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Il rapporto del Comitato per la Revisione Interna dell’ONU e l’urgente bisogno di trasparenza dello Sri Lanka

Creato il 29 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Il rapporto del Comitato per la Revisione Interna dell’ONU e l’urgente bisogno di trasparenza dello Sri Lanka

Il rapporto del Comitato per la Revisione Interna delle Nazioni Unite è stato pubblicato un anno dopo che l’auto-nominata Commissione di Indagine sulle Lezioni Imparate e la Riconciliazione (Lessons Learnt and Reconciliation Commission – LLCR) dello Sri Lanka aveva sottoposto i risultati della propria indagine al Presidente Mahinda Rajapaksa. La LLCR venne costituita nel maggio 2010 per indagare sugli eventi a cavallo tra il “cessate il fuoco” del 2002 con le Tigri per la Liberazione della Patria Tamil (Liberation Tigers of Tamil Eelam – LTTE) e la fine del conflitto nel maggio del 2009, e per studiare un piano di riconciliazione etnica.

Quando il rapporto della LLCR venne rilasciato si supponeva ambisse meramente a sollevare il governo da ogni responsabilità, specialmente quelle relative alla violazione della Legge Umanitaria Internazionale durante l’offensiva militare finale scagliata contro le LTTE nel 2009. Tuttavia, l’esito fu un fallimentare tentativo di seppellire i vari crimini di guerra, con la dichiarazione della LLCR secondo cui, nonostante proteggere i civili fosse stata la priorità dell’esercito, in molti avevano perso la vita, seppur accidentalmente. Questo rappresentò un passo avanti, in quanto contraddiceva apertamente la posizione fino ad allora assunta dal Governo dello Sri Lanka (GoSL), fermo nel dichiarare che non si verificò alcuno spargimento di sangue tra i civili. Considerata la prevaricazione da parte del GoSL sull’applicazione delle raccomandazioni avanzate dalla LLRC, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC) ha approvato nel Marzo 2012 una risoluzione dal titolo “Promuovere la riconciliazione e la responsabilità nello Sri Lanka“. Sebbene uno dei risultati della risoluzione dell’UNHRC sia stato la formulazione del “Piano d’Azione Nazionale”, questo non ha cambiato la cultura dell’impunità imperante nel Paese o il fatto che il governo continui ad opporsi a qualunque indagine indipendente sui presunti crimini di guerra o altre violazioni dei diritti umani. Questa situazione, oltre alla recentemente conclusa sessione dello Universal Periodic Review (UPR) dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU sullo Sri Lanka, ha sollevato molte e complicate questioni per coloro che sono interessati alla riconciliazione ed effettiva pacificazione del Paese.

Il Governo dello Sri Lanka ha costantemente respinto l’ipotesi di poter acconsentire ad un monitoraggio internazionale dei diritti umani e degli sforzi di responsabilità, sia nel contesto del primo UPR del 2008 e, successivamente, quando le richieste per una commissione d’indagine indipendente ed internazionale si sono intensificate. Tre anni e mezzo dopo che la battaglia finale è stata combattuta e vinta, il GoSL continua ad assumere un atteggiamento elusivo. In questo contesto, il rilascio del Rapporto Petrie ha riportato l’attenzione internazionale sul deterioramento della condizione dei diritti umani nello Sri Lanka.

Il Rapporto Petrie e il fallimento delle Nazioni Unite

Durante il conflitto interno iniziato nello Sri Lanka tre decenni or sono, svariate agenzie delle Nazioni Unite, insieme ad altre organizzazioni intergovernative (IGO) e internazionali non governative (INGO), si sono stanziate nel nord e nell’est dilaniati dalla guerra per assistere la popolazione colpita dal conflitto. Questa situazione ha fornito a tali organizzazioni internazionali abbondanti occasioni per osservare da un punto di vista interno e, quindi, ottenere una maggiore comprensione delle difficoltà che i civili residenti in quelle zone si trovavano a dover fronteggiare, fornendo nel mentre un indispensabile aiuto. È stato più volte riportato che verso la fine della guerra, su direttiva del Ministro della Difesa dello Sri Lanka, le agenzie delle Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali sono state costrette ad abbandonare le aree delimitate come zona di guerra, nonostante il gran numero di manifestazioni di civili che chiedevano alle Nazioni Unite di restare per poter godere della loro protezione. Il Rapporto Petrie afferma che la chiusura degli uffici e il conseguente ritiro delle agenzie delle Nazioni Unite dalle regioni colpite dalla guerra rappresentano un fallimento da parte delle Nazioni Unite nell’«…agire nell’ambito dei mandati istituzionali per far fronte ai doveri di protezione» (pp. 27).

