesca, di creare gioco e di imporlo, di opporsi senza paure anche agli avversari più quotati (e tecnicamente superiori); smarriti anche gli equilibri e la discreta solidità di una compagine che, ricordiamolo, nell'ultimo torneo continentale aveva subito tre soli gol in cinque gare, prima del tracollo in finale con l'Invincibile armata spagnola. Quell'Italietta tutta cuore e tutta pepe ha lasciato posto a un ibrido tatticamente indefinibile, poco incline alle pregevolezze della manovra e molto alla sofferenza, e capace di imbarcare reti e andare in sofferenza anche contro squadre di livello medio - basso (ieri l'Armenia, ma qualcuno ricorda gli imbarazzi contro Malta e Haiti?). L'IMPORTANZA DI ESSER TESTA DI SERIE - Poco male se la perdita di brillantezza fosse stata compensata dal pragmatismo, ma così non è stato: perché non è certo pragmatismo, tanto per dire, fare un gol alla Bulgaria e poi chiudersi a riccio a respingere con estremo affanno i disperati assalti avversari, e men che meno lo è andare in vantaggio (meritatamente) a Copenaghen per poi beccare due gol dallo spilungone Bendtner, reduce dal fiasco juventino. Per tacere di quanto accaduto al San Paolo ieri sera: perché è vero che di fronte c'era un team che, negli ultimi mesi, ha indossato le insolite vesti di ammazza grandi soprattutto in trasferta, ma i nostri avevano dalla loro, oltre a una superiore caratura complessiva, lo stimolo rappresentato dal mantenimento dello status di testa di serie. Non è cosa da poco il poter iniziare un Mondiale in posizione privilegiata: andatevi a leggere l'albo d'oro dal '74 in poi, e vedete un po' quante squadre hanno vinto la Coppa FIFA non partendo come teste di serie. Se avete fretta, la risposta ve la diamo noi: una sola, l'Argentina nel 1986. Chiaro, le statistiche non sono tutto, ma qualcosa contano, soprattutto quando danno indicazioni così nette... La leggerezza con cui gli italiani hanno affrontato l'impegno partenopeo è inaccettabile: prendere sotto gamba partite ufficiali non dovrebbe più accadere, nel 2013, invece l'Italia persevera ostinatamente. Siamo tornati ai livelli dell'ultima Confederations Cup, con errori marchiani e decisivi nel tocco e nei passaggi, errori non certo frutto di pochezza tecnica ma di scarsa concentrazione. Mesi di discorsi e di lavoro sul campo per poi trovarsi al punto di partenza, con il tempo che stringe, perché d'ora in poi ci sarà solo qualche amichevole per limare i difetti: e se limiti così banali non li si è ancora riusciti a cancellare, il timore che si tratti di lacune strutturali deve cominciare a farsi largo, con tutte le inquietudini del caso.
POCHE GARANZIE - Ripetiamo: bene la qualificazione anticipata, ma da questo girone ci si attendeva un'ulteriore crescita della Nazionale, su diversi versanti: qualità di gioco, capacità di abbinarla a una maggiore concretezza, maturità nell'atteggiamento, versatilità tattica e allargamento della rosa dei possibili titolari. Sarò forse troppo pessimista, ma mi pare che buona parte di questi obiettivi siano stati mancati. L'Italia di oggi dà assai meno garanzie di quella uscita dall'Europeo, nonostante la batosta che rimediò nell'atto conclusivo (figlia di fattori contingenti ben più dell'inferiorità nei confronti della Spagna). La "mentalità internazionale" non c'è ancora, se il modo di approcciare certe gare è quello "ammirato" ieri sera; a livello tattico non è ancora stato trovato un adeguato bandolo della matassa, soprattutto nella gestione della fase difensiva. Quanto all'incremento degli "azzurrabili", il discorso è più articolato: mi è parso di ravvisare un raffreddamento di Prandelli nei confronti della linea verde. Nelle ultime settimane, non si è trovato di meglio che ripescare Thiago Motta per il centrocampo e, nientemeno, De Silvestri per la difesa (un non senso tecnico, quest'ultimo: perché non dare un occhio all'ex Under Donati che tanto bene sta facendo in Bundesliga, per tacere del fatto che su quel versante hai comunque un Abate che contro l'Armenia è stato fra i più vivi e inesausti nel sostenere l'azione offensiva?), salvo scoprire, sul terreno del San Paolo, che questa selezione già non può più prescindere dalla verve, dalla voglia di emergere, dal dinamismo e dalla classe di Florenzi e di Insigne (il napoletano deve solo acquisire un po' più di cattiveria in fase conclusiva). Se ai giovani di valore si dà spazio, insomma, basta un po' di pazienza e quelli alla fine rispondono. E allora, perché questo improvviso ostracismo? Avevo già scritto che questa squadra necessita di una rinfrescata, perché certe presunte certezze acquisite negli anni precedenti rischiano di sgretolarsi con l'approssimarsi dell'appuntamento iridato. SENZA BALO NON SI PUO' - Sul fronte dei "veterani", gli unici lampi napoletani sono arrivati da un Pirlo di nuovo "sul pezzo", concentrato, preciso nella tessitura e nel lancio, addirittura agonisticamente "cattivo" in certe circostanze. Balotelli merita, come sempre, un discorso a parte: a livello azzurro, il bilancio "cose buone - cose negative" parla ancora, nettamente, a suo favore. Ieri gli son bastati venti minuti o giù di lì per impossessarsi della partita e andare a quasi a vincerla da solo, con un gol che ne ha evidenziato agilità, scatto e tempismo da bomber, seguito da una sorta di "coast to coast" in mezzo a nugoli di avversari chiuso con un tiro di poco a lato, e poi altri tentativi sfumati di poco. Sarà anche una "testolina" (lo era anche Maradona, e il paragone, si badi, riguarda solo questo aspetto) ma senza di lui, ormai è chiaro, l'Italia perde un buon 60 - 70 per cento di potenziale offensivo. Ora più che mai, è al milanista che ci si deve aggrappare per sperare in un Mondiale decente, a maggior ragione se partiremo, come sembra, senza il vantaggio dell'essere testa di serie.