Ivana Gini, di Verona, scrive di sé: “Nella mia prima vita, ho cercato di insegnare italiano e storia a orde di saggi adolescenti. Con i quali, invece, sarebbe stato più interessante parlare della vita e dei suoi misteri. Avrei imparato molto di più. Nella seconda vita , sono stata acquarellista e creatrice di tessuti. Nella terza ,spero di scrivere. Comunque, l’importante è divertirsi”.
Per “Wine on the road”, quinto concorso letterario di Villa Petriolo, ha scritto il racconto “Al vin che ride”.
Racconto “Al Vin che Ride” di Ivana Gini
Anno Domini 1462
Come una folgore,l’ordine di Cosimo il Vecchio si è abbattuto su di me e non mi ha lasciato scampo: partire per la Macedonia alla ricerca di un mercante ,di antiche pergamene e di un miracoloso elixir.
Il tempo di nascondere sotto il mantello l’oro di Cosimo destinato al mercante,e sono già qui, sulla via Appia, perduto tra la fiumana di pellegrini diretti in Terrasanta - lontano,così lontano dal mio amato convento.
Nella babele assordante di grida richiami e idiomi sconosciuti, asini e capre inciampano di continuo il cammino, e l’agitazione è tale, che di continuo piango la pace perduta ,e non mi consolo. Non posso neppure levare lo sguardo al cielo,che il sole vi dardeggia con mille lame di fuoco , e tanto mi ferisce, che i miei occhi,avvezzi alla quieta luce dello scriptorium, non reggeranno a lungo tale incandescente supplizio.
Mi affiancano compagni sempre nuovi: alcuni filano lesti ,quasi il fuoco bruciasse loro le calcagna, altri si lasciano sorpassare persino da me.
Oggi,mi trovo di fianco una donna. Bella. Sapevo che dalle femmine promana fluido d’inferno, ma questa, Dio Onnipotente, mi brucia come fuoco. Prima di cadere preda della concupiscenza ,affretto il passo e accosto un gioviale,irsuto alemanno, che mi agguanta per il mantello e allegramente mi trascina verso la prima cantina lungo la strada.
Non dovrei indulgere ai piaceri della gola, ma il mio nuovo amico è così insistente e l’arsura tanto forte, che mi lascio convincere.
Ancora ne ringrazio Dio . Cantina dopo cantina, boccale dopo boccale,la memoria del monastero lentamente svanisce, mentre il mio corpo si fortifica, e così lo spirito, che non conosce paura neppure la notte, quando i lupi dell’Appennino si aggirano intorno all’hospitale, in cerca di preda.
All’ora meridiana, l’ombra scompare sotto i nostri passi e il mondo si ferma, assorto. Sotto il dolce stormire delle fronde, il caro alemanno mi offre dalla sua fiaschetta un vino così fresco e profumato, che scivola in gola da sé. Intorno,le voci sommesse dei compagni s’intrecciano come in un canto, e tanto m’inebrio che mi sento come il profeta Elia, quando venne rapito nell’alto dei cieli. Ma poi, l’irsuto amico s’addormenta. Il suo fiato possente, insieme ai guaiti che lo agitano durante il sonno,mi riscuotono da quella contemplazione, preparandomi a riprendere il cammino sulla terra dei viventi.
Lungo la strada, si è unita a noi una vecchia sbilenca .Ha gli occhi di una strega in fuga dal rogo. Come certi animali a lungo maltrattati,accorda il suo passo al nostro e più non si allontana. Sembra mansueta,ma a tratti il suo sguardo malizioso si appunta sulla borsa sotto il mio mantello :
“A giudicare dalla pancia ,frate,il tuo convento non conosce digiuni! “, esclama con voce sguaiata.
Un tremito mi scuote. Se i miei compagni si accorgono dell’oro sono finito. Nulla, neppure la fratellanza di viaggio resisterebbe alle seduzioni di Satana.E così, per giustificare quel prominente gonfiore, ingollo a sazietà i dolci vini delle terre che attraversiamo, certo più soavi del prodigioso elixir che Cosimo aspetta.
Borbotto, tra me e me, che meglio sarebbe per lui prepararsi ad una buona morte, che ingurgitare chissà quale intruglio alla ricerca della virilità perduta ,ma poi sorrido: l’uomo è debole,pensa solo al suo piacere. Anch’io, pur temendo le fiamme dell’Inferno, di continuo mi guardo alle spalle, dove la donna che volevo fuggire mi segue passo passo,e dolcemente sorride.
Al porto di Brundisium, però essa scompare alla vista,sommersa dalla calca che preme.La cerco con gli occhi,ma due sono le galee che ci aspettano alla fonda, e i pellegrini corrono verso di esse in un’unica massa indistinta.
