Il racconto si scrive da solo

Da Marcofre

Il racconto dunque: perché il romanzo è un’altra faccenda, piuttosto complicata. E pure in esso occorre sempre lasciare uno spiraglio affinché l’imprevisto irrompa. Ma se si legge quello che afferma Carver o Flannery O’Connor, si trova una certa comunanza di idee. Programmare quante parole scrivere in una giornata può essere utile, perché impone la disciplina. Tutto il resto “accade”. Capita qualcosa di imprevedibile (a prima vista bazzecole), ed ecco che il protagonista reagisce o agisce.

Qui c’è l’aspetto più pericoloso per l’autore esordiente: perché spesso costui scrive quello che egli farebbe. Spiacente, ma non importa un fico secco a nessuno, sul serio. A meno che non si tratti di un’autobiografia; in caso di un racconto la reazione del protagonista deve essere la sua, non quella di chi scrive. Quello che io noto quando scrivo i miei poveri racconti, è che devo badare a che il protagonista non prenda freddo. Una storia è un ambiente dove imperversano degli spifferi mica da ridere, e se non si fa attenzione alla fine non avremo alcun finale poiché il protagonista sarà morto di freddo. O polmonite.

Uno degli spifferi più micidiali si chiama “Quello che farei io in quella situazione”. A prima vista sembra del tutto innocuo, ma il punto è un altro. Un protagonista anche se si muove in un ambiente a noi comune (la medesima città dove viviamo), non ha molte altre cose da spartire con noi. È indispensabile ficcarsi in testa che la storia riguarda lui: il personaggio insomma. Per questo è importante pensarci su: dobbiamo conoscerlo.

Quando si prende una frase ascoltata su un autobus, o l’immagine di una giovane donna che scende alla fermata della metro, lo facciamo perché desideriamo altro (o almeno dovremmo). Buttiamo giù le prime idee e impressioni, questo sì: lasciamo raffreddare la materia e torniamoci dopo.
Soprattutto, imponiamo a noi stessi uno sforzo, così come un alpinista decide di affrontare una montagna a lui sconosciuta: e lo fa perché gli piace l’idea. Perché l’idea è lì.

Studiamo a fondo come il personaggio vive, pensa e agisce. A cosa farà dieci minuti dopo, o cosa gli è successo il giorno prima. Noi siamo quasi inutili, poiché la nostra esperienza è affar nostro.

Lo so: qualcuno potrebbe dire che ci son fior di autori che sono riusciti a costruire ottime storie parlando di quello che è capitato a essi. Che posso dire?

Può accadere, così come accade di entrare in una tabaccheria, comprare un Gratta & Vinci e diventare milionari. Nessuna persona sana di mente consiglierebbe di risolvere il problema della disoccupazione in questo modo (anche perché lo scopo del Gratta & Vinci non è far vincere, ma far spendere).

Un altro spiffero è “Mi è successo, quindi so di cosa parlo”. Molto pericoloso, e può condurre a una morte lenta e dolorosa il povero protagonista. Il motivo mi pare lapalissiano: il protagonista è un’altra persona. A lui non è mai successo! Questo può essere una fantastica sfida per chi scrive: “Io mi sono comportato così, ma il mio protagonista si comporterà cosà!”. Un bel sistema per scrivere qualcosa di interessante.

Ennesimo spiffero: “Siccome scrivo, posso tutto!”. Sì, è vero. Anzi no, è falso. Scrivere è un po’ come essere un supereroe: molto potere, molta responsabilità. La seconda deve vegliare sul primo con pugno di ferro. Un personaggio arriva con una serie di limiti che ci costringono a usare il potere con estrema cautela. Se è anziano agirà e parlerà in un certo modo. Se è bambino in un altro modo ancora.

Non è solo questo: carattere e inclinazioni devono seguire uno schema, e se d’un tratto vengono sconvolti, è bene essere convincenti, e non presuntuosi. Nel primo caso (dopo che ci abbiamo pensato su), riusciremo a confezionare una buona storia perché avremo imparato a conoscere il personaggio. Costui agirà quindi in quella maniera non perché noi abbiamo deciso così, e chi discute e ci critica non capisce niente. Ma perché la conoscenza che abbiamo di lui è tale da averci fatto comprendere come reagirà se messo a contatto con un certo evento, o determinate persone.

La presunzione è quella che fa dire: “IO sono l’autore, e tu devi solo leggere”. Il destinatario di un tale messaggio eseguirà l’ordine alla lettera, leggendo le opere di un altro.

Se non si fa attenzione a proteggere la storia, grande o piccola che sia, alla fine avremo un certificato di morte.