Il Redivivo: solo agli Oscar!

Creato il 30 gennaio 2016 da Dylandave

The Revenant (2016) di Alejandro González Iñárritu

Dopo le dodici nominations agli Academy Awards mi sono fiondato in sala per vedere questo film. Mi aspettavo un film monumentale per aver ricevuto lo stesso numero di nominations di Ben Hur o Titanic, e film monumentale è stato. The Revenant stupisce sotto tutti i punti di vista. La regia di Iñárritu sfoggia la sua arte senza mai distaccarsi dal manierismo puro e semplice. Riguardo all’uso dei grandangoli, ai movimenti di macchina, all’arte di rubare ogni fiato ai personaggi con primi piani soffocanti sì, siamo di fronte ad un capolavoro. Il regista messicano al momento non lo batte nessuno in questo campo. Se volevate che qualcuno vi raccontasse una storia, allora dovreste rivolgervi altrove. Nonostante la fotografia di Emmanuel Lubetzy, che aveva straordinariamente servito “Birdman”, stavolta non riesce a ripetersi per quanto in pochi al mondo abbiano ora come ora la stessa composizione del quadro, seppur scopiazzando un po’ troppo quanto fatto per ‘The Tree of life” di Terence Malick. Di solito, dopo un successo storico come quello del film precedente (“Birdman” ndr) che sbanca sia il botteghino sia la critica e soprattutto riceve le quattro statuette più importanti agli Oscar (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia), un regista, che sia hollywoodiano o no, ha a disposizione un budget sproporzionato, forse il più cospicuo che abbia mai raggiunto in carriera. Non sempre pero’ corrisponde un successo, basti pensare a Michael Cimino che dopo aver sbaragliato la concorrenza agli Oscar nel 1978, fece fallire la United Artists (risorta un paio di decenni più tardi) un paio di anni dopo con l’altrettanto monumentale “Heaven’s Gate-I cancelli del cielo”. La storia non c’è, non me ne vogliano I sostenitori del regista messicano. Se in maniera furbesca e paracula in “Birdman”, era riuscito ad imbastire un carrozzone composito e funzionale alla sua poetica, stavolta Iñárritu non pare mai in grado di tenere testa al suo stile. Non pare voglia strafare, cappella proprio la scelta del soggetto. E mi fa molto sorridere leggere recensioni che paragonano il protagonista Hugh Glass con Dersu Uzala, dal film omonimo di Akira Kurosawa del 1975 (curiosità: vinse anche lui quello stesso anno, come miglior film straniero). Di comune c’è solamente il movente ossia un uomo lasciato solo dalla società, ma il contatto con la natura che c’era nel film del regista giapponese è del tutto inattaccato. Ogni aspetto che entrava in contatto con Dersu Uzala poteva metaforicamente essere toccato con mano dallo spettatore ed era organicamente messo a disposizione della narrazione, in questo caso invece è solo un mero elemento per rendere ancora più spettacolare ed esagerata la vendetta (che poi manco ci sarà) di Hugh Glass. Ad Iñárritu interessa infatti rappresentare l’iperrealtà e l’iperrealismo dei suoi personaggi, che per emergere in un mondo che non contempla gli esseri umani in quanto tali, hanno bisogno di essere supereroi anche quando non lo sono o di eventi soprannaturali anche quando lo spettatore più appassionato di action-movies non se lo aspetterebbe. Insomma se cercate un film di azione, non rimarrete assolutamente delusi, anzi probabilmente potrebbe aver trovato nuovi confini. Se d’altro canto cercavate un film, allora è davvero un’occasione persa per tutti, tranne forse per Leonardo Di Caprio, che probabilmente vincerà il suo primo Oscar come attore protagonista, nonostante la sua prova sia forse la più scialba dell’ intera carriera. D’altronde non era affatto facile dare una qualsivoglia espressione ad un personaggio ricoperto per l’intera durata del film da un trucco molto scuro o perchè sporco o perchè massicciamente tumefatto.

(Antagonista…)

(…e Protagonista)


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