Il cielo color della pece promette tempesta. Appena il tempo di un boccale di vino mischiato a ruta contro il mal di mare, e la nostra galea ci inghiotte nel suo ventre buio, così come la balena fece con Giona.
Il viaggio è lungo e travagliato.
La strega,a dispetto del suo patto con il Maligno, più di una volta mi trattiene prima che il mare m’afferri, e così l’alemanno, ma la tempesta non lascia tregua, e verdi marosi di continuo si avventano contro il nostro fragile legno, pronti a divorarci. Attraverso l’urlo del mare, di quando in quando ci raggiunge la lugubre nenia dei forzati,frammista al tonfo dei remi contro le onde .Compiango il destino di quei disgraziati e ringrazio l’Altissimo per il mio, che la fiaschetta dell’alemanno sembra non avere fondo, così come quella della strega, entrambe ricolme di un nettare che ogni volta ci rinfranca.
Quando ,per grazia di Dio, sbarchiamo sani e salvi a Durazzo, è con mestizia che mi separo dalla strega e dall’irsuto, ma ognuno deve seguire la strada che Iddio gli ha assegnato. Rinvigorito dall’aria di terraferma, percorro di buon passo la Terra delle Aquile fino all’aspra Macedonia, là dove mi aspetta il mercante ebreo.
Grazie ai segnali convenuti,ci riconosciamo all’istante. In cambio di pergamene vergate di greco e dell’ampolla di elixir, gli consegno l’oro che gli spetta. Sto per avviarmi al ritorno, ma una domanda mi brucia sulla lingua:
“E’ davvero magico l’elixir di quest’ampolla?”
Il mercante sogghigna tra la barba corvina.
“Non dovrebbe interessarti, cristiano,ma… ebbene sì, pare riaccenda la forza virile perduta .”
“Ne berrei volentieri un sorso”, dico, prima di riuscire a impormi il silenzio.
Il mercante mi guarda fisso.
“Oh, non è per quello che pensi- balbetto - vorrei solo gustarne il sapore.”
“ Il peccato della gola, frate, ti porterà dritto all’ inferno”, ribatte il mercante tra il serio e il faceto.Senza potermi frenare,stappo l’ampolla e trangugio avidamente. Il Cielo mi punisce all’istante per quella veniale ruberia: il preteso elixir è disgustoso come frutta guasta, e neppure un mendicante ne berrebbe.
Il mercante mi batte una mano sulla spalla con aria d’intesa. Il suo sguardo mi resta negli occhi per tutta la strada,su verso l’erta sassosa che conduce al confine,e poi giù alla volta del porto. Ormai, ne son certo,
sotto il mio mantello gorgoglia l’ampolla di un ben tristo e fallace liquore, ma ciò non è affar mio: i grandi sanno quel che fanno,non come noi piccoli, che a fatica ci arrabattiamo per le strade di questo mondo.
Un fato benigno fa sì che incontri di nuovo la mia donna, frammista agli altri pellegrini sulla galea del ritorno. Non appena mi sorride, comincio a dubitare che la castità sia buona cosa: è l’amore che muove il mondo, e negli occhi di una donna innamorata Dio riluce e sfolgora più che altrove. Questo ho imparato l’ultima notte di viaggio, quando essa si è infilata ridendo sotto la mia coperta,portandomi in dono ogni sorta di gioie e delizie ; e tanto rideva, e con tale grazia, che anch’io ho imparato a ridere, e non ho ancora smesso.
Dopo aver recapitato a Firenze le pergamene e l’elixir , ho abbandonato saio e convento, e aperto una cantina ,qui, sulla via Appia. Al Vin che Ride, l’ho chiamata,così come ha voluto la mia donna, perché, insieme al vino,tra queste mura offriamo anche la gioia. Più miracolosa di qualunque elixir,essa allieta pellegrini e viandanti che qui sostano,con loro rimane e ovunque li accompagna,attraverso il vasto, sconfinato mondo.
Appendice
L’anno seguente, nel 1463, Marsilio Ficino diede inizio alla traduzione delle antiche pergamene riportate a Firenze dal monaco Leonardo;la sapienza in esse contenuta si rivelò di grande importanza per l’arte e la cultura rinascimentali, anche se non vi si trova cenno di alcun magico elixir.
Durante recenti scavi ,sono stati portati alla luce i resti di un’antica cantina; sull’insegna ,è ancora possibile leggere ‘Al Vin che Ride’.
Secondo fonti attendibili, un istantaneo buon umore ha contagiato archeologi, operai e comuni passanti.