Il ragazzo della nostra vita, che bacia da schifo

Creato il 24 aprile 2014 da Signorponza @signorponza

Bentornati nell’attesissimo nuovo episodio di MANiCURE che non è andato in onda la settimana scorsa perché più semplicemente eravamo in autogestione. Ed io ero chissà dove a farne di ben donde. E poi dovreste ben sapere che quando il gatto non c’è le tope ballano. Anyway, Amy Winehouse, eccoci in questo nuovo burrascoso episodio. Tutto dedicato questa settimana ad un problema che affligge noi giovani omosessuali. Un problema devastante che vi attenziono dopo il punto.

Il ragazzo della nostra vita, che bacia da schifo.

Lo so. Questa è una piaga. Una dilagante epidemia. Orde di bei ragazzi, dolcissimi e pieni di brio che hanno la lingua in bocca e la sanno usare a malapena per parlare. Ovviamente l’argomentare questo dramma deriva da una mia personalissima esperienza che non posso non raccontarvi. Tutti dovete esserne al corrente. Ma andiamo con ordine, as usual. Qualche tempo fa, quando ancora credevo che fosse necessario conoscere qualcuno per farci sesso, mi sono ritrovato in quel di Villa Borghese con Peter. 32 anni, ingegnere, alto q.b. e fisicato pure. Tatuato sul braccio sinistro.

La giornata era fresca, ma non troppo, e il sole ha retto bene. Ci siamo presi un caffè e abbiamo passeggiato a lungo. E parlato. Forse troppo. Ma questi sono dettagli comuni a tutti gli appuntamenti. Il mio disappunto era per l’assenza della sua barba. Nelle foto, che avevamo diligentemente scambiato su Grindr, aveva una barba perfetta, folta ma ordinata. Io adoro le barbe così, soprattutto perché la mia è rada e spelacchiata. Peter, che all’anagrafe ha in realtà un nome molto più dignitoso di quello che io gli ho affibbiato per l’occasione, mi raccontava, e si era anche un po’ accollato, su quanto fosse stanco di vedere gente che non gli trasmetteva niente.

Ovviamente condividevo. Però ecco, trasformarlo in un trattato sui massimi sistemi della sociologia gay e farlo divenire poco a poco una gran rottura di cazzo, ce ne vuole. Io in realtà scrutavo in maniera molto vaga i dettagli. Le mani tozze e le dita affusolate. Ben idratate. Le scarpe in assoluto coordinato con la cinta e la borsa. La cravatta. Il nodo sceso. E il bottone del colletto della camicia aperto. Mi dava tranquillità. Mi aveva messo a mio agio. E inaspettatamente il suo discorso mi sembrava più interessante. Soprattutto quando mi sono accorto delle sue braccia gonfie sotto la camicia.

Un’idea, solo un’idea, di ormonella si è immediatamente liquefatta, ed è iniziata a colarmi dalle orecchie. Lo so, detta così fa abbastanza schifo, ma ero abbastanza presentabile, ancora. Continuavamo a passeggiare e lui snocciolava argomenti su argomenti. L’amore per il tennis e la palestra. Il poco tempo libero per andare al cinema e la lettura. La voglia di ritagliarsi spazi magari per condividerli con qualcun altro. Io pensavo “Eccomi”. Qualcuno che potesse essere qualcosa di più di una scopata e un po’ meno di un fidanzato. “Eccomi”. Perché a Peter le etichette non piacevano. E figuriamoci se volevo contraddirlo proprio io.

Il sole ci baciava tra le fronde degli alberi. Ed eravamo arrivati in un angolo cieco circondati da sole fresche frasche. Insomma, il momento era favorevole e seppur io non avessi ancora discusso una tesi sul sentimentalismo omosessuale solo per Peter, ho fatto un respiro profondo ed ho sorriso. “Che c’è?”, mi ha chiesto sorridendo anche lui. “Niente – pausa – Sospiro veloce – Sei davvero un bel tipo. Hai un sorriso rassicurante. Bello. Mi ispiri fiducia” dico. Gli occhi di Peter si illuminano e iniziano a sorridere. Di lì a poco si avvicina e ci avvinghiamo in un bacio. Ovvero, il dramma in un secondo.

Una lingua enorme, umida, troppo, e diversi movimenti scoordinati delle labbra tramutano il momento più bello del giorno in un dramma devastante. Tenta di infilare ancora di più la lingua nella mia bocca. Io quasi svengo. Non gli puzzava l’alito, almeno, ma i suoi movimenti erano scoordinati e il bacio era macchinoso e poco naturale. Mi sembrava di portare l’apparecchio dei denti attorno alla lingua però. Un fastidio unico. Decido a questo punto di dedicarmi alle sue labbra. Che grazie al cielo assomigliano a dei canotti. Sbaglio io questa volta.

Lui continuava a infilare la sua enorme lingua e io non riuscivo a muovermi. Aveva fretta e fame di baciare. E io me ne rendevo conto sempre di più. In più, inaspettatamente, un secondo prima che si staccasse dalla mia bocca stanca e violata, l’orrore ha raggiunto livelli inaspettati. Una sbavata devastante mi ha inumidito le labbra. Si è allontanato sorridendo, e mi ha preso le mani, come se fosse stato per lui un gesto carino. Come a volermi ringraziare. O almeno era questo quello che avevo percepito io. Poi sorridendomi dice: “Baci benissimo”.

Io non ho risposto. Non gli ho di certo detto “anche tu”. Non era vero. E non mi sembrava proprio il caso di illuderlo. In maniera così gratuita, per di più. In quel momento mi sono bloccato. Ho cercato di riavviare le nostre conversazioni di cui sopra, ma niente. Io mi ero spento e lui non sapeva più cosa dirmi. Ci eravamo raffreddati. All’istante, e il disagio non era più solo il mio. Anche lui, secondo me, aveva captato che il momento era svanito. Morto. E infatti di lì a poco, alla prima scusa utile capitatami a mente, via, tele e sono fuggito.

La morale: sempre la stessa, ovvero l’abito non fa il monaco. Ma in questo caso, forse, è anche peggio, perché il bono non fa il limone. E ora ne ho le prove certe. Io, che non sono notoriamente un bronzo di Riace, sono capace di baciare molto meglio. Ma di gran lunga, e con risultati molto più importanti dei suoi. Mentre riprendevo la metro per tornare a casa mi chiedevo ripetutamente nella mia testa cosa avessi sbagliato. Poi l’illuminazione, non dovevo preoccuparmene io. Non più almeno. Era appena diventato un problema per la società.

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Il post Il ragazzo della nostra vita, che bacia da schifo, scritto da Annabelle Bronstein, appartiene al blog Così è (se vi pare).


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