E' un Clive Owen ordinato e sobrio quello che sale sul palco della Sala Petrassi e incontra il pubblico del Festival Internazionale Del Film Di Roma. Premiato con il Wella Creative Versatility Award 2014, per la sua bellezza ed eleganza, l'attore si è raccontato chiamando in causa il suo luogo d'origine, l'approccio alla recitazione e ponendo un po' più di luce sulla sua figura assai intima e riservata.
Questo il resoconto di ciò che si è detto.
Come ha inizio la tua carriera?
Sono cresciuto a Coventry, in Inghilterra, in una scuola popolare. A tredici anni mi è capitato per caso di fare il primo provino teatrale e da li ho deciso che questo era il mestiere che volevo fare. Nella mia città c'era un teatro filodrammatico e con un mio amico ci siamo iscritti, da li mi sono irrimediabilmente appassionato.
Quindi non eri già immerso nel mondo del cinema?No, la mia era una famiglia operaia e l'idea di fare l'attore non fu presa affatto bene a casa, ma io mi sentivo deciso. Volevo fare teatro.
Quali furono le tue esperienze iniziali?Conoscevo solo la Royal Accademy come scuola, era molto rinomata. Ma tutti mi dicevano di tentare con una scuola diversa, quindi mi iscrissi, ma non mi piacque e lasciai. Anni dopo però la voglia era tornata, stavolta però doveva essere solo la Royal Academy, così mi iscrissi li e andò bene.
Se avessi continuato a frequentare l'altra forse non sarei l'attore di oggi.
Ti piace andare contro l'apparenza dei tuoi personaggi? Dimostrare un interiorità diversa da quella che il tuo aspetto fisico invia a primo impatto?Il fatto di essere bello non significa per forza essere stupido. Ovviamente quando ho cominciato a recitare il mio ambiente era un altro, quindi quello che sono stato da ragazzo ha inciso molto sulla mia carriera. Ho avuto dei colpi di fortuna incredibili, ma il Clive di Coventry c'è ancora e io sono contento di questo.
Cerchi consapevolmente dei personaggi complicati, oppure no?Senz'altro ne sono attratto. Mi piace la sfida, non si tratta di piacere al pubblico ma di farsi capire. E' questa la vera sfida.
Quando Clive Owen guarda qualcuno non si capisce mai se vuole essere aggressivo o ironico. Ti sei accorto di questo rivedendoti sullo schermo?No, non me ne sono mai accorto. Al cinema però si capisce subito se chi recita lo sta facendo bene o male. I grandi attori teatrali non funzionano al cinema, sono più esposti.
Ti rivedi sullo schermo?No, soprattutto guardando all'indietro mi sembro un ingenuo, non mi piaccio. Mi viene sempre voglia di rifare la scena in modo diverso. L'attore è il peggior giudice di sé stesso, mi sento a disagio nel rivedermi, per cui mi fido del mio istinto e vado avanti.
Cosa puoi dirci di Robert Altman?Altman era un genio. Il regista al cinema è importante per dettare il tempo, io amo dare al regista le cose che lui mi chiede per far funzionare il suo film. Al teatro invece sono io che decido come e quando dare l'enfasi. Per Altman tutti dovevano essere pronti per mettersi al servizio della scena anche chi poi non recitava, lui amava l'ispirazione. Sembrava un musicista all'opera, aveva il dono di fare film senza frustrare alcun attore.
Meglio recitare con o senza il Green Screen?Anche con il Green Screen reciti con attori veri. E' importante avere uno scambio, chi ti da le battute. Il lavoro di un'attore è portare avanti una scena non fare solo la sua parte.
Cosa puoi dirci di Michael Caine?Lui è una leggenda, è profondo disciplinato acuto. Io l'adoro, è un professionista. Sembra gli riesca tutto con facilità ma dietro in realtà c'è molto altro. Una preparazione incredibile
Come lavori tu invece generalmente? Fai ricerche, vai su intuizione, oppure cambi metodo in base al ruolo?Dipende dai film. Per Hemingway ho studiato molto. Uno che viene da Coventry come me non poteva calarsi in un personaggio americano senza ricerche. In altre occasioni invece faccio da me. Io non credo che un attore debba calarsi per forza in un allenamento di mesi per entrare nel ruolo. Dipende da come ci arrivi, io mi devo sentire a mio agio e capire a fondo determinate cose. Devi saper interpretare la sceneggiatura.
E' vero che ti piace il calcio e hai una squadra preferita italiana?Si, è l'Inter!
L'attrice italiana, invece?Monica Bellucci.
Come riesce un inglese come te ad avere un accento americano così ottimo?Sono migliorato. Quando ho cominciato non ero molto bravo, ma a un certo punto ho trovato un assistente che lavora sugli accenti. E' un allenatrice che ha un metodo di lavoro fantastico, accurato, ed ha il pregio di non essere mai invadente sul set. Ti da libertà. Lavorando con lei sono migliorato.
Hai un personaggio particolare che vorresti interpretare?No, nessuno. Mi piace lasciarmi sorprendere. Voglio leggere il copione e scoprire con chi mi devo confrontare. Per me questa è la vera gioia di questo mestiere.
Cosa ne pensi dei film in digitale?Sono un grande fan di Sin City. Lo considero un film che ha portato una grande svolta nel cinema. Sono apertissimo a questo tipo di tecnologia.
Clive Owen è sempre sicuro delle sue scelte?Mai! Io non scelgo in base alle sicurezze, ma ad altro. L'importante per me è lavorare bene e avere un enorme desiderio. Lavoro in base alla scintilla e all'istinto.