Se c’è un punto terminale della ascesa terroristica delle Brigate rosse, lo si può far coincidere grosso modo con il clamoroso fallimento del sequestro Dozier, che mise la parola fine alla già incrinata immagine del gruppo del “fuoco geometrico”e che ebbe come conseguenze immediate la liberazione del generale americano e lo smantellamento della rete veneta dell’organizzazione terroristica.
Verona, 17 dicembre 1981, attorno alle 17,30; il comandante della NATO nell’Europa meridionale James Lee Dozier è a casa, con sua moglie, che sta preparando la cena, mentre il marito è in relax dopo la giornata lavorativa.
Suonano alla porta e la signora Judith va ad aprire; davanti a lei ci sono due uomini vestiti da idarulici, che dicono di essere venuti per verificare una perdita nell’appartamento.
I due, una volta all’interno, estraggono le armi, e mentre uno di essi blocca la signora Judith, l’altro colpisce il generale Dozier e lo tramortisce, nonostante il tentativo di difesa dell’uomo.
Poi, lo caricano in una cassa e svaniscono nel nulla.
Quando la notizia viene diramata dalle agenzie di stampa, l’opinione pubblica si rende conto che questo non è un atto terroristico come gli altri, perchè per la prima volta le BR attaccano uno dei membri più importanti dell’esercito americano in Europa, un alto papavero della Nato, e ci si rende conto che gli equilibri delle alleanze, i rapporti diplomatici tra paesi amici, alleati, da adesso in poi rischiano di incrinarsi.
Che siano state le Brigate rosse a rapire l’alto ufficiale è chiaro a tutti, anche prima della rivendicazione del gruppo, che arriva in giornata, mentre il 18 dicembre la cellula Anna Maria Ludman Cecilia (nome di battaglia della terrorista uccisa con altri tre terroristi nel covo di via Fracchia a Genova) rivendica la paternità del sequestro, dicendo di aver “rapito il boia della Nato Dozier”
Le polemiche infuriano immediatamente; l’estrema facilità con cui le BR hanno portato a termine il loro gesto appare sospetto a molti, che paventano dietro il rapimento la solita regia occulta dei paesi dell’est.
In realtà il sequestro è gestito in proprio dalla colonna veneta, il cui capo militare è Antonio Savasta, ed è un’azione che, ci si renderà conto in seguito, è solamente propagandistica.
Basti pensare che le BR rapiscono il generale, che parla malissimo l’italiano e non hanno nessuno che sia in grado di interrogarlo, perchè nessuno di loro parla bene l’inglese.
James Lee Dozier a quel tempo aveva 50 anni, era un generale di brigata laureato a West Point, e aveva combattuto per due anni in Vietnam, ed era stato insignito della prestigiosa Purple heart, prima di diventare vice capo maggiore del Comando delle forze armate Nato per il sud Europa; è quindi una personalità di spicco, ma non gode di alcuna protezione personale.
La tensione monta subito altissima; il generale è in possesso di importanti segreti militari, ed è convinzione dei servizi segreti americani che il tutto sia organizzato da un paese comunista, così la pressione sugli inquirenti italiani diventa subito fortissima.
Ma le Brigate rosse non hanno rapito Dozier per estorcergli segreti militari; la loro è un’azione volta a farsi propaganda, a coinvolgere se possibile quella parte di opinione pubblica che segretamente parteggia per loro, in cui confusamente si mescolano sentimenti anti americani, da sempre presenti nelle frange estremistiche tra studenti e operai, alimentate dal ricordo della guerra in Vietnam.
Nelle Brigate rosse, del resto, si era favoleggiato a lungo sul SIM, lo stato imperialista delle multinazionali, di cui gli Usa erano ovviamente i genitori genetici; con il sequestro Dozier le BR tentano il salto di qualità, anche se va detto che la scelta di Dozier fu assolutamente casuale, come preciseranno Novelli e Savasta, in quanto nell’ottica brigatista il rapito poteva essere un qualsiasi ufficiale americano.
