E con questo non voglio riferirmi solo alle varie sfumature di grigio o ai metri sopra il cielo - ché, via, tutti sappiamo che non è arte, quella, ma la leggiamo lo stesso - piuttosto alla cosiddetta letteratura italiana contemporanea.
Non voglio nemmeno parlare degli scrittori e delle scrittrici che pubblicano con stampatori a pagamento libri che nessuno ha riletto nemmeno una volta, stupidi di contenuto e sgrammaticati nella forma, infarciti di errori d'ortografia e sintassi. Una volta smascherati dai lettori - questi scrittori e queste scrittrici che si pavoneggiano alla sagra del caciocavallo, accanto all'assessore alla cultura che di culturale non ha nemmeno l'odore dei piedi - sono capaci addirittura di incolpare l'editor - se mai ne esistesse uno - di aver inserito gli errori nel testo a bella posta per screditarli. No, voglio parlare piuttosto della letteratura blasonata, quella che viene presentata sui quotidiani e in televisione, che fa bella mostra di sé sugli scaffali degli autogrill e degli uffici postali. Non credo che tali opere facciano tutte schifo, no. Però al pari di esse ce ne sono molte altre, magari addirittura più meritevoli, che su quegli scaffali non compariranno mai perché dimenticate nel cassetto di qualche editor incapace di rispondere alle mail, perché incappate nel tritatutto scorciatoia della vanity press mal distribuita o, magari, perché ammuffite nella vetrina on line di qualche piattaforma di autopubblicazione.
Più che scrittori sopravvalutati, noi abbiamo, direi, storie sopravvalutate, ché lo stile magari c'è, anche raffinato, ma non basta a fare il capolavoro. Avete presente, ad esempio, la macchina impressionante dei libri di Ian Pears, il perfetto congegno ad orologeria? C'è qualcuno qui da noi che possa eguagliarla? O la capacità narrativa di Rohinton Mistri? E il minimalismo, sì, ma quello di Anita Desai, non quello delle due parole con il punto a capo. E John Updike vero, non chi gli fa il verso americanizzandosi e fingendosi arrabbiato.
È evidente, a mio avviso, l'esilità di certi testi nostrali spacciati per opere d'arte, destinati invece a essere dimenticati nel giro di mezza generazione. Non faccio nomi perché non mi piace offendere, il mio giudizio è soggettivo e i nemici non mi servono. Però, quelle poche volte che mi lascio convincere a leggere un romanzo italiano contemporaneo, magari uno che è arrivato in finale al Campiello, allo Strega etc etc, mi scontro quasi sempre con la mancanza di sforzo, di spessore, d'impegno narrativo, persino di carta. È tutto gradevole, per carità, leggibile ma sottile, intimista, trito: fratelli e sorelle con qualche scontato problema d'infanzia, storie partigiane, fascismi e poco altro.
Recensendo testi, poi, m'imbatto in autobiografie, fatti di famiglia, gialli senza capo né coda e tanto tanto sesso volgarotto. Oppure, peggio, nella rivisitazione post mortem di avanguardie surreali di primo novecento, in deliranti manifesti destrutturalisti, in simboli spacciati per sublimazione dell'intelligenza a scapito del contenuto, della razionalità, dell'emozione. A scapito del raccontare una storia interessante, avvincente.
Questa dell' essere avvincenti quando si scrive è una mia fissazione: la noia per me non è mai un valore. Cos'è il piacere della lettura se non curiosità, desiderio di sapere che accade nella pagina successiva? Cos' altro si può inculcare in un bambino, se non la gioia di raggomitolarsi con un libro sulle ginocchia fino a che non gli bruciano gli occhi leggendo avventure, magie, mondi sconosciuti? So di ragazzini obbligati a sorbirsi La Certosa di Parma di Stendhal che hanno avuto un rifiuto a vita per tutto ciò che somigliasse anche da lontano a un libro.
A costo di sembrare esterofila (e lo sono) dico che i libri vado a comprarmeli nella sezione "narrativa in lingua originale", di solito anglofona, perché qui da noi - con le dovute eccezioni è ovvio - vedo solo storie brevi e magre, costruite sul niente, chiuse in un microcosmo di tempo e spazio, senza studio, profondità di sentire o impalcatura narrativa, senza sviluppo, senza trama e spesso noiose. Oppure parole in libertà scritte una accanto all'altra solo perché suonano bene, senza rispetto per la magica armonia di forma e contenuto che, a mio avviso, sta alla base di ogni opera d'arte.
E non parliamo, poi, dell'ultimissima, invadente, onnipresente, generazione di trentenni universitari e precari, perché di quella, davvero, non se può più e pare che chi si mette a scrivere, oggi, non abbia da raccontare altro che di giorni inconcludenti, trascorsi a fingere di studiare, e di notti passate a ciondolare qua e là in cerca di pasticche e di scopate capaci di farti rimpiangere quelle "senza cerniera" di Erica Jong.
Qui rivendico il diritto sacrosanto a non essere intellettuale - anche quando si bazzicano libri e mondo editoriale - e a leggere cosa mi piace, pure le stupidaggini, ma considerandole per quello che sono, cioè evasione e non arte. Io, infatti, leggo cosa cavolo mi pare, non devo per forza conoscere tutti gli ultimi premiati e gli "stregatti" vari, non devo per forza dire che ho capito tutto se non ho capito nulla, per paura di apparire ignorante. Forse, se non ho capito, è anche perché l'autore non si è spiegato bene. E se un libro non mi prende, non mi dice niente, mi tedia, lo mollo, lo abbandono, anche se è considerato "cerebrale, simbolico e profondo", anche se dietro ci sono "motivazioni filosofiche e psicanalitiche". Se è una pizza è una pizza, e qualcuno lo deve pur dire, qualcuno deve dichiarare la nudità del re. E questo, aggiungo, vale anche per i mostri sacri, cosicché qui e ora, una volta e per tutte, confesso di non essere mai riuscita a finire alcuni romanzi di Tolstoj, di Hesse, di Conrad, di Proust (e di Stendha l!) con buona pace degli appassionati che mi toglieranno il saluto e di coloro che mi daranno dell'ignorante.
Un libro mi piace se ha una motivazione di fondo, una trama ben costruita, un'atmosfera originale, uno stile non banale, e se emoziona, fa riflettere, vivere un'altra vita. Quando la confezione è buona, qualsiasi contenuto acquista sapore.
Ho visto casi letterari ingrossati a tavolino sfruttando l'amicizia fra giornalisti ed editori, inventando finti passaparola della rete, ho visto l'eclatante caso del falso romanzo di successo (mai scritto e mai esistito) che tutti i personaggi famosi intervistati fingevano di avere letto, apprezzato e persino recensito. Ho visto cose che voi umani.
Io gli studi leggiadri talor lasciando e le sudate carte, ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte, d'in su i veroni del paterno ostello porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, le vie dorate e gli orti, e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice quel ch'io sentiva in senoEcco, se ci fosse bisogno di spiegazioni per capire che cos'è arte, letteratura e poesia vera basterebbero questi versi, basterebbero i rintocchi della Torre del Borgo, o il passero solitario annidato fra le merlature. Basterebbero perché l'arte non si spiega e non si definisce, non s'inquadra e non ha canoni fissi. E perché il poeta è colui che è emotivamente coinvolto in ciò che vede.
Leggete, leggete quello che vi piace e non buttate i soldi nei corsi di scrittura creativa, leggete i classici. Leggete Leopardi e Dante, aggiungo, che fanno sempre bene.