Il Regno, Les Revenants e gli altri che ritornano

Creato il 14 aprile 2015 da Tiziana Zita @Cletterarie

Il regno, l’ultimo romanzo di Emmanuel Carrère, s’intreccia alla serie televisiva Les revenants, vincitrice nel 2013 di un Emmy Award come miglior serie drammatica, in un modo molto diverso dal solito. Il regno non è infatti il libro dal quale è stata tratta la sceneggiatura di Les Revenants. Ne costituisce, piuttosto, il retroscena, una sorta di prequel teologico narrato dallo sceneggiatore dei primi due episodi della serie.

Emmanuel Carrère, acclamato scrittore francese, classe 1957, ha poi abbandonato la sceneggiatura di Les Revenants per mancanza di sintonia con il regista, Fabrice Gobert, con il quale, però, per quattro mesi ha “lavorato tutti i giorni, dalla mattina alla sera, con un entusiasmo spesso misto  a sbalordimento davanti alle situazioni che creavamo e ai sentimenti che maneggiavamo.”

Il retroscena che ci svela ne Il regno è che, per Carrère, così come per gli altri agnostici che hanno sceneggiato la serie, credere nella resurrezione dei morti è qualcosa di folle, al pari di pensare che baciando un rospo si possa incontrare il Principe Azzurro.

“Quello che Les Revenants racconta – scrive Carrère – sono gli ultimi giorni prima della fine, quando i morti risorgeranno e avrà luogo il Giudizio universale, giorni che i seguaci di Paolo erano convinti di stare vivendo.”

Non ci sono infatti né zombie, né vampiri, quelle creature dell’immaginario collettivo che non devono assolutamente tornare tra i vivi. La resurrezione dei Revenants non è temuta, ma agognata da molti personaggi e, soprattutto, è un evento religioso preso sul serio.

Passiamo ora al libro di Emmanuel Carrère.
È proprio dall’esperienza parziale con Les Revenants che Carrère trae lo spunto per un’indagine approfondita sul cristianesimo delle origini. Il manoscritto si snoda su due piani che, nel corso della narrazione, spesso s’intrecciano fino a confondersi. Da un lato troviamo una ricostruzione del percorso dei primi apostoli, condotto con uno sguardo attento e originale ai primi scritti neotestamentari di Luca e Paolo. Dall’altro c’è il piano autobiografico, la rilettura di diciotto quaderni di appunti sul Vangelo, scritti vent’anni prima, il periodo in cui Carrère era un fervente credente, un momento che coincide con una forte crisi personale, sia dal punto di vista affettivo sia come scrittore. In quel periodo, la fede diventa parte integrante della sua vita: “Per più di un anno farò la comunione tutti i giorni, allo stesso modo in cui vado dall’analista due volte alla settimana. “

Però l’afflato mistico non dura. Perché al termine di questo triennio la fede lo lascia per sempre, ivi incluso il credo in quella cosa così inquietante e folle che è, proprio, la resurrezione. Nell’ultima pagina dell’ultimo quaderno Carrère scrive:

“Vuol dire questo, perdere la fede? Non avere neanche più voglia di pregare per conservarla? Non vedere nel distacco che aumenta giorno dopo giorno una prova da superare, ma al contrario un processo normale? La fine di un’illusione? Secondo i mistici, è questo il momento in cui bisognerebbe pregare. È nella notte che bisognerebbe ricordarsi di avere intravisto la luce. Ma è proprio in questo momento che i mistici con i loro consigli sembrano manipolarti, e il coraggio sembra stare nel rifiutarsi di seguirli per affrontare la realtà. Qual è la realtà? Che Cristo non è risorto? Scrivo queste cose il venerdì santo, momento del dubbio più grande. Domani sera andrò alla messa della Pasqua ortodossa, con Anne e i miei genitori. Li bacerò dicendo Christos Voskres, “Cristo è risorto”, ma non ci crederò più. Ti abbandono, Signore. Tu, non abbandonarmi”.

E ora passiamo alla serie, lasciando che sia Carrère a esporci la trama.

“Questo il soggetto: una notte, in un paese di montagna, tornano dei morti. Non si sa perché, né perché proprio quei morti e non altri. Loro stessi non sanno di essere morti. Lo capiscono dallo sguardo spaventato delle persone che amano, che li amavano, accanto alle quali vorrebbero riprendere il proprio posto. Non sono zombie, non sono fantasmi, non sono vampiri.”