Emanato da un Comitato nominato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e presieduto da Charles Petrie, il Rapporto si basa sull’analisi di quasi 7000 documenti interni. La conclusione è la prova schiacciante che le Nazioni Unite hanno fallito nell’assicurare la protezione di civili innocenti. Una rivelazione fondamentale è che i membri del personale delle Nazioni Unite erano in possesso di informazioni attendibili che dimostrano che il Governo dello Sri Lanka fu responsabile della maggior parte dei decessi. Il Rapporto rivela che i due terzi delle uccisioni avvennero all’interno delle zone di sicurezza unilateralmente dichiarate dal Governo, presumibilmente per proteggere i civili. Esso afferma che «numerose comunicazioni delle Nazioni Unite riportarono che i civili morivano sotto i bombardamenti, ma mancarono di comunicare che i bombardamenti in questione venivano scagliati dalle forze governative» (pp. 20). Inoltre, «già dal 6 Febbraio 2009, l’SLA (Esercito dello Sri Lanka) ha continuamente bombardato le zone della seconda NFZ (No Fire Zone – Zona Franca), da tutte le direzioni: mare, terra e aria. Si stima che in quella piccola area risiedessero tra i 300.000 e i 330.000 civili» (pp. 11). Riassumendo i fallimenti dell’ONU, il Rapporto evidenzia come gli atti di omissione e commissione abbiano involontariamente favorito i fini del Governo dello Sri Lanka, e abbiano perciò aggravato la catastrofe umanitaria. Esso afferma:

Il fallimento delle Nazioni Unite nel contrastare adeguatamente la sottostima del governo sul numero di civili risiedenti nella Wanni [zona di guerra]; l’incapacità di affrontare in maniera adeguata il governo riguardo le sue limitazioni all’assistenza umanitaria; la riluttanza delle Nazioni Unite nei UNHQ e a Colombo nell’affrontare il governo sulla responsabilità degli attacchi che uccidevano civili, ed il tono e il contenuto delle comunicazioni dell’ONU col governo su questi temi, nell’insieme ammontano ad un fallimento delle Nazioni Unite di agire nell’ambito dei mandati istituzionali per rispondere ai doveri di protezione (pp.27).

In altre parole, le Nazioni Unite sono rimaste a guardare e per la maggior parte del tempo hanno mantenuto il silenzio mentre era in corso un massacro di civili. Nel far questo, tuttavia, l’ONU adempiva semplicemente alla sua funzione di strumento delle grandi potenze. Gli Stati Uniti e le potenze europee, insieme alla Cina, hanno sostenuto il Presidente Rajapaksa quando ha unilateralmente sciolto l’accordo sul cessate il fuoco con le LTTE nel 2006 e, successivamente, hanno chiuso un occhio di fronte all’evidenza di sempre più crescenti atrocità e clamorosi abusi dei diritti civili. Come il Rapporto Petrie sottolinea, non ci furono incontri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del Consiglio dei Diritti Umani o dell’Assemblea Generale sulla terribile situazione dello Sri Lanka. La nozione di Responsabilità di Proteggere, afferma il Rapporto, è stata nominata, ma «…senza nessun risultato utile» (pp. 32). Riguardo alle relazioni tra gli alti funzionari delle Nazioni Uniti e le maggiori potenze, il Rapporto dichiara: «il tono, il contenuto e gli obiettivi dell’impegno dell’UNHQ con gli Stati membri riguardo lo Sri Lanka sono stati fortemente influenzati da ciò che veniva percepito che gli Stati stessi volessero sentirsi dire, piuttosto che da ciò che gli Stati membri avrebbero avuto bisogno di sapere se fossero stati chiamati a risponderne» (pp. 27). Per quanto riguarda le dichiarazioni del governo di Rajapaksa sull’assenza di vittime civili, ed in particolare l’asserzione del Governo dello Sri Lanka riguardo l’aver salvato i tamil intrappolati «senza spargimento di una sola goccia di sangue», il Rapporto ha rivelato come queste affermazioni siano del tutto false. Il Comitato, riguardo la negazione del GoSL dell’esistenza di vittime civili e sul fatto che tali dichiarazioni abbiano messo gli Stati membri uno contro l’altro, creando dubbi circa la veridicità delle affermazioni delle Nazioni Unite sull’esistenza di vittime, ha riportato:

