Avevo promesso a me stessa che non avrei mai letto questo libro. Sarebbe stato il mio intimo ed insignificante atto di aperta ribellione contro la mostruosa e volgare macchina del marketing pigliatutto. Avevo promesso che non mi sarei lasciata trascinare dai sentimentalismi, che sarei stata forte, per il rispetto che devo alla compagnia discreta che i libri di Wallace mi hanno sempre offerto, incondizionatamente.
Tuttavia, questa mia puntuale resistenza ha avuto 48 ore di vita. Il 2 Novembre Il re pallido era in libreria, il 4 era sul mio comodino.
Non l'ho letto per curiosità infantile, Dio, sarebbe stato orribile; l'ho letto, semplicemente, perché non potevo ignorarlo, non potevo ignorare la fisicità di quelle pagine e non volevo ignorare il debole soffio di motore vitale che David aveva regalato ad un mucchio disordinato di appunti. Non è stato giusto leggerlo né pubblicarlo, ma è pur sempre tutto ciò che mi rimane di lui, e mi ci sono aggrappata, come alla speranza, silenziosamente covata, nella vana illusione di una parola gentile, pronunciata da un vecchio amore.
Adesso voi, magari, vorrete anche sapere che ne penso de Il re pallido. E potrei dirvi tante belle cose, perché libri come questo nascono sotto il segno del successo a priori, opere che non possono essere smentite, eredità gravi, madide di verità dolorose ed inarticolabili. In più David è morto. E a chi verrebbe in mente di criticare l'opera di un genio, nonché passato a miglior vita. Ma soprattutto a chi verrebbe in mente di infamare un libro che non è un libro, che non lo era ancora e non lo sarà più. Però io con David ho un debito aperto di onestà, e gli voglio troppo bene per dire una bugia, gli voglio troppo bene per calarmi nei panni della fan indiavolata ed integralista. Il re pallido è un libro che finisce nel meglio, è una bozza farraginosa di un lavoro che sarebbe stato molto diverso, che avrebbe preteso il doppio delle pagine e il coraggio di finirle. Ma così non è stato. Il re pallido è uno scheletro, un embrione, una larva, e mi vien da sorridere a sentirlo elogiare come l'opera più toccante che David abbia mai generato. E' un'infamia, e anche lui ne riderebbe se potesse sentirvi.
Vi dico una cosa: ci sono una sessantina di pagine che mi tatuerei sul corpo, che ho riletto fino allo sfinimento, consumandone gli angoli, piegati e ripiegati su se stessi per non abbandonare al vortice di parole, verità e deduzioni di infinito spessore. Ci sono capitoli di una noia straziante e consapevole, che mi hanno condotta ad una stentata ma finale risposta. Quindi credo di non essere mai stata tanto combattuta sull'opinione generale di un libro, perché David il libro non l'ha finito e se posso permettermi, credo non gliene fregasse nemmeno molto terminarlo. E mentre leggevo, non riuscivo a scrollarmi di dosso la persistente sensazione di essere una viscida guardona che ficca il naso là, dove un uomo si è arreso, violando anche l'ultimo segreto.
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