Mentre scatta il piano d’emergenza dei servizi segreti italiani, coadiuvati da quelli americani e mentre viene allestita una gigantesca operazione di ricerca e di setaccio della zona, Savasta interroga il suo prigioniero tra mille difficoltà, ottenendo in cambio risposte frammentarie, una breve biografia del generale e informazioni prive di alcun valore.
Dozier è un militare esperto, quindi ha la situazione in pugno, per quanto possa averla un uomo costretto a vivere in una tenda da campeggio, incatenato e continuamente minacciato di morte.
Negli Usa la reazione del presidente americano Ronald Reagan è molto dura; anche se ufficialmente elogia le forze di polizia italiane impegnate nelle ricerche, in privato stigmatizza l’inefficienza delle stesse, testimoniate a suo dire dalla cattiva gestione dell’affaire Moro.
Convocati i capi dei servizi segreti americani, in primis la Cia, deputata all’intelligence fuori dai confini statunitensi, Reagan incaricò il suo vice Bush di persuadere l’Italia ad accettare la consulenza dei suoi agenti, ricevendone (almeno ufficialmente, per quello che ne sappiamo) un cortese ma fermo diniego.
Gli stessi americani mettono subito in chiaro che non sarà possibile nessuna trattativa ne aperta nè segreta con i terroristi, facendo così subito chiarezza sulla gestione del sequestro; in Italia si prende atto della decisione americana, del resto ampiamente condivisa dai vertici politici e investigativi e si nomina subito la task force che dovrà seguire il delicato caso.
A capo del gruppo viene nominato Umerto Improta, vice capo dell’Ucigos, affiancato da De Francisci e da Salvatore Genova, tutti uomini preparati ed esperti, il massimo su cui potesse contare l’intelligence italiana.
Improta da subito una sterzata alle indagini; Verona, ma non solo, vengono cinte quasi d’assedio, mentre gli inquirenti vanno a caccia di indizi, mirando sopratutto alle complicità, ai fiancheggiatori che il gruppo indubbiamente possiede. La strategia è volta anche a fare terra bruciata attorno alla direzione strategica, caduta la quale si avrebbe partita vinta.
Si indaga nel mondo dell’estremismo, della contiguità al partito armato, proprio mentre Patrizio Peci, primo grande pentito delle BR, rivela a Dalla Chiesa i segreti del gruppo, squarciando il muro impenetrabile in cui sembrava rinchiuso il gruppo terroristico.
I giorni passano, e la tensione si fa sempre più sfibrante, con gli inquirenti che indagano senza sosta mentre il tempo è scandito dai comunicati delle Brigate rosse.
Il 1982 si apre con altri attentati, ma anche con i successi degli inquirenti, come l’arresto dell’ultimo capo brigatista, Senzani, responsabile del sequestro del fratello di Peci , Roberto e del sequestro Cirillo.
Il successo più grande comunque sta per arrivare; le indagini certosine degli uomini di Improta arrivano ad una svolta, quando, indagando sui vari passaggi di proprietà di appartamenti e immobili, gli inquirenti arrivano ad un garage acquistato dal BR Paolo Galati, nel quale vengono rinvenuti documenti e volantini relativi al tragico sequestro taliercio, anch’esso opera della colonna veneta delle Brigate rosse.
Attraverso galati, gli uomini di Improta risalgono ad una terrorista la De Angelis, che viene fermata in casa sua mentre è in compagnia di Ruggero Volinia.
Portato in caserma, l’uomo si dichiara prigioniero politico.
Gli uomini di Improta capiscono di essere sulla strada giusta e mettono sotto torchio l’uomo, che alla fine crolla, Davanti al procuratore Papalia, l’uomo ammette le sue responsabilità nel sequestro, dicendo di essere stato l’autista dell’auto furgonata che ha trasportato Dozier da Verona a Padova.
Da quel momento gli avvenimenti prendono una piega frenetica.
Volinia dichiara di essere disposto a collaborare, così gli inquirenti raccolgono tutte le notizie utili per identificare la prigione, la composizione del commando che tiene in ostaggio Dozier, la pianta dell’appartamento.
