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Il razzismo nell'America di Obama e la ricetta di Toni Morrison

Creato il 02 gennaio 2015 da Marianna06

 

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Toni Morrison, fino a pochi anni fa ha insegnato letteratura all'Università di Princeton. È stata perciò, da sempre, a contatto con le giovani generazioni, e conferma che i suoi studenti, bianchi, ispanici o di colore che fossero, non avevano e non hanno mai avuto alcun interesse a mantenere in vita discriminazioni razziali, semmai a scardinarle.

<<Una delle cose più importanti- afferma con convinzione la nota scrittrice, che è stata premio Nobel per la letteratura nel ’93, - è il non lasciarsi limitare dai pregiudizi, che sono quasi sempre stati creati dai bianchi>>.

<<Il problema-  aggiunge spesso- è e deve essere di chi crea il pregiudizio, non di chi ne è l'oggetto>>.

Il  classico boomerang, insomma.

Questo il suo pensiero assieme alla speranza convinta che il futuro sarà, comunque, senz’altro migliore del presente,che stiamo vivendo. E lo sarà, a suo parere, proprio grazie ai giovani.

Oggi però, nella sua America, negli Usa di fine mandato presidenziale di Obama, è spuntata di nuovo, e con violenza spropositata, la mala pianta del razzismo.

La qual cosa preoccupa parecchio  tutti, perché non si tratta solo di semplice rivalità tra bande giovanili. O di regolamenti di conti tra gang di uomini dediti al malaffare.

E’ un malessere subdolo, cattivo, che attenta all’intero corpo sociale di un Paese a lungo per definizione democratico.

Mi riferisco a episodi come l’uccisione, a Ferguson, di Michael Brown, il ragazzo nero inerme, da parte di alcuni poliziotti bianchi. E ancora agli agenti uccisi, di rimando, a Brooklyn il 21 dicembre. E ad Antonio Martin, ultimo in ordine di tempo, l’afro-americano, anch’egli ucciso da uno stupido poliziotto bianco. E non è detto che il numero dei morti ammazzati termini qui.

Perché in realtà un certo malcontento, da una parte e dall’altra,comunità di colore e poliziotti, continua a montare.

Ed è, a occhi aperti, una vera e propria guerra tra poveri.

Mal pagati ed esposti ad ogni rischio lo sono, com’è notorio, gli stessi poliziotti d’America per quanto essi rappresentino le forze dell’ordine, che devono imporre agli altri il rispetto della legalità.

Le comunità di colore poi, a loro volta, vivono ai margini e, quando possono, non esitano a infrangere deliberatamente la legge. Specie se la scuola e l’istruzione sono state abbandonate da parecchio. La strada è maestra di vita per loro. E ciò che conta è, soprattutto, il procurarsi denaro facile.

In tutto questo, anche per via del possesso molto agevole di armi, la paura aizza gli animi  degli uni e degli altri.

E così entrambe le parti in causa, ragazzi e/o uomini di colore e poliziotti, hanno i loro buoni motivi per temersi reciprocamente.

La Morrison,  che conosce da vicino il problema,intervistata, non esita tuttavia ad accusare i bianchi, i quali, oltre a temere immotivatamente la gente di colore(la paura ancestrale dell’uomo nero), spesso la considera solo un facile bersaglio, colpito il quale poter andare  impuniti.

La legge del più forte.

Quella che ha sempre ragione del debole, specie quando questi ha scarsi mezzi per difendersi.

E poi ci sono i media, quelli che amano proporre storie di violenza (e non sono pochi negli Usa), di cui fruisce ininterrottamente chi è povero d’interessi  e anche di mezzi economici, trattandosi di una forma d’evasione piuttosto a buon mercato.

Storie che diventano un po’ anche la “Bibbia” del poliziotto medio,il quale spesso ha una cultura , che non gli consente distinguo o sottigliezze critiche. Il poliziotto in genere è l’uomo che è  forza fisica.

Detto questo, spunta dalle parole della Morrison, in aggiunta alle precedenti argomentazioni, il discorso del profitto.

Le carceri americane,infatti, sono piene di persone di colore, molte di più di quante sono quelle appartenenti alla popolazione bianca, almeno a detta delle statistiche.

Questo ci fa notare  la scrittrice.

E, come un tempo era decisamente un buon affare avere schiavi neri, oggi arrestare e mandare in prigione un nero,  e per di più nelle carceri private, che sono un lucroso business, significa possedere manodopera gratuita e tanta convenienza in termini di guadagno per far quadrare i bilanci.

 Oppure reprimere la popolazione nera, lì dove essa è in maggioranza numerica, in tempi di elezioni, equivale, ad esempio, a pilotare, come si vuole, le votazioni.

E, così, fare la fortuna dell’uno o dell’altro candidato non certo è indifferente per chi ha i suoi interessi ben precisi.

O, ancora, far sentire il ceto medio- basso dei bianchi americani minacciato nelle proprie aspettative esistenziali dai neri o dagli ispanici, è ottundere le loro menti in modo che, essi rivolgendo la propria attenzione in altra direzione, non si accorgano, invece, d’essere oggetto di sfruttamento reale, e molto concreto, da parte della classe agiata dei ricchi bianchi .

Trucchi che da sempre chi gestisce il potere ha utilizzato e utilizza per il proprio tornaconto.

Per impostare la regia che preferisce.

In conclusione il suggerimento della Morrison è quello di non fidarsi mai di ciò che appare.

Di non fidarsi del canto delle sirene. Di andare sotto la “pelle” delle cose. Cioè degli eventi.

Alla cultura pressappochista del circo mediatico dei nostri tempi, rispondere, giovani o meno giovani, con la ricerca mirata dell’informazione corretta,che poi è quella che si chiama,  a giusto titolo, controinformazione.

E se il momento lo richiedesse, se serve a spezzare le strutture di peccato, ben vengano anche le proteste. L’importante è che siano proteste sensate e scevre di ogni forma di violenza.

 

                              Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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