Il governo ha risposto opponendosi con fermezza a qualsiasi menzione da parte dell’ONU della presenza di vittime civili. Consapevole del disaccordo tra i principali membri dell’ONU, il GoSL ha usato la corrispondenza e le dichiarazioni pubbliche di alti funzionari delle Nazioni Unite per confutare le affermazioni pubbliche dell’OHCHR. I diplomatici che avevano preso parte alla sessione informativa del 9 Marzo dell’UNCT, e che desideravano che le Nazioni Unite prendessero una posizione pubblica sulle vittime, hanno lasciato trapelare informazioni ai media. Il 24 Marzo l’RC [il Coordinatore dei Residenti] è stato convocato per incontrare il Ministro degli Affari Esteri, e il 25 Marzo il Governo ha rilasciato una dichiarazione secondo la quale «[l'RC] ha affermato che non è in grado di confermare la veridicità delle affermazioni sull’esistenza di vittime civili…»; ha descritto i numeri come «non riportati da nessuna fonte affidabile e indipendente”, e le asserzioni sulla natura civile dei due terzi delle vittime come “palesemente false” e “prive di fondamento». (pp. 12)

Alla luce di questi risultati incriminanti, il Rapporto Petrie conclude che le Nazioni Unite non avevano una visione unitaria o un piano adeguato per far fronte agli eventi catastrofici che si svolsero durante la fase finale della guerra ed immediatamente dopo la sua fine. L’ONU e i suoi diversi organi, che sono stati istituiti con lo scopo preciso di evitare tali atrocità, hanno fallito nel loro compito di proteggere la popolazione civile, lasciando che la politica e gli interessi personali distogliessero l’attenzione dalla priorità di proteggere le vite di bambini, donne e uomini intrappolati nelle NFZ. Il Rapporto conclude:

«Il fallimento dell’ONU nel dare una risposta adeguata ad avvenimenti come quello dello Sri Lanka non deve ripetersi. Quando deve far fronte a situazioni di questo genere, l’ONU deve essere in grado di offrire un servizio molto più efficace nella protezione e nella responsabilità umanitaria» (pp. 35)

Il Segretario Generale, in risposta alle conclusioni della commissione, ha dichiarato che «la trasparenza e la responsabilità sono cruciali per la legittimazione delle Nazioni Unite [...]» ed ha annunciato che nominerà un team di alto livello per consigliarlo sulla strada da percorrere, tenendo in considerazione il Rapporto; ha inoltre promesso che «altri provvedimenti saranno adottati a breve».

Problemi con il Rapporto e la smentita di Colombo

Le conclusioni del Rapporto Petrie sono un’accusa non solo al governo di Rajapaksa, ma anche alle Nazioni Unite. Le precedenti relazioni, come il Rapporto Darusman, avevano indicato come i crimini di guerra ed i crimini contro l’umanità fossero stati commessi sia dalle milizie dello Sri Lanka sia dalle LTTE, ma non facevano alcun riferimento al fallimento dell’ONU.

Pur avendo le Nazioni Unite ammesso il proprio fallimento ed accettato i risultati del Rapporto, sono state sollevate domande circa la missione d’inchiesta che l’ha preceduto. Constatando l’indecisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per quanto concerne lo Sri Lanka e la mancanza di un mandato obbligatorio, Vidura osserva che «…ci sono voluti più di due anni e mezzo dalla fine del conflitto – e solo dopo una sentita raccomandazione da parte del PoE [Panel of Experts -Comitato di Esperti], e probabilmente l’aumento delle pressioni da parte di attori interni ed esterni – perché Ban Ki Moon commissionasse un’indagine». Richiama inoltre l’attenzione sulla nomina di un membro part-time dell’ONU a capo della commissione (invece di un team i cui membri non fossero collegati alle Nazioni Unite), fatto che solleva dubbi circa l’indipendenza e l’imparzialità dell’indagine: «avevano la possibilità di designare esperti osservatori/partecipanti tra i donatori, o tra le altre agenzie umanitarie, o di uno qualsiasi degli organismi intergovernativi che hanno dimestichezza nel riformare l’azione umanitaria in modo da garantire obiettività». L’ultima ed urgente questione riguarda la mancanza di trasparenza, metodologia e processo del team d’indagine delle Nazioni Unite, in quanto vi è una significativa assenza di «…un meccanismo per le comunità colpite e gli attivisti interessati di comunicare e sollevare questioni».