Molto bella è l’immagine del primo revenant. È una farfalla che si stacca da una teca alla quale è incollata da tempo immemorabile, sopra all’etichetta di Victorina Stelenes. Ed è così che inizia a volare per accompagnarci nei vari episodi, sempre vicina ai suoi compari ritornati dal regno dei morti: la vedremo avvicinarsi pericolosamente a una fonte luminosa o attraversare il foro della cella da cui è appena evaso uno di Loro.
E gli altri revenants umani? Come sono fatti?

All’inizio si presentano con le stesse fattezze del momento della morte. Sono innocui, all’apparenza, e riprendono la vita di sempre, con un’innocenza che lascia interdetti i familiari. Scioccati, terrificati, contenti, increduli, convinti di aver perso la ragione: un mix di queste emozioni investe parenti e affini al ritorno dei propri morti. Qualcuno si interroga in modo prosaico su cosa sia accaduto perché non ricordino nulla.

“È stato una specie di coma o un problema neurologico. Mi sa che è meglio chiamare il medico” dice una di loro.

Forse è questa distanza dall’immagine orrorifica degli zombie che ha dato origine alla vignetta virale su Facebook all’uscita di The revenants, quasi a sottolineare lo stupore per un nuovo tipo di zombie francese, di bell’aspetto, che non morde e beve del buon vino.

L’unica cosa anomala dei Revenants è che hanno una fame da lupi e non dormono quasi mai. Per il resto sembrano umani a tutti gli effetti. Nel prosieguo della serie emergeranno aspetti inquietanti della loro natura, di certo mai paragonabili ai dettagli trucidi di The Walking Dead.

Ma come viene accolto il “ritornato” dalla famiglia o dall’amata?
Di solito con stupore misto a gratitudine. Sin dal primo episodio fa però la sua comparsa un personaggio mellifluo, Pierre, che guida un gruppo di sostegno per chi ha subito lutti e gestisce anche una casa di accoglienza, “La mano tesa.”
A lui si oppone Jerome, suo rivale in amore, e mi piace pensare che ci sia lo zampino di Carrère nel dialogo tra i due, in particolare quando Jerome parla da agnostico, in modo secco e agghiacciante, della resurrezione di sua figlia e specifica che non ne ha invocato il ritorno.

“Qual è la diagnosi? Resurrezione fulminante? E che si fa in questi casi?” chiede Jerome.
“Perché ci tratti così? Non ci sono precedenti. O meglio, uno ci sarebbe ma non vale la pena di parlarne” risponde Pierre.
“Perché ero convinto che dopo anni a pregare per la sua resurrezione sareste stati più preparati ad accoglierla. È questo che penso e sono molto deluso. Nemmeno io so bene cosa dire o cosa fare, ma non ho pregato perché tornasse in vita!” ribatte Jerome.

Les Revenants (vedi il trailer) è anche un adattamento del film Quelli che ritornano di Robin Campillo, uscito nel 2004.
Negli Stati Uniti, uno degli sceneggiatori di Lost, Carlton Cuse, ha adattato la serie francese per il pubblico americano, intitolandola The Returned. Il remake rimane fedele all’originale con qualche piccola variante.

In questo stesso filone troviamo anche Resurrection,  la serie televisiva diretta da Brad Pitt nel 2013, tratta da libro di Jason Mott, The returned.
Né dobbiamo scordare l’affinità del tema con i 4400, una serie tv di circa dieci anni fa, che narra sempre la storia di persone “ritornate” dopo essere scomparse in varie fasi a partire dal 1946.
Un filone che, come ha detto il critico televisivo Aldo Grasso nella sua videorecensione di Les Revenants, appartiene al “mondo implosivo”, ovvero quello che non rappresenta ciò che accade quotidianamente, bensì riflette su se stesso e sui grandi quesiti esistenziali.

***

Prossimimante su Cronache Letterarie l’intervista a Emmanuel Carrère.
Il Regno,
di Emmanuel Carrère, è pubblicato da Adelphi
Les Revenants
, otto puntate, ogni martedì sera su LaEffe in 1a TV free.
Stasera, alle 21.00, il secondo e terzo episodio.


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