Il Ramadan visto dal Pakistan: un mese di digiuno e fratellanza

Creato il 03 agosto 2014 da Nonsoloturisti @viaggiatori

Sullo schermo del televisore il conto alla rovescia scorre veloce, mancano pochi secondi prima che il cronometro segni il tanto atteso zero. Amma prende un piattino pieno di datteri e lo fa girare fra gli ospiti. Contemporaneamente dalla vicina moschea giunge la preghiera dell’imam. Il sole è tramontato: si può rompere il digiuno, e così come fece anche Maometto si comincia con tre datteri.

Per i musulmani di tutto il mondo il nono mese del calendario islamico è un mese importante: per 30 giorni dall’alba al tramonto digiunano rinunciando a cibo e acqua, si astengono da ogni tipo di attività sessuale, dal fumare sigarette e si impegnano nel limitare cattive azioni e cattivi pensieri. Questo è il mese del Ramadan. Il digiuno deve essere rispettato da tutte le persone il cui stato di salute lo permette: ne sono esentati anziani, bambini sotto i 12 anni, donne con le mestruazioni, diabetici, ma anche coloro che fanno lavori manuali e chi sta viaggiando.

È la prima volta che mi trovo in un paese a prevalenza musulmana durante il Ramadan, e se fossi una persona che organizza i propri viaggi avrei sicuramente cercato di evitarlo, invece sono felice di essere la viaggiatrice sgarruppata che sono e di stare vivendo questa esperienza nella Repubblica Islamica del Pakistan.

Devo ammettere che faticavo a capire il senso di un digiuno diurno seguito da abbuffate notturne; essere qua mi ha invece insegnato a cambiare i miei preconcetti ed ad apprezzare quello che si è rivelato essere un mese di festa.

Il Ramadan è un mese dedicato allo stare insieme: l’iftar (il pasto serale dopo il tramonto) viene celebrato da tutta la famiglia riunita, spesso consiste in pakora (verdure impastellate e fritte), panini e macedonia di frutta e le bevande tipiche sono coloratissime e dolci.

Essendo legato al calendario lunare, ogni anno il mese del Ramadan avanza di dieci giorni. Nel 2014 è caduto d’estate e così è stato per gli ultimi cinque anni e lo sarà ancora per i prossimi cinque, il che renderà molto faticoso sopportare la sete.

Esco in giardino con Rabya e liberiamo i cani. Ci girano intorno scodinzolando felici e poi si dirigono correndo fuori dal cancello che era rimasto socchiuso. In un angolo, all’ombra di un frangipani in fiore, si riposa l’anziano guardiano. “Perché il cancello era aperto?” L’uomo non risponde, sa di non avere nessuna scusa.

“Le ultime ore del giorno sono le più difficili e nonostante il nostro guardiano sia anziano, si ostina ad osservare il digiuno, dobbiamo aiutarci a vicenda,” mi spiega Rabya chiudendo il cancello. Dalla sua sedia all’ombra l’uomo le sorride con gratitudine.

Questo è lo spirito del Ramadan, un mese in cui il digiuno rende tutti uguali: i ricchi, la servitù e i mendicanti. Un mese in cui i musulmani di tutto il mondo si sentono fratelli e e sono solidali nel resistere alle tentazioni.

“Durante il Ramazan bisogna essere buoni e quando non lo sono il mio stomaco, un po’ dolorante per la fame, mi ricorda che devo comportarmi con comprensione e rettitudine,” mi racconta Moin fumando la prima sigaretta della giornata mentre dietro di lui spunta una gigantesca luna piena.

“Noi musulmani ci basiamo sul calendario lunare: quando compare la luna nuova sappiamo che il giorno dopo inizierà il mese del Ramadan. Non sappiamo però quando finirà: potrebbe essere di 29 o 30 giorni, ogni giorno osserviamo il cielo e quando la luna scompare del tutto sappiamo che il giorno dopo è la fine del Ramadan, un giorno di gran festa che noi chiamiamo Eid.”

Eid viene paragonato a quello che per noi è Natale: intere famiglie composte da centinaia di persone si riuniscono per mangiare insieme e le donne si vestono dei colori più accesi. Ci si ritrova al mattino per fare colazione, poi per pranzo ci si sposta nella casa di un diverso parente e uguale per cena.

È mezzanotte passata quando Moin ci propone di uscire. Nonostante gli occhi stropicciato dal sonno accettiamo e ci lanciamo in una corsa in macchina fra le vie di Lahore. Appena usciti dai quartieri residenziali la città si illumina e le strade si riempiono di vita. Le insegne scintillano nel buio e i negozi sono in piena attività. Le lunghi barbecue di fronte ai ristoranti sono ricoperti di spiedini, uomini e donne mangiano seduti ai tavoli mentre i bambini si rincorrono fra il fumo delle braci.

Di giorno si cerca di risparmiare le energie, e così tutte le attività di svago si svolgono alla notte. Noi andiamo a trovare degli amici, mangiamo un gelato, giochiamo a biliardo e alle due di notte ci sediamo al tavolo di un caffé, stanchi ma ancora euforici.

L’ultimo pasto prima dell’alba si chiama sehri ed è composto da una colazione abbondante con uova e succhi. Alle 3.30, ora in cui bisogna smettere di mangiare, risuona lo stesso richiamo che otto ore prima aveva segnato l’inizio della notte. Si dice l’ultima preghiera della giornata e si va a dormire. Il nostro giovane ospite probabilmente dormirà fino a pomeriggio inoltrato, i più pigri fino all’ora dell’iftar, quando un’altra notte incomincia.

In questi giorni ho imparato che il Ramadan è gioia: è un mese dedicato alla famiglia e allo stare insieme e, perché no, anche alla buona cucina. Per scoprire i significati profondi di tradizioni così diverse dalla nostra bisogna avere tempo, fermarsi e trasformarsi in osservatori silenti.


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