Il covo BR
Identificata la base in cui è prigioniero il generale, in un quartiere periferico di Padova, in via Ippolito Pindemonte civico 2, situato su un supermercato al secondo piano dello stabile scatta l’operazione che dovrà portare al blitz.
Dapprima viene mandata un’auto civetta che passa a velocità normale per via Pindemonte, in modo da verificare l’esatta poszione dellì’appartamento e delle finestre, che sono ovviamente chiuse da tapparelle, in seguito, poichè nello stabile c’è un laboratorio dentistico, vengono mandati due agenti in borghese ,con la scusa di una visita, a verificare la situazione in situ.
Grazie sempre alle rivelazioni di Volinia, gli uomini di Improta apprendono che il generale è tenuto prigioniero sotto una tenda da campeggio, legato con una catena e guardato a vista dai teroristi, armati fino ai denti.
Il 28 gennaio è la data fatidica per l’operazione; la preparazione è stata meticolosa, nulla è lasciato al caso.
La mattina un bulldozer inizia delle finte operazioni di scavo, mentre coppie di agenti in borghese sono per strada, travestiti da fidanzatini, da semplici passanti; i NOCS sono pronti all’intervento.
E’ gente esperta, preparata; indossano giubbotti antiproiettile, cappucci, qualcuno ha bombole subacquee, posseggono attrezzi da montagna, necessari per calarsi dal terrazzo, hanno picconi da rocciatore e le immancabili armi pesanti e leggere.
I Nocs sono arrivati con un insospettabile camioncino adibito al trasporto di verdure; il blitz scatta puntuale e perfetto.
Alcuni uomini si calano dal terrazzo e fanno saltare la finestra sulla strada mentre contemporaneamente altri fanno saltare la porta dell’appartamento, che sanno non essere blindata, come dedotto dai sopralluoghi precedenti.
Nell’appartamento la sorpresa, uno degli elementi fondamentali su cui Improta ha basato tutte le sue carte è totale; i terroristi vengono disarmati, mentre un uomo dei Nocs colpisce con il calcio della pistola, alla testa, un terrorista che era corso verso Dozier puntandogli la pistola alla testa.
Il blitz è tecnicamente e tatticamente perfetto, perchè l’ostaggio è libero, i terroristi sono arrestati e ammanettati, non è stato sparato un solo colpo; il tutto è durato meno di due minuti, segno dell’assoluta professionalità degli uomini dei NOCS.
Antoni Savasta, Emilia Libera, Cesare Di Lenardo e Daniela Frascella, figlia dell’ignaro proprietario dell’appartamento, giacciono in manette; Di Lenardo è l’unico ad avere dei danni, perchè il poliziotto che l’ha colpito non è andato tanto per il sottile.
Dozier, barba lunga, smagrito, prorompe in un “meraviglioso lavoro”
In quella giornata frenetica, la notizia rimbalza attraverso imedia; il TG mostra le fasi successive alla liberazione di Dozier che, nel frattempo, ha chiamato sua moglie Judith per rassicurarla sul suo stato di salute.
E’ una pioggia di elogi continua e incondizionata che piove su Rognoni, ministro degli interni, su De Francisci capo della polizia, su Rino Genova e naturalmente su Improta e sui suoi uomini.
Arriva anche l’elogio incondizionato di pertini e quello di Ronald Reagan, che esalta il ruolo dell’intelligence italiana, a nome suo personale e degli Stati Uniti.
La liberazione di Dozier significa non solo la riscossa dello stato, che quell’anno piazzò colpi mortali ai danni delle BR, ma anche lo smantellamento della rete terroristica in Veneto.
Il tutto può essere ampiamente simboleggiato dal comunicato delle Brigate Rosse che seguì l’operazione Dozier, nel quale l’organizzazione affermò la necessità di una “ritirata strategica, diretta conseguenza dell’offensiva dello stato”; da quel momento, formalmente, le Brigate Rosse originarie cessano di esistere, spacandosi in tre tronconi, le BR-Walter Alasia ,le BR-Partito Guerriglia , le BR-Per la Costruzione del Partito Comunista Combattente (BR-PCC)
L’annuncio del blitz dato dal presidente americano Ronald Reagan