Frances Harrison, ex corrispondente della BBC e autrice di Still Counting the Dead: Survivors of Sri Lanka’s Hidden War, si inserisce nel dibattito sostenendo che se il contenuto del Rapporto non fosse trapelato alla BBC prima della sua presentazione al pubblico, esso non sarebbe stato presentato affatto: «Le Nazioni Unite a New York, sebbene riluttanti, hanno deciso di pubblicare il documento, ma senza l’importante sommario che inseriva il conflitto nel contesto dell’atteggiamento globale al terrorismo nel post-11 settembre, che ha tragicamente alterato la documentazione dell’eccidio». Harrison cita il sommario riepilogativo del Rapporto, che è stato prima rilasciato e poi ritirato, e afferma: «Alcuni hanno sostenuto che molti decessi si sarebbero potuti evitare se il Consiglio di Sicurezza e la Segreteria, sostenuti dal Country Team dell’ONU, avessero parlato chiaramente dall’inizio, in particolare rendendo noto il numero effettivo delle vittime».

A sua volta, il GoSL, trovandosi ancora una volta al centro delle accuse per la sua condotta, ha prontamente smentito di aver agito contro l’ONU in qualunque maniera e ha contestato il contenuto della relazione. L’Inviato Speciale del Presidente per i Diritti Umani e Ministro delle Plantation Industries Mahinda Samarasinghe è stato citato per aver dichiarato: «Ci siamo consultati con le Nazioni Unite e non c’è stata alcuna intimidazione verso funzionari dell’ONU. Come si fa ad intimidire le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, il Giappone o qualsiasi altra nazione? Si tratta di entità sovrane». Egli ha aggiunto che non era a conoscenza del fatto che alle agenzie si fosse intimato di lasciare la zona: «Non ho sentito nessuno dire che abbiamo chiesto loro di andarsene».

Conclusione

Anche se poco è cambiato nella posizione del governo e il concetto di responsabilità rimane terreno di scontro, attraverso la nomina della LLRC, della Commissione Militare di Inchiesta, e la formulazione di un Piano d’Azione Nazionale, il GoSL è stato, fino ad oggi, in grado di tenere a bada le richieste di un’indagine internazionale indipendente. Il Rapporto Petrie è emerso in un momento in cui il governo Rajapaksa si attiva per mettere sotto accusa il Presidente della Corte Suprema, continua a mantenere una zona fortemente militarizzata nel nord e nell’est del paese, e allude ripetutamente all’abolizione dell’emendamento 13 della Costituzione, che si occupa di decentramento del potere.

Visti i risultati di questo Rapporto e della precedente Relazione Darusman, l’UNHRC deve agire immediatamente durante la prossima sessione del 21 Marzo 2013, quando si dovranno discutere i progressi compiuti dal GoSL. Il precedente rapporto dell’UNHRC riguardo lo Sri Lanka ha rivelato che poco è stato fatto per scoprire la verità – non si è convocata una sessione speciale quando infuriava la guerra, è mancato il riconoscimento che si stavano verificando violazioni dei diritti umani, e durante la 19a sessione è passata una risoluzione che ha avuto il solo risultato di dare tempo al GoSL di avviare una propria indagine interna.

In conclusione, il rapporto Petrie afferma che: «… a Colombo, molti alti funzionari semplicemente non percepivano la prevenzione dell’uccisione dei civili come loro responsabilità» (pp. 27). Se questa è la conclusione della Commissione di Revisione Interna delle Nazioni Unite, non si può più ignorare il proverbiale elefante nella stanza: è il momento di affrontare la questione della responsabilità, e ciò dovrebbe essere una priorità per gli alti funzionari e tutti gli organi delle Nazioni Unite. Con due combinati rapporti delle Nazioni Unite e altre inchieste indipendenti, ormai di dominio pubblico e tutte dotate di prove inconfutabili, l’ONU deve iniziare a muovere le ruote della giustizia e a stabilire un’inchiesta indipendente internazionale sui crimini di guerra. Questo potrebbe essere un passo in avanti per ripristinare la credibilità delle Nazioni Unite, almeno per quanto riguarda lo Sri Lanka.

(Traduzione dall’inglese di Giulia Giannasi)


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